08/02/2005, 00.00
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Nepal, la stretta anti-democratica del re "dialogante"

La gente povera approva re Gyanendra e la sua "lotta" ai partiti corrotti. Ma la democrazia fa passi indietro nel paese dell'Himalaya.

Kathamandu (AsiaNews/Agenzie) – Segnali contrastanti giungono dal Nepal dove da una settimana re Gyanendra ha assunto i pieni poteri e imposto lo stato di emergenza. Le linee telefoniche e la connessione ad internet sono state ripristinate dopo un isolamento forzato di 8 giorni, ma restano strette le misure contro chi critica l'operato del sovrano. Ieri l'esercito ha compiuto raid aerei contro i ribelli maoisti nell'ovest del paese, mentre nei giorni scorsi il re aveva rilanciato l'apertura di "colloqui incondizionati di pace" con i rivoltosi.

La situazione nel paese resta tesa dopo il colpo di stato operato da Gyanendra che martedì 1 febbraio ha estromesso il premier Deuba.

Sempre ieri attraverso i media di stato il re ha intimato alla popolazione e agli organi di stampa di "non criticare" le forze di sicurezza e l'esercito "per causare scoraggiamenti tra le truppe", pena l'arresto. Il sovrano-premier ha inoltre vietato ogni attività politica e annunciato che le autorità pubbliche possono colpire le proprietà private "qualora fosse necessario".

Nei giorni scorsi vari esponenti della stampa locale erano stati arrestati per le loro critiche a Gyanendra, che aveva sospeso tutti i diritti civili e imposto lo stato di emergenza nel paese. Tara Nath Dahal, presidente della Federazione dei giornalisti nepalesi, è stato arrestato sabato mentre stava cercando di ottenere asilo nell'ufficio Onu della capitale; Bishnu Nisthuri, segretario generale della stessa organizzazione, è stato prelevato venerdì scorso in casa sua e ora si trova in carcere.

Tra la popolazione vi è chi approva la stretta anti-democratica del sovrano, giustificata, a suo dire, dalla volontà di voler risolvere la crisi con i ribelli maoisti: "Ciò che il re sta facendo è grande: solo lui può risolvere i nostri problemi. Odiamo i politici perché tutto quello che vogliono sono soldi e potere" dichiara Yadav Adhikary, un negoziante di Kathmandu. Gyanendra aveva criticato l'operato dei politici per non essere riusciti a metter fine al conflitto con i rivoltosi che dal 1996 ha causato 11 mila vittime e l'impoverimento della nazione.

Altri nepalesi invece disapprovano le misure liberticide di Gyanendra: "In tutta la mia vita è la peggior situazione che la nostra nazione abbia mai avuto" afferma Surresh Devota, muratore della capitale. "Ci sta guidando nello stesso modo dello scià di Persia, verso un disastro" sostiene Krishna Hachhethho, docente al Centro per gli Studi asiatici di Kathmandu.

Analisti politici affermano che l'azione del re trova approvazione tra le fasce più basse della società nepalese, nauseate della corruzione governativa e stanche per la mancata risoluzione del problema "ribelli". Ma le classi intellettuali e più avanzate temono che il paese receda dalla via della democrazia, intrapresa nel 1990, mentre invece - dicono - servirebbe più tempo e pazienza per una stabilizzazione democratica. (LF)
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