12/12/2018, 12.47
BANGLADESH
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Bangladesh, viaggio nel fenomeno ‘sommerso’ delle madrasse per bambine

Circa sei milioni di ragazze studiano in scuole coraniche sponsorizzate da governo o donatori privati. Esiste una finalità “sociale” delle madrasse che accolgono bambine orfane. Il rischio di “santificazione del Corano senza spiegazione teologica”. Le alunne saranno “mogli docili e conservatrici nel vivere l’islam”.

Dhaka (AsiaNews) – In Bangladesh esiste un fenomeno “molto sommerso, elusivo”, ma sempre più diffuso e di cui si parla poco: è quello delle madrasse per le bambine. Una fonte cristiana locale sostiene che “si tratta di scuole coraniche a tutti gli effetti, dove viene impartito l’insegnamento della religione islamica per lo più a memoria. In queste scuole viene insegnato l’arabo, ma spesso i docenti non hanno una buona conoscenza della lingua. Pertanto, in buona sostanza, quello che avviene è una sorta di santificazione del Corano, appreso in forma automatica senza una reale interpretazione o processo di esegesi”.

In passato in Bangladesh le bambine studiavano a casa. Ora invece, secondo un reportage condotto nelle scuole di tutto il Paese dal Guardian, circa sei milioni di ragazze studiano nelle madrasse. Ciò che spinge le famiglie a scegliere un insegnamento simile, spiega un commerciante di Dhaka, “è il fatto che le scuole sono gratuite e parificate agli istituti statali. Di certo la qualità dell’insegnamento non è paragonabile, ma queste scuole rappresentano la soluzione migliore per molte famiglie indigenti, che altrimenti non avrebbero i soldi per far studiare i propri figli”.

Le scuole sono di due tipi: “Quomi”, private, e “Alia”, sponsorizzate dal governo. Nelle prime (6.500 in tutto il territorio) sono iscritte 1,5 milioni di bambine; le restanti studiano nelle seconde (quasi 7mila), dove oltre alla religione islamica vengono insegnate le classiche materie dei programmi statali, come la lingua inglese, matematica, storia e scienze. Secondo l’inchiesta, da questo secondo gruppo di madrasse proviene circa il 30% delle docenti universitarie del Paese, perché le alunne iscritte nelle scuole Alia poi completano la formazione superiore in scuole secolari.

La differenza sostanziale tra le prime e le seconde, spiega la fonte, “è che le Quomi si sostengono con donazioni private, però è molto difficile riuscire a capire che tipo di programma insegnano, se si adegua al protocollo nazionale oppure no; mentre le Alia sono sottoposte a certificazione e controllo. In queste seconde, sebbene vi sia una marcata impronta religiosa, la qualità è buona e le ragazze hanno accesso a studi successivi”.

Tutto sommato, continua, “in un Paese con 160 milioni di persone, 1,5 milioni di ragazze educate nelle madrasse Quomi è un numero ridotto. Inoltre è positivo il fine sociale di queste scuole, che si prendono cura di ragazze orfane, che non hanno i genitori oppure che i parenti non possono mantenere”.

Tuttavia, sottolinea riferendosi in generale alle scuole islamiche (anche per i maschi), “bisogna guardare al tipo d’insegnamento del Corano: i testi sacri vengono memorizzati senza capirne il senso. Da qui sorge un problema nel principio educativo: la sola memorizzazione porta ad una santificazione del testo senza comprensione. Quindi i giovani presumono di conoscere il Corano e l’arabo, invece hanno memorizzato alla meno peggio, senza una vera spiegazione teologica”. Il rischio “è che l’interpretazione successiva venga influenzata dal contesto, dalle amicizie e da presupposti pericolosi come sentimenti di emarginazione sociale e presunzione di conoscere la religione. Il pericolo di questo tipo d’insegnamento è che esso non esclude la possibilità che si sviluppino comportamenti radicalizzati, dettati soprattutto dalla deriva wahabita che ha assunto l’islam del Bangladesh, al contrario del precedente orientamento sufi”.

Per quanto riguarda infine le ragazze educate nelle madrasse, “dal punto di vista sociale, sono donne docili nei confronti del marito cui vengono date in moglie; dal punto di vista religioso, rigide e conservatrici nel modo di vivere il proprio credo”.

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