14/12/2015, 00.00
SRI LANKA
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Sri Lanka, attivisti: L’accordo sul clima scarica sui Paesi poveri il fardello dei disastri ambientali

di Melani Manel Perera
Ogni anno circa 26 milioni di persone migrano all’interno del proprio Paese o attraversano le frontiere a causa dei disastri ambientali. Nei prossimi 10 anni il numero salirà a un miliardo. Negoziatori dei governi dicono che si è raggiunto un accordo ambizioso, “ma è solo una tattica dilatoria”. Il tetto massimo di due gradi e l’impegno a limitare l’aumento del riscaldamento a globale a 1,5 “non salverà il mondo”.

Colombo (AsiaNews) – L’accordo raggiunto a Parigi dalla Conferenza delle Parti sul clima non salverà il mondo dai gravi disastri climatici che stanno avvenendo in questo momento e lascerà i Paesi poveri da soli di fronte a danni che non hanno creato. È questo il senso di quanto gli attivisti del Centre for Environmental Justice/Friends of the Earth dello Sri Lanka (Cej) dicono ad AsiaNews. Hemantha Withanage, direttore esecutivo del Cej, commenta: “Oggi migliaia di persone sfilano per le strade di Parigi domandando ‘giustizia ambientale’ e ‘potere alle persone adesso’. Con ogni probabilità, l’apatia dei leader politici non porterà al raggiungimento di un accordo globale per risolvere il cambiamento climatico. È chiaro che i capi di Stato e di governo non firmeranno un accordo di giustizia per l’ambiente. La lotta per la giustizia climatica non finirà a Parigi”.

Secondo il dott. Withanage, “i negoziatori dei vari governi riferiscono che sarà un accordo giusto e ambizioso, ma gli ambientalisti riuniti nella capitale francese ritengono che sia una tattica dilatoria. Le popolazioni vulnerabili e afflitte meritano un accordo migliore, soprattutto perché vivono in grave pericolo nei Paesi poveri a causa delle condizioni climatiche”.

Il direttore esecutivo del Cej aggiunge: “Le agenzie Onu, come l’Unhcr [l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati – ndr] e il Consiglio per i diritti umani, riportano che l’aumento attuale di 0,8 gradi sta provocando migrazioni su larga scala. Circa 26 milioni di persone ogni anno già si spostano all’interno dei Paesi o attraversano le frontiere a causa di eventi estremi come uragani o siccità. Le istituzioni internazionali avvertono che in meno di 10 anni circa un miliardo di persone potrebbe essere in queste condizioni, se si intensificheranno­ eventi dalle conseguenze non immediate ma prolungate nel tempo, come l’aumento delle temperature e del livello dei mari”.

Asad Rehman, portavoce dell’associazione Friends of the Earth International, condivide i dubbi: “L’iceberg ha colpito, la nave sta affondando e il gruppo sta ancora suonando per ricevere calorosi applausi”. Il riferimento è all’aumento di tre gradi del riscaldamento globale, previsto nei prossimi anni.

Withanage spiega inoltre: “I maggiori problemi dell’accordo di Parigi è che esso prevede un tetto massimo di due gradi per l’aumento del riscaldamento globale e un impegno di tutti i Paesi a limitare le temperature a 1,5 gradi. Questo significa che senza un obbligo per i Paesi ricchi a diminuire l’emissione dei gas serra e a fornire finanziamenti in base alle loro responsabilità, il fardello sarà scaricato sui Paesi in via di sviluppo. Se vogliamo evitare un clima ‘impazzito’, dobbiamo con urgenza tagliare le emissioni, non solo posticiparle”. L’accordo infatti non stabilisce una data per la fine dell’uso di combustibili fossili, ma parla solo di ridurre l’inquinamento “il prima possibile”.

L’attivista conclude con una riflessione sui costi umani di questo accordo: “Dobbiamo riconoscere che l’impatto del cambiamento climatico è già irreparabile. L’accordo esclude in maniera esplicita forme di compensazione per le popolazioni già colpite dai disastri. Le esperienze passate ci insegnano che senza un vero meccanismo di risarcimento per le vittime, le comunità più vulnerabili saranno lasciate a se stesse, a fronteggiare danni che non hanno creato”.

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