27/09/2016, 11.03
CINA - ITALIA
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P. Gheddo: Ho visto la risurrezione della Chiesa in Cina

Le visite in Cina durante la Rivoluzione culturale e dopo le modernizzazioni di Deng Xiaoping. Le comunità che sembravano distrutte, sono tornate a fiorire. I legami con gli antichi missionari del Pime, espulsi da Mao Zedong. Le nuove frontiere della missione. Il nuovo libro-autobiografia di p. Piero Gheddo.

Milano (AsiaNews) - Da questa settimana è in libreria il nuovo libro di padre Piero Gheddo, «decano» dei missionari giornalisti d’Italia, per 40 anni direttore del mensile Mondo e Missione e fondatore dell’agenzia AsiaNews nell’edizione cartacea (nel lontano 1986). Il libro Inviato speciale ai confini della fede. La mia vita di missionario giornalista (EMI, pp. 224, euro 14, prefazione di Andrea Tornielli) è realizzato insieme a Gerolamo Fazzini, giornalista e consulente editoriale. Nel testo, ricco di storie personali e di sguardo alle situazioni internazionali, pieno di passione per l’uomo e per la Chiesa, si percepiscono le difficoltà e gli entusiasmi delle giovani Chiese in Africa, Asia e America Latina.

Per gentile cortesia della EMI, proponiamo qui il cap. IX del libro riguardante la Cina.

Dopo l’ordinazione sacerdotale nel 1953, mi impegno subito nel giornalismo, intervistando – tra gli altri – i nostri missionari del Pime che in quegli anni venivano espulsi dalla Cina (140 in tutto, con cinque vescovi). Erano piuttosto pessimisti sulle sorti della Chiesa cinese: perché, dicevano, «mandano via noi missionari stranieri, mettono in carcere vescovi, preti e suore; poi chiudono chiese, seminari, conventi, scuole cattoliche, stampa cattolica... I nostri piccoli e poveri «cristiani del riso» non resisteranno alla persecuzione. Bisogna però continuare a pregare», aggiungevano.

Vedevo la Cina con occhi umani, non di Dio

Nel 1973 vado in Cina come membro di una commissione della Montedison (sostituendo un ammalato). Era il tempo della «Rivoluzione culturale» e quella Cina, dico la verità, mi aveva quasi affascinato: disciplina, ordine, pulizia, povertà dignitosa e orgoglio nazionale, uguaglianza nell’avere tutti il necessario. Non si vedevano per le città poveri né mendicanti né lebbrosi, ecc. Poi, leggendo il Libretto rosso di Mao Tze Tung, parevano sentenze degne di San Paolo: «A ciascuno tutto quello di cui ha bisogno, da ciascuno tutto quello che può dare»; «Servire il popolo è l’ideale del buon cinese»; «L’ideale del comunismo è cambiare il cuore dell’uomo».

Ho avuto momenti di dubbio nel mio granitico convincimento che il comunismo senza Dio non può produrre frutti positivi per l’uomo. La Cina pareva dimostrare il contrario e la guida non mancava di ripetere: «La Cina ha imparato a fare a meno di Dio». Non solo i cristiani, ma anche i buddhisti, i musulmani, i confuciani, erano scomparsi: l’ateismo di Stato pareva condiviso dal popolo. In Occidente e in Italia, Mao era considerato da giornalisti e «profeti», il vero salvatore della Cina, che, si diceva, ogni giorno dà una ciotola di riso a tutti i cinesi[1].

Tornato in Italia, ho poi scritto che in Cina la Chiesa cattolica non esiste più, secoli di missione non hanno prodotto frutti. Pensavo: i cosiddetti «cristiani del riso», convertiti dagli aiuti alimentari, non esistono più. Per cui quando ci sarà libertà in Cina, si dovrà «ricominciare da capo l’evangelizzazione dei cinesi»! Ero ingenuo e cieco, vedevo la realtà cinese solo con i miei poveri occhi umani, non era ancora maturata bene in me la fiducia nello Spirito Santo, protagonista della missione della Chiesa!

