28/09/2007, 00.00
CINA - PAPUA NUOVA GUINEA
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Ribellioni al “colonialismo” cinese in Papua-Nuova Guinea

Decine di migliaia di cinesi si sono stabiliti nell’isola, anche immigrando illegalmente, e hanno occupato commerci legali e non. Portano via materie prime e sfruttano i lavoratori pagando poco. Hanno “importato” persino gruppi criminali. Ora la rabbia della popolazione esplode in saccheggi di massa contro i negozi cinesi.

Pechino (AsiaNews) – Pesca, legname, oro, argento, rame, commercio al minuto nelle città, ma anche bande criminali per “ripulire” denaro sporco: nella Papua- Nuova Guinea molte attività economiche sono controllate da cinesi, che spesso sfruttano senza scrupoli la popolazione e le risorse. Ma ora cresce la protesta e negli ultimi mesi la folla inferocita ha saccheggiato i negozi del quartiere cinese, sotto lo sguardo della polizia.

Decine di migliaia di cinesi, ma anche  altri asiatici (come malaysiani e filippini) sono entrati nel Paese illegalmente, ma si sono fatti presto strada con denaro contante e corruzione. Ora controllano la pesca e i pescatori papuani sono salariati spesso sfruttati per orari e obblighi di lavoro. Intere foreste pluviali sono state abbattute per il legno pregiato, senza cura del danno ambientale. La corruzione e il contrabbando sono pratiche diffuse. In molte città i principali negozi sono di proprietà di asiatici.

Inoltre i cinesi e gli altri asiatici non si integrano con la popolazione locale, che vogliono solo sfruttare con metodi colonialisti. Solo alcuni gruppi filippini, cattolici, sono più equi nel pagare quanto è giusto. Il Giappone, tramite le rappresentanze diplomatiche, ha offerto attrezzature per uffici pubblici e scuole, ma la gente è ostile perché ne ricorda la violenta occupazione durante la Seconda guerra mondiale.

Gruppi criminali cinesi hanno anche usato la zona per “ripulire” denaro sporco e prendono sempre maggior controllo del territorio, senza che la scarsa polizia possa opporsi. Invece che denaro, gli asiatici hanno importato malattie sociali gravi, soprattutto l’Hiv, ormai molto diffuso persino in scuole superiori e università.

Ma ora il risentimento della popolazione sta esplodendo in violenze di piazza.

Il 20 settembre mattina a Mount Hagen, terza città del Paese, una folla di circa 6 mila persone ha assalito e depredato numerosi negozi nel distretto di Chinatown, la zona più commerciale dove la gran parte dei negozi sono di cinesi e coreani. Persino bambini delle scuole elementari correvano portando via bracciate di abiti, cibo e stoviglie. Per almeno 3 ore la città  è stata nel caos e la polizia non è riuscita a intervenire, prima di ricevere rinforzi e di usare gas lacrimogeni e spari in aria per riprendere il controllo. Ancora il giorno dopo ci sono stati saccheggi, più isolati. I negozi sono rimasti chiusi e per giorni la polizia ha dovuto presidiare le strade.

Ma in Papua violenze simili ci sono già state, negli ultimi mesi, nelle città di Port Moresby, Lae, Madang, Rabaul. Nel novembre 2006 a Nuku’alofa, capitale della vicina Tonga, i negozi di circa 30 cinesi hanno subito attentati esplosivi o saccheggi. Sempre nel 2006 la folla ha depredato e incendiato la zona commerciale del quartiere cinese di Honiara, Isole Salomone.

 

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