06/10/2009, 00.00
SRI LANKA
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Profughi singalesi, a casa dopo 20 anni, trovano il villaggio occupato da musulmani

di Melani Manel Perera
Gli abitanti del villaggio di Namalwatte avevano abbandonato le loro case nel 1985 sotto l’avanzata delle Tigri tamil. Finito il conflitto le hanno trovate occupate ed il governo non fa nulla per risolvere la disputa con i nuovi abitanti. Ora accusano l’amministrazione locale di aver preso soldi dai musulmani e criticano il governo per non aver mantenuto le promesse di aiuti e soldi.
Trincomalee (AsiaNews) - Gli abitanti del villaggio di Namalwatte, nel distretto nord-est di Trincomalee, sono tornati nelle loro terre dopo 20 anni vissuti da rifugiati di guerra ed hanno trovato i loro terreni occupati.
 
Il 18 agosto 1985, 200 famiglie singalesi, 37 musulmane ed una famiglia tamil avevano abbandonato le loro case di Namalwatte a causa della guerra tra esercito e Tigri tamil. Tra il 2007 ed il 2008, con l’avanzata dei militari di Colombo e la liberazione della zona, hanno iniziato a fare ritorno nel villaggio, ma hanno trovato altri che coltivavano i loro campi e avevano costruito case sopra i loro terreni .
 
L’amara sorpresa rischia di generare un nuovo conflitto etnico tra gli abitanti originari di Namalwatte, singalesi, ed i nuovi occupanti, musulmani. La richiesta di un intervento risolutore da parte dell’autorità è rimasta per ora inevasa e gli ex-abitanti del villaggio sono costretti a vivere in alloggi di fortuna. La maggior parte di essi sono contadini e l’espropriazione delle terre da parte dei nuovi abitanti musulmani ha tolto loro l’unica forma di sostentamento.
 
D.M. Dasanayakemanike, sindaco della municipalità di Namalwatte Vidyalaya, teme che la disputa dei terreni possa generare tensioni nell’area. “Un gruppetto degli abitanti originari del villaggio hanno fatto ritorno già nel 2003, ma ora dobbiamo fare i conti con la nuova situazione generata dal reinsediamento  di massa” spiega il sindaco che aggiunge: “Serve una verifica immediata su chi siano i veri proprietari dei terreni”.
 
La vicenda di  Namalwatte fa riemergere una ferita profonda nella storia dello Sri Lanka poiché gli abitanti singalesi si sono insediati nella zona nel 1962 durante la colonizzazione pianificata dal governo verso la regione a maggioranza tamil dell’isola .
 
D.M. Ramayalatha è rientrata a Namalwatte una prima volta nel 2003, quando gli abitanti musulmani non si erano ancora insediati. Ha perso il marito, rapito dalle Tigri tamil, le cui incursioni l’hanno costretta a fuggire per al seconda volta. Ora che è tornata di nuovo,  sulla sua terra ha trovato una casa costruita dai nuovi abitanti musulmani (nella foto, la donna a sinistra).
 
Suo figlio, marinaio per 13 anni nell’esercito srilankese, racconta ad AsiaNews: “La nostra famiglia era nota e rispettata nel villaggio, ma ora abbiamo perso i campi che avevo ereditato da mio padre. Lui aveva la licenza per coltivare e noi abbiamo ancora il pieno diritto su questa terra. Siamo ancora noi i proprietari” e aggiunge: “Il problema è che le autorità non svolgono il loro dovere nel modo giusto”.
 
La comunità singalese di Namalwatte accusa le autorità di aver preso tangenti dai musulmani: “Hanno infangato la loro carica ed il loro ruolo per soldi”. Per molti il risentimento è accresciuto dal fatto di aver servito il Paese sotto le armi per anni. Ora si sentono traditi. “I funzionari del villaggio ci rimproverano di non aver curato le nostre proprietà”, afferma un ex militare della marina. E con sarcasmo e amarezza aggiunge: “Ma noi non avevamo tempo di occuparci di queste cose perché eravamo in guerra”.
 
Francis Raajan è il segretario dell’associazione Praja Abhilasha, impegnata nei numerosi casi di disputa di terreni. Spiega che “solo il Segretario di divisione ha diritto di prendere una decisione su questi problemi, ma siamo molto preoccupati per la situazione di queste persone”.
 
Le famiglie singalesi di Namalwatte lamentano di non aver ricevuto nemmeno l’aiuto promesso dal governo per ricominciare una nuova vita dopo la guerra. “Siamo tornati solo 8 mesi fa - racconta un’anziana donna - e ci avevano assicurato 25mila rupie a famiglia (circa 147 euro, ndr). Non abbiamo ancora ricevuto nulla”.
 
Molte famiglie ora vivono sulla strada che porta al villaggio, nei pressi della zona chiamata Kinniya. Si sono sistemate alla buona usando tende donate da una ong e mangiando il cibo fornito dagli operatori dell’Onu. “Lottiamo per sopravvivere - dice un anziano singalese – e non abbiamo ricevuto nessun aiuto da quello che il governo sbandiera come il Negenahira Udanaya, il Programma per la rinascita dell’Est”.
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