Il nostro viaggio in Cina aveva come base un albergo per stranieri a Canton (Guangzhou), invitati per visitare una Mostra di prodotti cinesi. Dalla città ci portano a vedere le conquiste della Cina maoista, una grande caserma. Al mattino, suonava la sveglia alle sei, musiche, canti patriottici in tutta la metropoli. Poco dopo, nel grande viale lungo il fiume scendono uomini e donne vestiti tutti più o meno allo stesso modo, pantaloni neri o blu scuro, camicetta bianca. Incomincia la ginnastica quotidiana, diretta da una voce robusta e sonora, con un sottofondo di musiche patriottiche, diffusa in tutta la grande città. Poi, tutti al lavoro.

Non visitiamo la Cina, ma una ristretta regione vicina a Guangzhou, dove tornavamo alla sera. Ci portano in alcune scuole, un ospedale moderno, le «Comuni agricole» con la vita comunitaria delle famiglie, tutte impegnate nei lavori, e i bambini mantenuti ed educati dallo Stato. E poi una grande diga, costruita da migliaia di uomini e donne divisi in gruppi, portano pesi sulle spalle, salgono su scale di bambù che solo al vederle vengono i brividi, il lavoro è in gran parte manuale. I vari gruppi di un settore sono in competizione, ovunque bandierine di vario colore per segnare il lavoro fatto, un grande spettacolo. Alla sera si premia il gruppo che aveva lavorato di più. Interessante anche la visita all’Università. I palazzi antichi, le aule, i laboratori nelle facoltà scientifiche, tutto più o meno come in Occidente. Ma quando entriamo nella grande biblioteca vediamo subito molti scaffali e pochi libri, tutti o quasi in lingua cinese. L’anziano bibliotecario che parla in francese, mi prende in disparte e mi dice: «I libri in altre lingue li hanno bruciati tutti».

Alla fine, due giorni di libertà. Dalla terrazza dell’albergo, dove andavo per fare foto dall’alto, si vedeva la direzione e la lunghezza del cammino per arrivare alla maestosa Cattedrale cattolica in stile gotico, costruita dai missionari francesi alla fine dell’Ottocento. Un mattino esco col permesso della nostra guida e vado decisamente verso la «casa di pietra» (come la chiamano in cinese). La cattedrale è dietro ad una cancellata chiusa. La fotografo con un quadro di Mao sopra il portale.[2]

Di fianco alla cattedrale una grande tettoia dove scaricano i rifiuti di quel quartiere. I miei confratelli di Hong Kong mi hanno poi spiegato che quello era un marchio di disprezzo per quell’edificio straniero. Dopo la cattedrale, mi fermo un po’ su una panca nella piazza vicina al nostro albergo, fotografo alcuni palazzi e negozi e torno in albergo. Vado in stanza e mi accorgo che una delle mie due macchine fotografiche (per il bianco e nero e le diapositiva a colori) non ha più il coperchietto di plastica per la lente. Scendo al ristorante e un cameriere mi porge su un vassoio quel coperchio e dice: «Lei l’ha lasciato sulla panca della piazza qui vicina?». E io, ingenuo, pensavo di essere libero!

In albergo, mi alzo alle due del mattino e celebro la Messa sul tavolo della stanza. Messe commoventi nel silenzio notturno, pensando a tutti i cristiani nelle carceri e nei campi di lavoro e di sterminio cinesi (i «laogai»). Mentre era in corso la «Rivoluzione culturale», non c’era nessuna chiesa aperta: sembrava che la Chiesa in Cina fosse letteralmente scomparsa.

La persecuzione rafforza la fede

Ma dopo la morte di Mao (9 settembre 1976), la Chiesa risorge dalle ceneri. Verso il 1979-1980, i cristiani cinesi incominciano a scrivere ai missionari italiani del Pime (specie al padre Maringelli) espulsi dalla Cina 20-25 anni prima.[3] Lettere molto semplici, di gente di campagna, che ha sperimentato la sofferenza, la persecuzione, il carcere, i campi di lavoro forzato e arrivava a scrivere frasi come questa: «Sono contento di aver sofferto per la fede in Gesù Cristo».[4]

Quella gente ha conservato la fede in condizioni difficilissime, senza chiese, senza sacerdoti, senza comunità cristiana, anzi in presenza di uno Stato totalitario che per quasi trent’anni perseguita tutte le religioni. In quelle lettere i cristiani cinesi chiedono non denaro, ma oggetti sacri: rosari, Vangeli, immagini della Madonna, medaglie, libri di preghiera. «La Rivoluzione culturale ha distrutto tutto quello che richiama Dio e i santi. Mandateci dei rosari e delle immagini sacre da appendere alle pareti, ora che è permesso avere queste immagini in casa».

