15/04/2024, 12.27
ISRAELE-GAZA-IRAN
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Dai missili iraniani ad Hamas, Amina e i beduini vittime nascoste della guerra

La bambina di sette anni unica ferita grave nell’attacco lanciato da Teheran contro Israele. Al momento si trova ricoverata in terapia intensiva. La casa e il villaggio non erano coperti dal sistema di difesa “Iron Dome”. Il silenzio sulla sorte dei beduini ostaggio nella Striscia. Le controversie sulle terre e il rischio demolizione e scomparsa per le comunità nel Negev. 

Gerusalemme (AsiaNews) - Un’ira sorda attraversa la comunità beduina in Israele, la sola che nel silenzio e nell’indifferenza del governo e della stessa comunità internazionale sta pagando il prezzo più alto della guerra a Gaza e delle tensioni fra Stato ebraico e Repubblica islamica. La cronaca dei giorni scorsi - e degli ultimi mesi - ne è prova: una bambina in terapia intensiva, unica ferita grave nell’attacco iraniano della notte tra il 13 e il 14 aprile a colpi di droni e missili che, per il resto, è fonte di tensione più per gli sviluppi futuri che per i danni causati; e ancora, vittime “dimenticate” del 7 ottobre, laddove le cronache internazionali si sono concentrate sui morti e sugli ostaggi israeliani e stranieri nelle mani di Hamas, mentre della sorte dei membri del gruppo minoritario pochi sembrano essere interessati. Senza dimenticare attacchi ed espropri per una questione irrisolta di terre. 

In queste ore Amina al-Hasoni, 7 anni, si aggrappa alla vita nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Soroka, a Beersheva. È la sola persona ad aver riportato ferite gravi per le centinaia di missili e droni iraniani in gran parte intercettati dal sistema difensivo israeliano e dagli alleati. La piccola appartiene alla comunità beduina discendente di pastori arabi musulmani che vivono nel Negev, in molti casi privati dei diritti che spettano agli altri cittadini. Fra questi anche quello a un rifugio, come lamenta il padre Mohamed, 49 anni e 14 figli, intervistato dall’Afp: “Non abbiamo alcun riparo” in caso di attacco, per questo accusa il governo di averli abbandonati sotto una pioggia di razzi, risposta della Repubblica islamica al raid contro l’ambasciata a Damasco del primo aprile. 

Prima della creazione di Israele nel 1948, il deserto del Negev ospitava circa 92mila beduini ma solo 11mila sono rimasti nei confini di Israele dopo la guerra arabo-israeliana del 1948; molti vivono in villaggi non riconosciuti, privi di pianificazione e servizi base come acqua corrente, fogne ed elettricità. In pochissimi hanno accesso a rifugi anti-aereo o missile, pur avendone da tempo fatto richiesta. La famiglia Hasoni vive in una di queste comunità, sparsa su una collina nel villaggio di al-Fur'ah, poco lontano dalla base militare di Nevatim probabile obiettivo di Teheran e che ha riportato solo danni lievi alla struttura. Quando le sirene di allarme hanno iniziato a risuonare la sera del 13 aprile, la famiglia della bambina si è sentita in trappola e senza alcun posto in cui cercare salvezza, facile bersaglio - come è poi avvenuto - dei missili.

“Lo Stato non fa nulla per noi” aggiunge un altro abitante, che chiede di restare anonimo. Anche in occasione dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, che ha innescato la guerra a Gaza, la comunità ha lamentato una totale “mancanza di protezione”, perché in pochi hanno parlato delle 21 vittime causate dai missili lanciati dalla Striscia o dall’assalto dei miliziani. All’esterno dell’ospedale di Soroka, dove è ricoverata Amina, il presidente del Consiglio regionale beduino ha dato voce all’ira collettiva: “Chiediamo il rispetto dei nostri diritti” ha affermato Jabbar Abu Caf. “Vogliamo protezione per i nostri villaggi” ha aggiunto, e “agire insieme al governo per assicurarci che non vi siano altre vittime”. “Sono sempre i beduini a soffrire - ha concluso - sia che i razzi provengano da est, che da ovest. Siamo le vittime e nessuno ci prende in considerazione”.

Un’altra protesta clamorosa, ma rimasta in gran parte anonima, era avvenuta qualche settimana fa all’esterno della sede delle Nazioni Unite a New York: un beduino di origini israeliane si è scontrato duramente con l’ambasciatore palestinese all’Onu Riyad Mansour, in merito alla sorte di alcuni familiari nelle mani di Hamas e di cui non si hanno notizie. Fra questi un nipote di Ali Al-Ziyadna, malato di diabete e che necessita di cure mediche. Rivolgendosi al diplomatico palestinese, Al-Ziyadana gli ha detto di parlargli “da musulmano a musulmano”, chiedendo perché “Hamas ha rapito i miei parenti? Quale crimine hanno commesso? Sono in tunnel da mesi per cosa? Su quali basi? Sono musulmani proprio come me e te. Hanno restituito i thailandesi [riferendosi al gruppo di ostaggi asiatici liberati a fine novembre] senza un accordo ma i nostri figli, no. Hanno lasciato i musulmani affamati nei tunnel, feriti e nudi”. 

Parole che evidenziano il senso di frustrazione e abbandono della comunità beduina, che spesso deve lottare per salvaguardare le proprie terre, le case e i villaggi, nel mirino dei coloni e di sequestri o espropri da parte dello Stato perché considerati illegali. Dal 2003 almeno 11 comunità sono state riconosciute in modo retroattivo, ma altre 35 restano in una situazione di limbo nell’area del Negev come denuncia la Association of Civil Rights in Israel (Acri). Come il villaggio di Umm al-Hiran, inizialmente incluso tra quelli destinati al riconoscimento ma poi cancellato nel 2004 dall’Autorità di gestione del territorio, che ha emesso ordini di demolizione per le case presenti. Nel frattempo, dal 2016, alla periferia del villaggio è in corso la costruzione di una nuova comunità religiosa ebraica, nota come Dror, che minaccia di accelerare l’evacuazione e la demolizione di Umm al-Hiran.

In tempo di guerra uno dei problemi principali che riguardano i villaggi beduini non riconosciuti è che non risultano coperti dal sistema Iron Dome, che intercetta solo i razzi diretti verso aree urbane registrate sulle mappe; non si attiva quando il lancio è diretto verso “zone aperte”. Inoltre, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre la maggior parte dei beduini ha perso il lavoro perché la gran parte era occupata nelle aziende agricole, nelle piccole fabbriche della zona o come autisti, quando molte delle attività economiche della regione risultano congelate. Intere famiglie sono senza fonte di reddito e la gran parte delle scuole risultano chiuse, fattore che oltre alla scolarizzazione comporta gravi problemi anche sotto il profilo alimentare. Prima della guerra, infatti, oltre 40mila bambini beduini provenienti da un contesto socioeconomico basso consumavano un pasto caldo nelle scuole, l’unico per molti di loro. Il numero di famiglie bisognose è aumentato enormemente e la situazione generale per la comunità beduina, conclude una fonte, “sta peggiorando”. 

 

Foto di repertorio: Flickr / Duoyen (una bambina nel villaggio beduino di Umm al-Hiran)

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