07/06/2007, 00.00
GIAPPONE – COREA DEL NORD
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Per fuggire da Pyongyang una famiglia ha percorso 900 chilometri in barca

di Pino Cazzaniga
Si è conclusa l’odissea di quattro persone, genitori e figli, che hanno organizzato una rocambolesca traversata, al termine della quale hanno dovuto convincere le autorità giapponesi di non essere spie.

Tokyo (AsiaNews) - E’ finita all’alba di ieri, 6 giugno, l‘odissea di un gruppo di quattro persone che ha percorso in barca quasi 900 chilometri per fuggire dalla Corea del nord. Un elicottero della polizia li ha portati al centro di immigrazione nella provincia di Ibaraki per le pratiche legali che permetteranno loro di raggiungere la loro meta finale: la Corea del sud.

La loro vicenda era diventata nota il 2 giugno. All’alba di quel giorno, la guardia costiera giapponese aveva preso in custodia quattro naufraghi al largo della cittadina portuale di Fukaura nel nord ovest del Giappone. Erano una coppia sui 60 anni e due giovani sui 30, che da 5 giorni vagavano nel Mar del Giappone su un vecchio barcone di 7 metri. Il più anziano parlava un po’ di giapponese Dai documenti in possesso e dal primo interrogatorio non è stato difficile identificarli: si trattava di una famiglia di nord coreani che il 27 maggio aveva tentato la fuga dal Paese eremita su quella imbarcazione appena adatta al piccolo cabotaggio.

La meta prefissa, dissero, era la Corea del sud, ma temendo di incappare nella polizia marittima del nord che ne presidia le vie d’accesso, avevano puntato verso le coste del Giappone.

In anni recenti migliaia di nord-coreani sono fuggiti dalla loro isolata nazione per evitare la fame e l’oppressione politica, affrontando il rischio di un lungo viaggio attraverso il territorio cinese e le nazioni del sud-est asiatico per stabilirsi nella Corea del sud. Se scoperti in Cina vengono rimandati nel loro Paese dove li attendono i lavori forzati o anche il plotone di esecuzione.

Una fuga diretta verso il Giappone non avveniva dal 1987. Polizia nazionale, governo e diplomazia si sono mossi subito. Il primo ministro Shinzo Abe, che notoriamente è duro verso la Corea del nord, si è affrettato a dire: “Mi impegno a trattare il problema dal punto di vista umanitario. Il Giappone è una nazione che protegge la libertà e i diritti umani”; il 3 giugno il ministro degli esteri Taro Aso e il collega coreano Song Min Son che si trovavano nell’isola di Jeju (Corea del sud) per colloqui bilaterali, hanno assicurato che avrebbero rispettato la richiesta di asilo politico della famiglia fuggitiva.

Dal portavoce della polizia si sono conosciuti i particolari e i motivi di una fuga rocambolesca ma anche ben preparata. Gli investigatori hanno infatti trovato sul barcone (nella foto) una bussola, salsicce, acqua potabile, vestiti per ripararsi dal brutto tempo. I quattro, partiti da un porticciolo vicino alla città di Chongjing, a nord-est della penisola coreana, hanno compiuto una traversata di 900 chilometri per raggiungere le coste della provincia giapponese di Aomori. Il tempo burrascoso dei primi quattro giorni li ha costretti a rimanere aggrappati al bordo della barca per non cadere in mare.

La loro vita era diventata talmente difficile che a stento riuscivano a mangiare un po’ di pane ogni due giorni, hanno detto. “Ero scontento - ha aggiunto uno dei figli - per l’incompetente leader che sta portando la nostra società verso la regressione. Nella Corea del nord non c’ è libertà”.

Ma questa stentava ad essere concessa anche nel democratico Giappone. Il loro fermo nella stazione della polizia è durato quanto quello della traversata, nonostante il Ministro degli esteri avesse dichiarato che le probabilità che fossero spie erano minime. Agli zelanti investigatori rimaneva qualche dubbio. Uno dei quattro era in possesso di anfetamine, seppur in minima quantitàuna droga ampiamente contrabbandata in Giappone dalla Corea del nord e prodotta proprio nella città di Chongjin. Esauriente la spiegazione data: evitare di essere vittima del sonno durante la perigliosa traversata.

Più diffficile da risolvere è stato il dubbio sull’asserita povertà. Secondo il professor Toshio Miyashita, dell’università di Yamanashi, esperto della vita di ogni giorno nella Corea del nord, un litro di diesel costa il salario di un mese. E sul barcone non c’era solamente combustibile sufficiente ma anche un motore di scorta. Il dubbio non era difficile da risolvere: la fuga era stata preparata “bene”, cioè da lungo tempo. Il salario del figlio maggiore era stato risparmiato per acquistare il vecchio barcone e quanto necessario per farlo funzionare. Al resto avranno pensato i “compatrioti” della provincia cinese contigua al fiume Tumen.

Le investigazioni sono terminate. L’ultima parte della fuga da Pyongyang sarà compiuta, comodamente, in aereo.

 

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