La rinascita della Chiesa cinese è un vero e proprio miracolo. Così lo salutavo nel 1981: «Guardando alla vita della Chiesa di tutto il mondo, forse si può dire che non c’è nel nostro tempo altro segno di fede così entusiasmante, così carico di speranza, come questo imprevisto rinascere della vita cristiana in Cina, che in realtà non si è mai spenta, ma viveva nel segreto delle coscienze e delle famiglie. Nonostante una persecuzione accanita e capillare, che ha pochi paragoni nella storia antica e moderna della Chiesa. Dove andiamo a cercare altri miracoli che dimostrino la grazia di Dio, l’intervento misterioso ma concretissimo dello Spirito Santo nella storia umana, se non in questa testimonianza dei cristiani di Cina?».

Sono tornato in Cina una seconda volta nell’estate 1980, insieme con padre Giancarlo Politi, missionario ad Hong Kong, che parlava bene il cinese. Così visitiamo una diocesi dove nel 1973 non avevo trovato nessun segno di presenza cristiana. A Sheqi, incontriamo il vescovo e un sacerdote, con 25 e 31 anni di carcere. I non cristiani che chiedono l’istruzione religiosa – dicono - sono tanti. Purtroppo non ci sono libri, segni sacri, non è possibile dare a loro un’adeguata formazione cristiana. Chiedo come mai ci sono queste richieste di conversione, quando la Chiesa è così povera di preti e di materiale formativo (Vangeli, immagini, libri di preghiere, ecc.). Il vescovo risponde: «Noi non predichiamo, ma la vita dei cristiani annunzia il Vangelo e una società alternativa a quella presente. Tutti sanno chi sono i cristiani: ci hanno visti quando siamo stati perseguitati, processati e condannati ingiustamente: non abbiamo mai maledetto nessuno, anche in carcere e nei campi di lavoro forzato la testimonianza dei cristiani ha convertito molti al Vangelo. E ora che siamo tornati alle nostre case, non cerchiamo vendette, non ci lamentiamo per quanto abbiamo patito, aiutiamo quelli che sono bisognosi del nostro aiuto. Credo che da qui vengano le richieste di istruzione religiosa e le conversioni».

Avevo con me un pacchetto di rosari, li distribuisco visitando alcune famiglie cristiane e anche sacerdoti e comunità di suore. Credo di non aver mai visto gente così felice per un regalo: e donavo solo un rosario.

Oggi in Cina nascono opere di carità

Nell’ottobre 2000 la mia terza visita in Cina. Visitando a Canton (oggi Guangzhou) il mio confratello padre Fernando Cagnin, ho avuto lunghe conversazioni con lui, nel corso delle quali ho compreso la sua scelta missionaria molto particolare.[5] Dal 1995, infatti, padre Fernando presta servizio presso Huiling, un’organizzazione non governativa cinese che da più di 25 anni si occupa di offrire aiuto e formazione a giovani e adulti con disabilità mentale. La fondatrice dell’opera è una donna carismatica, oggi sessantenne, Meng Weina: ex Guardia rossa, convertita al cattolicesimo sull’esempio di Madre Teresa, da cui ha preso il nome il giorno del Battesimo nel 1998.

L’inizio dell’attività di Huiling risale al 1985, quando a Guangzhou viene inaugurata una scuola con un centinaio di bambini con disabilità mentale. In quegli anni la Cina non aveva ancora sufficiente familiarità con le Ong, e tuttavia Huiling (il cui nome significa «saggezza spirituale») nel 1990 comincia ad accogliere disabili mentali e non mentali anche di età superiore ai 16 anni. Finalmente, nel 1995, arriva padre Cagnin, fino a quel momento missionario a Hong Kong, che decide presto di dedicarsi al progetto di Huiling, in sintonia con il carisma del Pime, i cui membri sono chiamati ad annunciare il Vangelo ai non cristiani, esercitando la loro testimonianza in contesti «di frontiera». Fernando, prima di essere ordinato sacerdote nel Pime (1985) aveva lavorato nel campo della nascente informatica e si è acquistato una notevole capacità tecnica, dimostrando passione e genialità in questo campo. Nel 2000 l’ho visto in Huiling insegnare ai disabili ad usare il computer; si faceva mandare da Hong Kong i computer smessi, li smontava e ne costruiva altri. 

