30/04/2023, 11.21
UNGHERIA - VATICANO
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Budapest, Papa: frontiere ‘zone di contatto’, la carità ‘unisce’ oltre le differenze

Alla Madonna patrona di Ungheria affida “il futuro” del continente europeo e “in modo particolare la causa della pace” per un avvenire “di culle, non di tombe”. Nell’omelia si è soffermato sulla figura del Buon Pastore, la missione “in uscita” esortando a diventare come Gesù “porta aperta”. Ieri l’incontro col metropolita Hilarion, i giovani e 600 poveri e profughi. Il monito del pontefice: la carità richiede “il coraggio di toccare”. 

Budapest (AsiaNews) - I confini non siano “frontiere che separano, ma zone di contatto”, i credenti mettano “al primo posto la carità che unisce e non le differenze storiche, culturali e religiose che dividono” e ai giovani un “futuro di speranza, non di guerra”. È quanto ha sottolineato papa Francesco prima della recita del Regina Caeli, al termine della messa concelebrata questa mattina davanti a 50mila fedeli riuniti in piazza Kossuth Lajos, a Budapest, nella giornata conclusiva del viaggio apostolico in Ungheria. In un mondo segnato dalle violenze, il Vangelo “ci accomuna” ed è tornando alle sorgenti “che il cammino tra i cristiani proseguirà secondo la volontà di Gesù”, il “Buon Pastore che ci vuole uniti in un solo gregge”. A seguire egli si rivolge alla Madonna - la Magna Domina Hungarorum, regina e patrona cui ha reso omaggio con una preghiera silenziosa al termine della messa - cui affida gli ungheresi e ripone nel suo cuore “la fede e il futuro dell’intero Continente europeo […] e in modo particolare la causa della pace”.

“Santa Vergine, guarda ai popoli che più soffrono. Guarda soprattutto - sottolinea papa Francesco, che rivolge un “ricordo speciale” anche ad ammalati e anziani e a quanti hanno smarrito la fede in Dio e la speranza nella vita - al vicino martoriato popolo ucraino e al popolo russo, a te consacrati. Tu sei la Regina della pace, infondi nei cuori degli uomini e dei responsabili delle Nazioni il desiderio di costruire la pace, di dare alle giovani generazioni un futuro di speranza, non di guerra; un avvenire pieno di culle, non di tombe; un mondo di fratelli, non di muri”.

In precedenza, nell’omelia della messa della IV domenica di Pasqua si è soffermato sulla figura del Buon Pastore e sul senso della missione “in uscita”, diventando come Gesù “porta aperta”. “È triste e fa male - afferma - vedere porte chiuse: le porte chiuse del nostro egoismo verso chi ci cammina accanto ogni giorno; le porte chiuse del nostro individualismo in una società che rischia di atrofizzarsi nella solitudine; le porte chiuse della nostra indifferenza nei confronti di chi è nella sofferenza e nella povertà; le porte chiuse verso chi è straniero, diverso, migrante, povero. E perfino le porte chiuse delle nostre comunità ecclesiali: chiuse tra di noi, chiuse verso il mondo, chiuse verso chi ‘non è in regola’, chiuse verso chi anela al perdono di Dio”. Da qui, l’appello ai presenti - oltre a fedeli, sacerdoti e vertici ecclesiastici, diplomatici e istituzioni anche una rappresentanza della comunità ebraica - soprattutto a vescovi e pastori: “Per favore: apriamo le porte!”. 

Nella sua riflessione il papa chiede di essere “aperti e inclusivi gli uni verso gli altri”, attaccando quanti tengono le porte chiuse. E rivolgendosi alla classe dirigente del Paese e al suo popolo chiede di “aiutare l’Ungheria a crescere nella fraternità” richiamando una volta di più la sfida epocale delle migrazioni che non si affronta coi muri. Da qui il ritorno alla figura del Buon Pastore che “dona la vita per le sue pecore” compiendo due azioni: “Dapprima le chiama, poi le conduce fuori”. In principio vi è la “chiamata di Dio”, come sottolinea l’apostolo Pietro nella seconda Lettura: “Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime”. Il compito dei cristiani, ricorda, è “rendere il suo ovile inclusivo e mai escludente […] senza farci prendere dalla preoccupazione di difendere ciascuno il proprio spazio, ma aprendoci all’amore”. 

