20/02/2013, 00.00
MYANMAR
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Vescovo di Myitkyina: riforma federalista, per una pace duratura fra Kachin e birmani

Mons. Francis Daw Tang lancia un appello per la fine del conflitto, che ha causato decine di vittime civili e la distruzione di oltre 60 luoghi di culto cristiani. Il prelato rilancia l’accordo di Panglong, avanzato nel 1947 dal generale Aung San. E sottolinea: la pace “è possibile” ma serve un “vero federalismo”.

Yangon (AsiaNews/EdA) - Nel conflitto sanguinoso che vede contrapposti l'esercito birmano e le milizie etniche Kachin, nell'omonimo Stato a nord del Myanmar, lungo il confine con la Cina, interviene il vescovo di Myitkyina che lancia un appello alla pace e al federalismo. Se la fine delle violenze è la premessa necessaria per intavolare le trattative, avverte il prelato in una nota diffusa nei giorni scorsi, per una soluzione di lungo periodo è necessario rilanciare un cammino riformista; e in una nazione composta da oltre cento gruppi etnici, esso deve avere una chiave federalista, basato sull'accordo di Panglong promosso da Aung San (padre di Suu Kyi) e rappresentanze di gruppi etnici nel 1947, ma che non ha trovato effettiva applicazione. Tuttavia, i punti cardine dell'accordo restano il punto iniziale per poter ricostruire l'unità nazionale dopo decenni di divisioni, pur nel rispetto delle autonomie locali.

Oggi a Chiang Mai, in Thailandia, sono in programma nuovo incontri fra rappresentanti Kachin ed esponenti del governo, dopo un primo round di colloqui il 4 febbraio scorso. Le trattative sono frutto della pressione diplomatica della Cina e della comunità internazionale, mentre l'inviato speciale Onu Tomas Quintana conferma la "perdurante pratica di arresti arbitrari e abusi" su civili, sospettati di legami con le milizie ribelli. L'iniziativa di Pechino ha portato a un cessate il fuoco temporaneo, ma non si può parlare di tregua stabile. Secondo fonti cristiane, la ripresa delle ostilità nel giugno 2011 ha causato la devastazione di almeno 66 luoghi di culto, oltre che numerose vittime civili.

Mons. Francis Daw Tang, della diocesi di Myitkyina, è intervenuto lo scorso 8 febbraio con un comunicato che riprende l'appello per la fine delle violenze già lanciato il 17 gennaio dai vertici della Chiesa - cattolica e protestante - birmana. Il 66enne prelato sottolinea le terribili sofferenze causate "allo Stato Kachin e alla sua popolazione dai combattimenti degli ultimi mesi". Il vescovo ricorda che la Chiesa non ha ruoli politici, ma opera per la pace e chiede a tutti di "ritornare al tavolo dei negoziati, perché la pace è possibile".

Mons. Francis ricorda le sofferenze dei profughi e le sofferenze imposte ai Kachin, un popolo a larga maggioranza cristiano che percepisce "l'invasione" dei buddisti birmani come tentativo di dominazione (anche) linguistica e religiosa. Per questo è necessario "tornare al consenso raggiungo a Panglong", per dare nuova linfa al principio di "unità nella diversità". "Le preferenze mostrate per una determinata razza, religione e lingua - conclude il prelato - hanno infettato una ferita al cuore dell'identità culturale di molte comunità, che non potrà essere sanata se non con la nascita di un vero federalismo".

La Conferenza di Panglong, del febbraio 1947, è uno storico incontro che ha avuto luogo nell'omonima cittadina dello Stato Shan, tra rappresentanti del governo guidati da Aung San e leader delle minoranze etniche Shan, Chin e Kachin; Karen e Karenni hanno preso parte solo in qualità di osservatori, mentre Mon e Arakan erano considerati già parte integrante della Birmania. L'accordo ha dato il via alla nascita di uno Stato indipendente - dal 4 gennaio 1948 - e ha stabilito proprio nel 12 febbraio (giorno dell'accordo) la giornata di festa nazionale. Tuttavia, nel corso degli anni sono divampate numerose insurrezioni di Arakan, Karen, Mon, Kachin (tuttora in corso), Chin e Shan, che hanno ostacolato la realizzazione di un Paese federale e rispettoso dele autonomie; anzi, il regime militare al potere fino al 2011 ha sempre promosso la centralizzazione del potere. 

L'organizzazione Kachin Kio (Kachin Indipendence Organisation), braccio "politico" del Kia (Kachin Indipendence Army), è il solo gruppo "ribelle" birmano a non aver sottoscritto un accordo di pace con il presidente Thein Sein e il governo "riformista". Le violenze sono riprese nel giugno 2011, dopo circa 17 anni di relativa calma. Alla base dello scontro, il rifiuto opposto dai leader Kachin di abbandonare una "postazione strategica", che sorge accanto a un importante impianto idroelettrico, frutto di un accordo congiunto fra Cina e Myanmar. Per gli esperti è proprio lo scontro coi Kachin, il "problema dei problemi" - nel lungo periodo - che dovrà affrontare e risolvere il governo centrale in un'ottica di "democratizzazione".

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