06/06/2025, 13.08
LIBANO - ISRAELE
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Beirut: massiccio attacco di Israele, duplice messaggio a Hezbollah e Trump

di Fady Noun

Alla vigilia della festa di Eid Al Adha, l’esercito israeliano ha sferrato una delle più imponenti ondate di attacchi. Il vano tentativo di Aoun di bloccare l’operazione militare e le nuove minacce del ministro israeliano della Difesa. Hezbollah usa la “diplomazia lenta” sul modello iraniano. Di contro vi è una certa impazienza in Israele per le politiche Usa nella regione. 

Beirut (AsiaNews) - Analisti ed esperti la definiscono una delle più imponenti ondate di attacchi condotte da Israele dal 27 novembre 2023, quando è iniziato il conflitto con le milizie sciite di Hezbollah in territorio libanese, intervenute a sostegno di Hamas a Gaza. Ieri sera, alla vigilia della grande festa musulmana di Eid Al Adha, lo Stato ebraico ha lanciato una serie di raid contro la periferia meridionale di Beirut, colpendo non meno di quattro quartieri e costringendo gli abitanti nelle strade e nelle piazze pubbliche. Obiettivo dichiarato dell’operazione: edifici i cui scantinati sono utilizzati per la produzione e lo stoccaggio di droni.

Fortunatamente, l’esercito israeliano aveva in precedenza richiesto l’evacuazione dei quartieri interessati. Nel frattempo il capo di Stato Joseph Aoun ha moltiplicato i canali di dialogo e i tentativi di contatto per impedire gli attacchi, sostenendo che le forze armate libanesi avrebbero controllato i cinque edifici designati come obiettivi dal portavoce militare israeliano. Tuttavia, la sua opera è risultata vana e ogni richiesta respinta al mittente.

Il ministro israeliano della Difesa Israel Katz ha giustificato l’operazione affermando che “il Libano deve rispettare gli accordi in vigore”. “Se non farà - ha proseguito - ciò che gli viene richiesto, continueremo ad agire, e con grande forza”. Immediata la reazione verbale del presidente Aoun a conclusione dei raid, con una nota in cui parla di “attacchi non mirati contro l'intero Libano”. Il primo ministro Nawaf Salam li ha definiti “una palese violazione della sovranità libanese e della risoluzione 1701”. In Libano è forte il timore che questi sviluppi possano danneggiare quella che sembra essere una promettente stagione turistica. Al contempo, desta sorpresa il fatto che i raid israeliani di ieri non abbiano interrotto il traffico e i voli all’aeroporto internazionale di Beirut.

Messaggio chiaro e diretto

L’escalation israeliana è un “messaggio chiaro e diretto” alle autorità libanesi, che sono state criticate per il ritardo nel disarmo di Hezbollah, secondo gli osservatori. Arriva anche a un giorno di distanza dal lancio di un missile dal sud della Siria verso le Alture del Golan, che lo Stato ebraico ha annesso. Un bombardamento che è stato rivendicato da un gruppo finora sconosciuto, la “Resistenza islamica siriana”. Tuttavia, secondo diversi osservatori è probabile che questo gruppo porti la firma di Hezbollah, per il suo stesso nome di “resistenza islamica”.

A prescindere da questo sviluppo, l’avvertimento è rivolto soprattutto al presidente Aoun, al quale Israele e Washington chiedono di onorare i suoi impegni in merito al monopolio dello Stato libanese sulle armi. Da parte sua, il capo dello Stato giustifica la relativa “lentezza” del processo col desiderio di evitare uno scontro tra i miliziani sciiti e l’esercito stesso. “Il potere in Libano non è autocratico come in Siria e non può essere altrettanto efficace” si sostiene anche nelle alte sfere istituzionali, sottolineando inoltre che lo stesso Aoun è in carica da soli cinque mesi.

Hezbollah: diplomazia lenta

Da parte di Hezbollah, vi è da sottolineare che mentre lo smantellamento delle posizioni del “partito di Dio” a sud del Litani sembra essere quasi completo, con non meno di 500 posizioni consegnate all’esercito, al tempo stesso non vi è alcuna intenzione di fare lo stesso altrove. Quantomeno non prima che Israele mantenga la sua parte dell’accordo fermando gli attacchi e gli assassinii, rilasciando i prigionieri libanesi che detiene e ritirandosi dalle cinque alture che ha deciso di mantenere come “punti di osservazione” all’interno del territorio libanese.

Se l’argomentazione non è del tutto falsa e peregrina, il partito potrebbe anche ispirarsi alla “diplomazia lenta” praticata dall’Iran nelle sue discussioni sul nucleare, che è evidente anche nella scelta libanese di disarmare gradualmente i dodici campi palestinesi in Libano a partire dal 15 giugno. Questa decisione, presa in fretta e furia durante la recente visita in Libano di Mahmoud Abbas, capo dell’Autorità Palestinese, si è scontrata col rifiuto di fazioni come Hamas e Jihad Islamica - presenti in particolare ad Aïn el-Héloué, vicino a Saïda, il campo più grande del Libano - di rispettare la direttiva del presidente palestinese di cui non riconoscono l’autorità.

Impazienza di Israele

Secondo alcuni, infine, i raid di ieri si spiegano anche con una certa impazienza da parte di Israele, che teme un’inversione della politica americana in Medio oriente. Nelle ultime settimane, tre funzionari statunitensi noti per la loro vicinanza allo Stato ebraico sembrano essere stati rimossi dall’amministrazione di Donald Trump: Merav Ceren, responsabile di Israele e dell’Iran presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale, Eric Trager, responsabile del Medio oriente e Nord Africa, e soprattutto Morgan Ortagus, l’inviata Usa per il Libano. Nella stampa israeliana, soprattutto la rimozione di quest’ultima considerata un “falco”, che si distingueva per la sua schiettezza e le sue posizioni estreme, è molto rimpianta. Il timore è che, nell’ambito dell’evoluzione imprevedibile della politica estera del presidente Usa, la Ortagus venga sostituito da una figura più conciliante.

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