Dopo aver chiamato le sue pecore, il pastore “le conduce fuori” dall’ovile inviandole nel mondo perché “con coraggio e senza paura” diventino annunciatori del Vangelo. Un movimento che possiamo cogliere dall’immagine della porta, che è Gesù, dal quale entriamo e usciamo. “Gesù è la porta - prosegue - che si è spalancata per farci entrare nella comunione del Padre e sperimentare la sua misericordia”, ma “dopo averci ricondotti nell’abbraccio di Dio […] ci fa uscire verso il mondo. Egli ci spinge - afferma il papa - ad andare incontro ai fratelli” nessuno escluso. Serve il coraggio “di raggiungere ogni periferia che ha bisogno della luce del Vangelo” con un richiamo all’esortazione apostolica Evangelii gaudium,

Giornata densa di appuntamenti anche quella di ieri a Budapest per il pontefice, che ha incontrato fra il metropolita Hilarion, oltre 600 fra poveri e rifugiati riuniti dentro e fuori la chiesa di santa Elisabetta e una rappresentanza di ragazzi e ragazze ungheresi. Di particolare valore, anche per l’attenzione da sempre mostrata dal papa argentino per il tema delle migrazioni, l’appuntamento con poveri e rifugiati in cui ha ricordato che la fede non deve essere “preda di una sorta di egoismo spirituale” ma deve scomodarsi per uscire incontro ai bisognosi. Al riguardo Francesco esalta la figura della santa, alla quale il popolo ungherese è devoto, che ha seguito l’esempio del poverello di Assisi spogliandosi delle ricchezze per dedicare la vita agli ultimi.

Durante l’incontro con poveri e rifugiati, il pontefice ha ascoltato le testimonianze di tre famiglie una delle quali di origine ucraina, fuggita circa un anno fa quando i bombardamenti hanno causato gravi danni alla loro città. E toccando il tema della carità sottolinea che non è semplice assistenza materiale e sociale, ma si preoccupa della persona attraverso l’amore di Gesù che aiuta a riacquistare bellezza e dignità. “Per fare la carità - spiega - ci vuole il coraggio di toccare, tu non puoi buttare l’elemosina a distanza senza toccare”.

In un mondo dove aumentano muri e divisioni, il papa afferma: “Questa è la testimonianza che ci è richiesta: la compassione verso tutti, specialmente verso coloro che sono segnati dalla povertà, dalla malattia e dal dolore. Abbiamo bisogno di una Chiesa che parli fluentemente il linguaggio della carità, idioma universale che tutti ascoltano e comprendono, anche i più lontani, anche coloro che non credono”. La vera fede e quella “che scomoda, che rischia, che fa uscire incontro ai poveri e rende capaci di parlare con la vita il linguaggio della carità. Come afferma San Paolo, possiamo parlare tante lingue, possedere sapienza e ricchezze, ma se non abbiamo la carità non abbiamo niente e non siamo niente”. “L’amore che Gesù ci dona e che ci comanda di vivere contribuisce allora a estirpare dalla società, dalle città e dai luoghi in cui viviamo, i mali dell’indifferenza, è una peste l’indifferenza, il male dell’egoismo, e riaccende - conclude rivolgendosi a poveri e migranti - la speranza di un’umanità nuova, più giusta e fraterna, dove tutti possano sentirsi a casa”.  

Sempre ieri papa Francesco ha incontrato 12mila giovani che lo attendevano alla Papp László Budapest Sportarena, il principale palazzetto dello sport coperto della capitale ungherese, in rappresentanza dei 45mila studenti di superiori e università cattoliche del Paese. Dopo aver ascoltato alcune storie, il papa invita a guardare a Cristo per “sfidare senza paura l’avventura della vita”. Egli non vuole “scolari che ripetono una lezione” ma “giovani liberi e in cammino”. Da qui l’invito ad andare controcorrente e trovare un tempo di silenzio ogni giorno per fermarsi e pregare. Il silenzio, spiega, non va usato per “immergersi nelle proprie malinconie” o per stare incollati al cellulare, perché “la vita è reale, non virtuale, non avviene su uno schermo” ma “nel mondo”.

Da ultimo il faccia a faccia con il metropolita Hilarion, per 13 anni responsabile del Dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, e dallo scorso anno in Ungheria. Un incontro che si inserisce in un quadro complicato dalla guerra russa contro l’Ucraina, sostenuta dal patriarca Kirill e che ha segnato una profonda frattura anche all’interno del mondo ortodosso. L’incontro fra Francesco e Hilarion è avvenuto all’interno della nunziatura ed è stato caratterizzato da toni “cordiali”, un abbraccio fra i due e il papa che ha baciato la sua croce pettorale.

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