10/01/2006, 00.00
Pakistan
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Nella capitale del Kashmir "non c'è posto per i cristiani"

di Qaiser Felix

La denuncia viene dalla comunità cattolica di Muzafarabad, capitale della zona montuosa. Nonostante le promesse del governo non vi sono chiese né cimiteri. I morti "vengono gettati nel fiume".

Muzafarabad (AsiaNews) – Nella capitale del Kashmir la comunità cattolica "non ha la possibilità di comprare case né terre, non può seppellire i suoi morti, non può neanche celebrare la messa di Natale perché non vi sono preti". Bahadar Masih, 65 anni, è un cattolico residente in questa zona montuosa, dove se fa freddo "non si può arrivare a piedi né ci si può spostare".

"Nel pomeriggio del 25 dicembre – racconta – il parroco è riuscito a raggiungerci da Abottabad, il punto più vicino con un prete residente. Abbiamo celebrato la messa di Natale nella casa di uno di noi". "Alcuni evangelici che vivono in zone vicine – racconta Liaqat Masih, 28 anni – ogni tanto vengono a trovarci, sia per le messe domenicali che in altre occasioni, ma questo è tutto".

Il problema non si limita a questo. "Ci siamo trasferiti qui nel 1979 – sottolinea la signora Khurseed, impiegata municipale di 58 anni – perché il governo aveva promesso ogni agevolazione per noi. La promessa non è mai stata mantenuta".

Padre Inayat Patras, parroco della chiesa cattolica di Abottabad, racconta ad AsiaNews come la promessa del governo sia arrivata "dopo una tragedia". "L'ultima settimana di luglio – racconta - è morta una bambina cristiana in città, ma i genitori hanno dovuto affittare un camion per seppellirla in un villaggio del Punjub: qui non era loro permesso. Sul camion vi erano 12 familiari della piccola defunta ma, a causa di uno smottamento, il veicolo è precipitato in un fiume. Dei parenti, 6 sono morti nell'incidente, 2 sono morti affogati e gli altri sono tutti feriti".

"Viviamo in case in affitto – riprende Khurseed – e non abbiamo chiese né cimiteri. La comunità musulmana non ci permette nemmeno di seppellire i nostri morti nei loro cimiteri". "Per seppellire i nostri morti – conclude – dobbiamo viaggiare lontano, ma muoversi da qui comporta molti pericoli". "Siamo costretti a gettare i cadaveri nei fiumi – ammette con dolore Perveen Riasat, 36 anni – perché non abbiamo alternative".

"Abbiamo deciso di mettere in pratica un altro piano – continua il parroco – perché così non possiamo andare avanti. Troveremo dei buoni avvocati per ottenere il permesso di comprare terra e case. Troveremo anche dei finanziatori che possano donare i soldi necessari per fare tutto questo". "Sono più di 30 anni – conclude p. Patras - che i cattolici vivono qui, ma il mondo deve sapere in che condizioni miserevoli".

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