20/09/2018, 10.32
RUSSIA – UCRAINA – BIELORUSSIA
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Ortodossia, Mosca isolata: anche la Bielorussia vuole l’autocefalia

di Vladimir Rozanskij

La Chiesa ortodossa ucraina è “in dirittura d’arrivo” per la concessione del Tomos, il decreto che di fatto la stacca dal Patriarcato russo. Anche Minsk vuole rivolgersi a Costantinopoli per ottenere lo stesso diritto. La dichiarazione del Sinodo moscovita del 14 settembre, di sospensione della comunione eucaristica con Costantinopoli, è stata accolta dalle altre 13 Chiese ortodosse canoniche con un silenzio tombale.

Mosca (AsiaNews) – Gli eventi legati alla procedura che dovrebbe assegnare l’indipendenza alla Chiesa ortodossa ucraina si susseguono con ritmo serrato. Ora anche in Bielorussia c’è chi pensa di rivolgersi a Costantinopoli per ottenere il Tomos, ovvero il “decreto di autocefalia”. Una dichiarazione in questo senso è stata diffusa il 19 settembre dall’arcivescovo Svjatoslav (Login), capo di un ramo minoritario degli ortodossi di Minsk che si autodefinisce già come “Chiesa ortodossa autocefala di Bielorussia”.

La proporzione delle varie espressioni dell’Ortodossia nel Paese del presidente Lukashenko non è paragonabile a quella dei vicini ucraini, dove si confrontano tre giurisdizioni legate a Mosca, Kiev e Costantinopoli (oltre ai greco-cattolici legati a Roma). La quasi totalità dei fedeli ortodossi in Bielorussia si sottomette all’Esarcato di Kiev, dipendente in tutto dal Patriarcato di Mosca, che ha nominato a Minsk l’attuale esarca-metropolita Pavel (Ponomarev).

Eppure lo status della Chiesa di Minsk è molto simile storicamente a quello della Chiesa ucraina, e ancor di più a quello della Chiesa ortodossa polacca, che ottenne l’autocefalia nel 1948 da Costantinopoli, in accordo con il Patriarcato di Mosca di cui faceva parte. L’impero russo aveva inglobato tutti questi territori tra il Settecento e il Novecento, ma le giurisdizioni ecclesiastiche hanno seguito storie indipendenti, e in generale tutti gli ortodossi slavi orientali discendono dal Battesimo della Rus’ a Kiev, oggi capitale dell’Ucraina. Se quest’ultima otterrà l’autocefalia a ottobre, come tutto lascia presagire, non si vede con quali motivazioni si dovrebbe rifiutarla agli ortodossi bielorussi.

Si profila quindi una “parata di autocefalie” che potrebbe comprendere anche i Paesi baltici, alcune parti del Caucaso, la Trans-Nistria e la Moldavia, tutti in qualche modo dipendenti da Mosca, che verrebbe quindi svuotata di gran parte della sua giurisdizione. Rimarrebbero, certo, gli sterminati territori della Russia europea e siberiana, peraltro non molto popolati e con un numero relativamente limitato di chiese e diocesi. Il processo potrebbe interessare in parte anche le comunità greco-cattoliche, presenti non soltanto in Ucraina; esse infatti risalgono all’Unione del 1596, siglata nella città bielorussa di Brest-Litovsk, al confine con la Polonia.

L’effetto principale sarebbe dunque l’isolamento di Mosca dal resto dell’Ortodossia universale, come sta avvenendo in questi giorni: la dichiarazione del Sinodo moscovita del 14 settembre, di sospensione della comunione eucaristica con Costantinopoli, è stata accolta dalle altre 13 Chiese ortodosse canoniche con un silenzio tombale.

Nessuna Chiesa ha seguito finora Mosca nel conflitto col Patriarcato ecumenico, rifiutandosi di nominare Bartolomeo nella liturgia o astenendosi dalla concelebrazione con i sacerdoti di Costantinopoli, come sta avvenendo invece con i russi. Nonostante varie dichiarazioni di patriarchi e metropoliti in favore di Mosca, compresa quella di Papa Francesco a Roma dello scorso maggio sull’“unico patriarcato” per russi e ucraini, nessuno ha fiatato dopo il 14 settembre, lasciando Kirill a vedersela da solo con Bartolomeo.

Il patriarca di Mosca ha avuto tanto tempo per riflettere sulle vicende che hanno contrassegnato le relazioni inter-ortodosse negli ultimi anni, soprattutto dopo il rifiuto di partecipare al Concilio di Creta del 2016, dove evidentemente temeva proprio l’emergere della questione ucraina, visto anche il corso del conflitto armato in atto dal 2014. L’incontro al Fanar del 31 agosto scorso è arrivato probabilmente fuori tempo massimo, quando la decisione era già stata presa dopo due anni di consultazioni ufficiali tra Costantinopoli e tutte le altre Chiese autocefale, Mosca compresa.

Nel frattempo i due esarchi costantinopolitani, i vescovi ucraino-americani Daniel e Ilarion, stanno procedendo speditamente con le necessarie consultazioni. Il 17 settembre si sono incontrati con il presidente Petro Poroshenko, che ribadito il secolare anelito degli ucraini all’autonomia della propria Chiesa, e la storica vicinanza con il patriarcato di Costantinopoli. Dopo l’incontro uno dei due delegati, l’arcivescovo Daniel, ha pronunciato la frase fatidica: “La procedura per la concessione dell’autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina è iniziata, e siamo ormai in dirittura d’arrivo”. I due esarchi hanno invitato tutti i vescovi delle varie giurisdizioni, compresa quella moscovita, a confrontarsi direttamente, e tutto lascia supporre che saranno molti a rispondere positivamente.

Difficilmente Mosca riuscirà a trattenere la maggior parte dei fedeli ancora legati ad essa, e ancora più improbabile sarà convincere tutti che la ragione sta dalla parte dei russi, quando tutti gli altri ortodossi rimangono dall’altra parte.

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