25/05/2015, 00.00
MYANMAR - ASIA
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Cardinale di Yangon: Il Myanmar ha il dovere morale di risolvere il dramma Rohingya

di Charles Maung Bo*
In Malaysia scoperte 139 fosse comuni di migranti, sparse in 28 campi nei pressi del confine con la Thailandia. In una lettera il card. Charles Bo ricorda l’obbligo di aiutare questi moderni boat-people a ritrovare dignità e diritti. Il porporato parla di “agonia” dalle immani dimensioni ed invita tutti i cittadini a collaborare per risolvere l’emergenza.

Yangon (AsiaNews) - Le forze di sicurezza della Malaysia hanno scoperto 139 fosse comuni di migranti in 28 diversi campi, situati al confine con la Thailandia, e abbandonati dai trafficanti di vite umane. I ritrovamenti sono avvenuti fra l’11 e il 23 maggio, ma solo oggi sono stati comunicati in via ufficiale dalle autorità di Kuala Lumpur. Fra le vittime vi sono in larga maggioranza i Rohingya - minoranza musulmana del Myanmar perseguitata e privata del diritto di cittadinanza - oltre che lavoratori migranti del Bangladesh.

Negli ultimi 10 giorni oltre 3mila persone, in maggioranza provenienti dalla ex Birmania, insieme a lavoratori migranti del Bangladesh, sono stati soccorsi nel mare delle Andamane e al largo delle coste di Indonesia, Malaysia e Thailandia. Un dramma che si è acuito con il giro di vite imposto da Bangkok - vero e proprio crocevia della tratta - sul commercio di vite umane, dopo la scoperta di una fossa comune nei pressi del confine con la Malaysia in cui erano sepolti decine di Rohingya.

La situazione è quindi precipitata con la politica dei respingimenti adottata - e sconfessata in un secondo momento, al termine di un vertice fra ministri degli Esteri - da Jakarta e Kuala Lumpur. Per trovare una risposta comune all’emergenza, il 29 maggio prossimo a Bangkok si terrà un vertice straordinario dei Paesi Asean, allargato ad altre nazioni coinvolte nel traffico di vite umane.

Sul dramma dei moderni boat-people è intervenuto, con un comunicato ufficiale inviato ad AsiaNews, il card Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, primo porporato della storia del Myanmar. 

Nella acque del Sud-est asiatico si sta consumando una agonia dalle dimensioni immani. Una nuova ondata di boat-people, spinta a partire a causa di una situazione di estrema povertà e di conflitto in Myanmar e in Bangladesh, è alla deriva nei mari. Abusati da trafficanti di vite umane senza scrupoli, uomini, donne e bambini sono accalcati in navi squallide e malsane, spesso spediti a morire in mare aperto. Le acque del Sud-est asiatico già in passato recano una ferita aperto, durante la guerra del Vietnam, quando ne hanno inghiottiti a centinaia di questi disperati. Ora si apre una nuova ferita. Ora si apre una nuova saga di lacrime e di vite umane spezzate che toccano ogni giorno la nostra coscienza.  

Come i boat-people che navigavano alla volta di Roma, i boat-people provenienti da Myanmar e Bangladesh scappano alla ricerca di dignità e sicurezza. Il mondo ha guardato con orrore queste imbarcazioni cariche di disperati ricacciate in mare aperto da un governo dopo l’altro. In un grande gesto di umanità, Malaysia, Filippine e Indonesia hanno aperto le porte. L’umanità è in debito con queste nazioni, che hanno avuto un moto di compassione. Una particolare menzione va fatta per la Chiesa filippina, che ha accolto questi fratelli e sorelle rifugiati rispondendo all’invito deciso lanciato da papa Francesco. 

Il governo del Myanmar ha soccorso due imbarcazioni che erano alla deriva, cariche di rifugiati provenienti dallo stesso Myanmar e dal Bangladesh. Questo gesto, che viene da una nazione che adora il Buddha, il Signore della Compassione, è degno di grande lode. I nostri fratelli e sorelle in Myanmar, non si sono mai tirati indietro facendo mancare l’impegno compassionevole nei momenti in cui l’umanità sembrava spezzata. E il ciclone Nargis ne è stata una testimonianza commovente. Purtroppo, sotto certi aspetti la democrazia è stata anche foriera di odio e di negazione di diritti per alcune frange della popolazione. La gente del Myanmar è pronta a resettare la bussola della morale e tornare a una piena comunione. 

Pur mostrando grande apprezzamento per le sfide che ha affrontate il governo birmano, e accogliendo con favore le sue mosse recenti, vogliamo esortare con forza l’esecutivo a impedire i discorsi di odio che possano sovvertire la sua gloriosa tradizione di misericordia. Rohingya o Bengali, noi in quanto cittadini del Myanmar abbiamo il dovere morale di proteggere e promuovere la dignità di tutti gli esseri umani. I nomi non possono sminuire l’umanità. Una comunità non può essere demonizzata e non può vedersi negati i propri diritti di base fra cui il diritto al nome, alla cittadinanza e all’essere parte di una comunità. I grandi veggenti e i monaci del prestigioso buddismo Theravada sono un esempio di compassione per il mondo. Questa religione ha fra le proprie correnti principali la compassione come nobile virtù, una compassione riservata non solo per gli oggetti inanimati ma anche per gli esseri viventi. La morte di una foglia dovrebbe spezzare il cuore di un discepolo del Dhamma. E di sicuro lo stesso discepolo del Dhamma non può permettere che un essere umano - in particolare una donna o un bambino - possano morire senza lacrime, senza essere uditi, negli abissi di un mare privo di misericordia. 

Mytta e Karuna sono due occhi di questa nazione, con una visione di pace e dignità. Invito tutti i miei connazionali, uomini e donne, insieme ai governanti, a raccogliere il coraggio per far fronte a questo problema con un cuore grande, e risolverlo una volta per tutte. Noi, in quanto nazione, siamo al crocevia della storia. I sogni di questa nazione non possono essere spazzati via dallo spirito di una manciata di mercanti di odio. I boat-people hanno mosso le coscienze di una nazione. 

Lasciamo che misericordia e compassione scorrano come un fiume nella terra di Buddha e del milione di pagode.

* Cardinale arcivescovo di Yangon

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