Questo l’inizio della sua missione, che ha un grande successo, negli anni in cui la Cina cerca esperti di computer. Le cooperative dei disabili computeristi si sono imposte e hanno sempre un lavoro ben remunerato. Huiling, che era una piccola realtà, ora è presente in 26 città della Cina di 17 province, con oltre 1.500 persone residenti nei centri e numerosi progetti innovativi e di eccellenza. Con Fernando sono andati due altri missionari del Pime ad Hong Kong, che vivono nelle case-famiglia con i disabili, i padri Mario Marazzi e Franco Bellati.

Nel mio soggiorno a Canton con padre Fernando visito la Cattedrale, l’episcopio di Canton e il convento con la comunità di suore che c’è dietro alla maestosa e massiccia chiesa gotica costruita nel 1890. Incontro 26 giovani suore, alle quali parlo (in inglese) delle mie esperienze in varie missioni nel mondo e Fernando traduce in cinese (cantonese). Le giovani donne ascoltano volentieri, fanno anche alcune domande. Queste ragazze - in pantaloni neri, camicetta bianca, senza velo, capelli tagliati corti, con un piccolo Crocifisso sul petto - testimoniano come sta risorgendo la comunità cattolica, ricca di vocazioni e di entusiasmo. 

Le suore vivono in piccole comunità in appartamenti fra la gente, esercitando ciascuna una professione, un lavoro, interessandosi dei poveri, collaborando con le parrocchie, prendendo contatto con le donne e le famiglie. Chiedo: «È vero che in questi giorni ci sono riunioni di preti, suore e catechisti, convocate dal governo, che vuole indottrinarvi?». «Sì – rispondono - è vero, abbiamo una riunione tutti i giorni. Ci raccontano la storia del passato, i crimini e le prepotenze dei popoli cristiani occidentali, i danni che i missionari e le suore hanno fatto al popolo cinese.[6] Però queste lezioni finiranno in pochi giorni e tutto tornerà come prima. Se anche ci fosse qualcosa di vero in quel che dicono, la nostra fede è basata sull’amore a Cristo e sulle esperienze concrete che la fede e la preghiera aiutano a vivere meglio». Testimonianze di fede e coraggio che non ho dimenticato.

 


[1] Alla morte di Mao (9 settembre 1976) diventa chiaro che la società cinese è estremamente violenta: si scoprono i massacri, le decine di milioni di morti di fame, l’uccisione sistematica dei lebbrosi e altri incurabili, la distruzione della cultura e del popolo tibetano, ecc.

[2] Quella foto anni dopo finì sulla copertina del volume di A.S. Lazzarotto, La Cina di Mao processa la Chiesa, Emi, Bologna 2008

[3] Si veda il mio Lettere di cristiani dalla Cina, Emi, Bologna 1981. Nella prefazione al volume scrivevo: «Le pagine che seguono sono uno spaccato di vita cristiana rurale, una testimonianza semplice, fresca, commuovente, di come i cristiani più poveri (quelli che un tempo erano chiamati, quasi con disprezzo, “cristiani del riso”) hanno mantenuto e propagato la fede nelle condizioni più difficili e quasi impossibili. Diciamo la verità: è un fatto meraviglioso, miracoloso, che dopo trent’anni di sofferenza e di silenzio, appena c’è un barlume di libertà, improvvisamente saltino fuori questi preti, queste famiglie e comunità unite nella fede e nella preghiera, che tutti credevamo liquidate e disperse».

[4] Storie drammatiche e bellissime di testimoni della fede in condizioni estreme sono narrate in G. Fazzini (a cura di), Il libro rosso dei martiri cinesi (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2008) e in G. Fazzini (a cura di), In catene per Cristo. Diari di martiri nella Cina di Mao (Emi, Bologna 2014).

[5] Il testo completo dell’intervista su trova nel sito www.gheddopiero.it; è una testimonianza trasmessa da Radio Maria nel 2014

[6] Nel 2000 Giovanni Paolo II decide di canonizzare 120 beati martiri in Cina (fra i quali il nostro Santo padre Alberico Crescitelli) e provoca vivaci proteste da parte del governo cinese.

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