10/08/2007, 00.00
FILIPPINE – ITALIA
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Missionari PIME: Con p. Bossi, alla logica della violenza rispondiamo con la grazia del perdono

Il missionario rientrerà in Italia domenica a mezzogiorno, con un volo di linea proveniente da Dubai. A Manila il PIME e la Chiesa locale hanno discusso sul futuro della missione nelle Filippine: resta alto il pericolo sequestri, ma la loro presenza è “fondamentale”.

Manila (AsiaNews) – “Il sequestro di p. Bossi è l’esperienza del perdono di Dio che si offre al suo popolo; esso racchiude il senso della missione e il compito del missionario che dona tutto se stesso”. Così p. Gianni Sandalo, superiore del PIME nelle Filippine, descrive il significato della permanenza dei missionari nel Paese asiatico al termine di una tre giorni di riflessioni e preghiera che si è conclusa ieri a Manila. All’incontro hanno partecipato tutti i missionari del PIME, il Superiore Generale p. Gian Battista Zanchi, un padre clarettiano e l’arcivescovo di Mindanao, mons. Romulo Geolina Valles.

Tre gli spunti sui quali si è discusso nello specifico: il profilo storico e socio-culturale della realtà di Mindanao, la presenza della Chiesa nell’isola e il ruolo del missionario straniero. “P. Bossi – sottolinea p. Sandalo – incarna la vittoria della speranza in una realtà in cui predomina la logica della violenza: ‘Io li perdono, anzi vorrei costruire un rapporto di amicizia con loro’. Ecco, questa frase pronunciata da Giancarlo all’indomani della liberazione racchiude tutto il senso della nostra missione, perché alla logica della violenza dobbiamo rispondere con il valore assoluto del perdono”. A Mindanao è “evidente lo stato di povertà” della popolazione per questo il missionario rappresenta “l’espressione della solidarietà” e del “valore della Chiesa nella sua universalità, perché essa va oltre i confini dei singoli stati e abbraccia tutte le genti della terra”.

“Come dimostra il rapimento di p. Bossi – ribadisce p. Sandalo – i sequestri avvengono solo per motivi economici: non c’è uno scontro fra religioni, la verità è che i missionari stranieri e gli occidentali in genere rappresentano una scorciatoia per fare soldi”. Anche l’arcivescovo di Zamboanga ha ribadito la “presenza fondamentale dei missionari nella diocesi”; al riguardo è allo studio un programma volto alla “sensibilizzazione della popolazione locale, per far capire loro che è necessario un senso di corresponsabilità: il prete si prende cura della comunità e, allo stesso tempo, la comunità è vicina al suo pastore, come è avvenuto nel caso del sequestro di p. Bossi, in cui cristiani e musulmani hanno pregato e lavorato assieme per la sua liberazione”.

A margine dell’incontro di Manila, p. Giancarlo Bossi confessa ad AsiaNews  “il desiderio di rientrare per abbracciare i parenti e di ritirarsi per un periodo di meditazione e preghiera in vista dell’incontro a Loreto con il Papa”. “Il mio desiderio – conferma p. Bossi  - è tornare a Payao ma la situazione è delicata e non si possono fare programmi”. Egli conferma il pericolo di nuovi sequestri e sottolinea che il suo “non rappresenta un caso isolato e in futuro eventi di questo tipo potranno ancora succedere” per ragioni di carattere “economico: è solo una questione di soldi”.

Il missionario del PIME  - nella foto in compagnia di un gruppo di bambini al suo ritorno a Payao - dice “di essere in buona salute e di aver ripreso 6 dei 20 chili persi durante i giorni di prigionia: i sequestratori mi hanno trattato bene, dividendo lo stesso cibo, ma nutrirsi per 40 giorni solo con riso e pesce secco è davvero dura. Così come è dura non fumare, ma ho deciso di smettere e per ora riesco a resistere”.

Il rientro di p. Giancarlo Bossi in Italia è previsto per domenica 12 agosto, con un volo di linea proveniente da Dubai che atterrerà all’aeroporto di Roma Fiumicino verso mezzogiorno. Il tempo di salutare i familiari, poi verrà sottoposto agli interrogatori di rito dai magistrati che hanno aperto un’inchiesta sul suo rapimento. Nel frattempo emergono altri particolari sulle fasi iniziali del sequestro: i rapitori gli hanno legato le mani con del nastro adesivo dal quale si è subito liberato. Si è creata una situazione di tensione e di pericolo, ma p. Bossi non ha voluto opporre resistenza, facendosi accompagnare sino al fiume dove ad attenderli c’era una barca: questo per non mettere in pericolo la vita delle altre due persone che erano con lui al momento del rapimento. 

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