02/02/2022, 11.29
LIBANO - VATICANO
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Crisi libanese, mons. Gallagher: pronti a sostenere il dialogo nazionale

di Fady Noun

Il segretario per i Rapporti con gli Stati a Beirut per rilanciare il confronto fra le parti e scongiurare l’escalation della crisi. Il papa andrà “presto” in Libano, ma non vi è ancora una data stabilita. L’incontro con le massime autorità civili e il discorso all’università. La questione irrisolta dei rifugiati palestinesi e siriani.

Beirut (AsiaNews) - Verrà o non verrà? Rispondendo alle domande su una eventuale visita del papa in Libano, il segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, mons. Richard Paul Gallagher, ha lasciato ieri i libanesi ansiosi di risposta senza sciogliere il dubbio. Egli ha infatti annunciato che il Santo Padre manterrà la sua promessa e verrà in Libano “presto”, aggiungendo però che “tutto dipende da ciò che noi intendiamo per presto”. Egli ha affrontato anche la questione di un confronto fra le parti per dirimere controversie e tensioni che stanno dilaniando il Libano e un possibile ruolo del Vaticano: “Se ciò dovesse accadere - ha detto il prelato usando la lingua inglese, alternata con quella francese - la Santa Sede prenderebbe in seria considerazione il fatto di partecipare, e fors’anche ospitare, un dialogo nazionale fra libanesi. Ma ciò deve essere frutto di una richiesta avanzata da tutte le parti coinvolte nella vicenda”. 

Il primo giorno della sua visita (31 gennaio - 4 febbraio), mons. Gallagher ha incontrato il capo dello Stato Michel Aoun, il presidente della Camera Nabih Berry e il comandante dell’esercito, il generale Joseph Aoun (nessun rapporto di parentela con il presidente). Egli ha quindi incontrato il corpo accademico e i membri del Consiglio strategico dell’università Saint-Joseph, tenendo una breve conferenza all’interno del più recente degli anfiteatri presenti nell’ateneo. Oggi è in agenda fra gli altri un discorso in apertura di un simposio sul tema “Giovanni Paolo II e il Libano-messaggio” all’università dello Spirito Santo a Kaslik, poi inconterà il patriarca maronita e, nel pomeriggio, la visita programmata a un centro di accoglienza gestito dalla Caritas Libano. 

L’incontro alla sede presidenziale ha registrato la partecipazione del nunzio apostolico in Libano, mons. Joseph Spiteri, e degli incaricati di affari all’ambasciata pontificia mons. Giuseppe Franconi e mons. Marco Formica.

Secondo l’ufficio della presidenza libanese, mons. Gallagher ha iniziato l’incontro portando i saluti di papa Francesco al presidente Aoun, sottolineando la sua “meticolosa attenzione agli sviluppi della situazione libanese”. Mons. Gallagher ha poi sottolineato che il pontefice ha espresso una volta di più il suo desiderio di visitare il Paese dei cedri. Egli ha poi contraccambiato la cortesia, invitando il presidente Aoun a visitare la Santa Sede. Il capo dello Stato si era recato una prima volta in Vaticano nel 2017, all’inizio del suo mandato. 

Dopo l’incontro, mons. Gallagher ha ricordato alla stampa le circostanze che lo hanno condotto in Libano e alcune delle parole che papa Francesco ha rivolto quest'anno e lo scorso al corpo diplomatico. “Il Santo Padre - ha detto - mi ha incaricato di trasmettere al popolo libanese la propria vicinanza e preoccupazione per il Libano e i libanesi […]. Nel suo discorso di quest’anno al corpo diplomatico papa Francesco ha detto quanto segue sul Libano: auspico che le riforme necessarie e il sostegno della comunità internazionale aiutino il Paese a rimanere saldo nella propria identità di modello di coesistenza pacifica e di fratellanza tra le varie religioni presenti. E in questa occasione, faccio appello alla comunità internazionale affinché continui ad aiutare il Libano sulla via della risurrezione. Speriamo che il Paese possa continuare ad essere esempio per un Medio oriente pluralistico, tollerante e diversificato in cui la comunità cristiana possa dare il proprio giusto contributo”.

Nel 2021, sempre rivolto al corpo diplomatico, papa Francesco aveva detto: “I cristiani costituiscono il tessuto connettivo storico e sociale del Libano e ad essi, attraverso le molteplici opere educative, sanitarie e caritative, va assicurata la possibilità di continuare a operare per il bene del Paese, del quale sono stati fondatori. Indebolire la comunità cristiana rischia di distruggere l’equilibrio interno e la stessa realtà libanese”.

Dopo aver ricordato le parole del papa, mons. Gallagher ha espresso “vicinanza e solidarietà” alle vittime della esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020. 

“Infine - ha aggiunto - permettetemi di ricordavi ciò che ha detto papa Francesco il primo luglio, quando ha riunito i leader cristiani delle Chiese libanesi in Vaticano: In questi tempi di sventura vogliamo affermare con tutte le forze che il Libano è, e deve restare, un progetto di pace. La sua vocazione è quella di essere una terra di tolleranza e di pluralismo, un’oasi di fraternità […] È perciò essenziale - desidero ribadirlo - che chi detiene il potere si ponga finalmente e decisamente al vero servizio della pace e non dei propri interessi. Basta ai tornaconti di pochi sulla pelle di molti! Basta al prevalere delle verità di parte sulle speranze della gente! Basta usare il Libano e il Medio Oriente per interessi e profitti estranei! Occorre dare ai Libanesi la possibilità di essere protagonisti di un futuro migliore, nella loro terra e senza indebite interferenze”.

Mons. Gallagher ha incontrato poi i cronisti in una conferenza stampa. Ricordando i timori di papa Wojtyla, che già nel 1989 paventava il pericolo di una “scomparsa” del Libano, il prelato non ha escluso il “rischio” che il futuro della nazione “non sia assicurato”, per questo “la comunità nazionale e internazionale” deve fare di tutto per “conservare” il Libano come “messaggio di convivenza e fraternità”. In tema di rifugiati (siriani e palestinesi), egli ha confermato l’impegno della Santa Sede sulla questione e il desiderio di un loro ritorno, sebbene in alcuni contesti non vi siano le condizioni di sicurezza per procedere, partendo dalla questione fondamentale della “ricostruzione in Siria”. 

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