03/07/2006, 00.00
India – Cina
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Vescovo indiano: "La ferrovia per Lhasa, strumento di colonizzazione"

di Prakash Dubey

Il vescovo di Bettiah, che lavora a stretto contatto con i rifugiati tibetani in India, dubita del desiderio di modernizzazione del Tibet sbandierato da Pechino. Il Dalai Lama appoggia la novità, se non nasconde fini politici.

Siliguri (AsiaNews) – La Chiesa indiana che lavora con i rifugiati tibetani "non può, seguendo gli insegnamenti di Cristo, approvare la nuova ferrovia che collega la capitale del Tibet al centro della Cina, se il suo scopo è quello di colonizzare ancora di più una regione oramai indifesa". Il Dalai Lama – massima autorità spirituale e politica del Tibet – ha invece "appoggiato il progetto, a meno che non nasconda fini politici".

Mons. Thakur, il vescovo di Bettiah - diocesi indiana che lavora moltissimo con i rifugiati – commenta ad AsiaNews la nuova tratta ferroviaria, inaugurata il primo luglio, che collega Pechino a Lhasa. Con i suoi quattro mila chilometri di lunghezza, è stata definita dal presidente cinese Hu Jintao "un miracolo, una nuova meraviglia mondiale".

"In apparenza – spiega il presule - il collegamento fra la Cina ed il Tibet potrebbe portare benefici economici, ma la storia è testimone del fatto che i cinesi hanno saccheggiato in maniera sistematica la cultura ed il modo di vivere dei tibetani sin dall'invasione della regione, nel 1949". "Per questo – aggiunge mons. Thakur – dubito che il desiderio di Pechino sia quello di modernizzare il Tibet. Se dovesse avere uno scopo diverso da quello dichiarato, questa linea ferroviaria potrebbe aiutare la peggiore forma di tirannia culturale contro gli indifesi nativi. Come discepolo di Gesù Cristo, non potrei mai approvare una cosa del genere".

Sono circa 150 mila i rifugiati tibetani che da 47 anni vivono in dozzine di campi provvisori indiani. "Con la ferrovia – dice ad AsiaNews Lhakpa Gyaltshen, giovane rifugiato nato in un campo nei pressi di Darjeeling – muore del tutto la nostra speranza di poter difendere la cultura, l'economia e le risorse naturali del Tibet. Abbiamo seguito il Dalai Lama nell'esilio per evitare la morte della nostra tradizione, ma se la Cina entra in una maniera così devastante in Tibet, distruggerà tutto". "L'operazione ferroviaria – spiega – significa essere soggiogati in maniera totale all'egemonia cinese, nella forma peggiore che esista. Questo ci sconvolge nel profondo".

Gsergyi Gyang, un altro rifugiato che vive nello stesso campo, spiega che tutti i tibetani – religiosi buddisti e laici – stanno tenendo manifestazioni di protesta in vari campi per rifugiati del Paese, fra cui quello di Dharamsala, sede del governo tibetano in esilio e dimora del Dalai Lama. Le manifestazioni hanno come tema 'Opporsi alla brutale colonizzazione del Tibet da parte dell'etnia han':

"Sappiamo che queste proteste non daranno molto fastidio ai cinesi colonizzatori – spiega Gsergyi – ma vogliamo dimostrare al mondo in che modo la Cina sta devastando la nostra terra con la scusa della modernizzazione". "In ogni caso – aggiunge – siamo ottimisti: un giorno la tirannia cinese finirà e noi potremo tornare alla nostra terra. La nostra vera paura è che, al ritorno, potremmo trovare solo le rovine della nostra cultura".

Secondo Tezing Choeden, attivista del gruppo 'Studenti per un libero Tibet', la ferrovia "porterà in Tibet un'ondata di cinesi, che vorranno rimanere. Questo si chiama genocidio culturale, perché l'etnia han, aiutata dal governo, diventerà sempre più potente e spingerà sempre di più ai margini i nativi".

Diversa, e per alcuni attivisti "sconvolgente", la visione della suprema autorità tibetana, il Dalai Lama. "Se non vi sono motivazioni politiche nascoste – ha dichiarato il suo portavoce, Thupten Samphel – la ferrovia sarà una buona cosa per il Tibet. Questo è il motivo per cui il Dalai Lama appoggia il progetto". "Tuttavia – ha aggiunto – se dovesse portare danni ambientali o una maggiore colonizzazione, avrà un effetto disastroso".

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