07/08/2018, 11.56
IRAQ
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Cristiani della Piana di Ninive, il futuro dopo l'Isis

Ieri la comunità ha ricordato con una solenne cerimonia il quarto anniversario dall’ascesa dello Stato islamico, poi sconfitto. Don Paolo: i cristiani lavorano per “idee e progetti nuovi” di sviluppo. Oltre il 50% delle case sono state ricostruire, allo studio pozzi, giardini e parchi giochi. Il ritorno dei cristiani e il loro numero “determinanti” per il futuro.  

 

Karamles (AsiaNews) - Una preghiera “di gioia e di speranza” per il futuro della comunità cristiana locale e di tutto il Paese. Quattro anni fa, come ieri, “è cominciata la grande fuga” per l’arrivo dello Stato islamico (SI, ex Isis). Oggi si celebra “il ritorno, la presenza”, guardando al futuro “con occhi e uno spirito nuovo”. È quanto racconta ad AsiaNews don Paolo Thabit Mekko, sacerdote e responsabile della comunità cristiana a Karamles, nella piana di Ninive (nord Iraq), che ieri ha commemorato “il quarto anniversario dall’esodo forzato” verso il Kurdistan per sfuggire alle milizie jihadiste. Centinaia di fedeli hanno partecipato alla messa e alla processione, accompagnata da candele e dalla recita dei salmi, in un’atmosfera di pace, gioia e raccoglimento. 

“La celebrazione di ieri - spiega don Paolo - non è il ricordo di un evento brutto, perché è arrivato il momento di leggere il passato con occhi e spirito nuovo, con una vera speranza. Quello che sembrava impossibile, si è reso possibile e contiamo che altri passi siano realizzati”. La comunità cristiana di Karamles “sta andando verso il futuro” realizzando “idee e progetti nuovi, per sviluppare la zona. Le priorità sono garantire il lavoro e rafforzare le attività spirituali e sociali, per dare un nuovo sapore alla vita dopo le devastazioni dell’Isis”. 

La priorità, prosegue il sacerdote, resta l’opera di ricostruzione; per quanto riguarda le abitazioni “abbiamo superato il 50 - 60% delle case ricostruite. Siamo a 400 su 800, ma alcune di queste verranno abbandonate perché troppo danneggiate”. La speranza, aggiunge, è quella di creare “piccole aziende agricole o agroalimentari, per garantire un sostegno all’occupazione”. A questo si aggiungono progetti per la realizzazione di “pozzi, giardini e parchi di divertimento” per bambini e giovani all’interno della città. E ancora, corsi di musica per studenti, giochi ad acqua e attività ricreative per la stagione estiva, momenti conviviali. 

“Stiamo studiando le modalità per aderire - sottolinea don Paolo - al progetto Living Peace, una iniziativa di pace che finora ha messo radici in 153 Paesi al mondo. In Portogallo ho incontrato i fondatori del progetto e sto cercando di introdurlo all’interno delle classi di catechismo. Per il nuovo anno accademico, l’obiettivo è quello di coinvolgere anche le scuole statali al cui interno vi sono sia studenti cristiani, che musulmani. Sarebbe un primo passo, fattuale, per educare i bambini di tutti gli istituti di Karamles alla pace, per poi estenderlo a tutto il Paese”. 

Don Paolo è stato responsabile del campo profughi “Occhi di Erbil”, alla periferia della capitale del Kurdistan irakeno, dove nel tempo hanno trovato rifugio centinaia di migliaia di cristiani (insieme a musulmani e yazidi) in seguito all’ascesa dello SI. Lo scorso anno di questi giorni, ricorda, in concomitanza con il rientro dei primi rifugiati cristiani in città “regnava un sentimento di paura, mentre ora stiamo tornando, seppur ancora lentamente, alla normalità”. Per terminare la ricostruzione del primi gruppo di case servono ancora un milione e mezzo di dollari, poi vi sono i progetti secondari che riguardano l’acqua, con la costruzione di pozzi, e l’elettricità attraverso nuovi generatori di corrente. 

“Il ritorno dei cristiani, il loro numero e la loro presenza nel Paese resta un fattore determinante per il futuro” avverte il sacerdote, favorendo il ritorno e garantendo una maggiore autonomia e una crescente partecipazione all’interno delle istituzioni statali. In queste ore il ministero degli Esteri irakeno ha annunciato un lavoro di coordinamento con il Vaticano per limitare l’emigrazione cristiana. “Perché i cristiani possano rimanere, governo e istituzioni devono assicurare pace e tranquillità”. Inoltre, conclude il sacerdote, “ci auguriamo che sempre più parrocchie del mondo, soprattutto in Occidente, ci vengano a trovare e promuovano gemellaggi quale segno concreto di solidarietà”.

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