29/10/2015, 00.00
MYANMAR
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Elezioni in Myanmar: attivisti chiedono il rilascio di tutti i detenuti politici

di Francis Khoo Thwe
I prigionieri per reati di coscienza nelle carceri del Paese sono circa un centinaio, fra cui cinque cristiani appartenenti alle minoranze etniche. A questi si aggiungono gli studenti incarcerati per aver protestato contro la riforma dell’Istruzione. Anche il numero due della Nld favorevole al provvedimento generale di amnistia.

Yangon (AsiaNews) - In vista delle prossime elezioni generali dell’8 novembre in Myanmar, attivisti pro diritti umani e leader religiosi lanciano un nuovo appello per la liberazione dalle carceri di tutti i prigionieri politici. Sarebbero oltre un centinaio i detenuti per reati di coscienza (e gli studenti protagonisti della protesta dei mesi scorsi) ancora oggi rinchiusi in cella, privati dei diritti civili e della libertà. Per questo la Commissione nazionale per i diritti umani del Myanmar (Nhrc) si rivolge ancora una volta al presidente uscente Thein Sein, perché firmi un provvedimento di amnistia generale a conferma della bontà del cammino di “democratizzazione” intrapreso, e poi interrotto, del Paese. 

La commissione per i diritti umani, composta da 15 fra funzionari e docenti universitari, si rivolge al governo e alle massime autorità del Paese per un provvedimento atteso a lungo. L’obiettivo è quello di permettere anche ai detenuti politici di poter prendere parte alle elezioni ed esprimere la propria preferenza alle urne. 

Nyan Zaw, leader di Nhrc, sottolinea che il gruppo attivista vuole “elezioni libere e giuste” alle quali possano partecipare “tutti i partiti, i candidati e la gente”, senza limiti o distinzioni. Fra questi vi sono anche i prigionieri per reati di opinione o rinchiusi per le loro idee politiche e gli studenti incarcerati. “Se liberati - avverte - possono votare tutti”. 

Intervistato da Radio Free Asia (Rfa) il vice presidente della Lega nazionale per la democrazia (Nld) Tin Oo afferma che il partito sostiene il rilascio di tutti i detenuti politici e degli studenti. “È tempo di liberarli” afferma. Ma altri parlamentari ed ex detenuti politici non sono ottimisti in merito a un possibile provvedimento generale di amnistia. 

Tuttavia, anche in caso di rilascio, per poter prendere parte al voto essi devono registrarsi nelle apposite liste predisposte dalla Commissione elettorale dell’unione (Uec), l’organismo che presiede alla “regolarità” del voto del prossimo 8 novembre. Elezioni che, secondo analisti ed esperti pro diritti umani, risulterebbero già sin d’ora “ingiuste” e parziali. Difatti, secondo quanto prevede la Costituzione il 25% dei seggi è già riservato per legge ad alti ufficiali e rappresentanti dell’esercito; ecco perché allo Union Solidarity and Development Party (Usdp), emanazione della vecchia giunta al potere, basta aggiudicarsi un terzo dei voti per garantirsi la scelta del prossimo presidente. 

Secondo quanto riferiscono gli attivisti di Assistance Association for Political Prisoners-Burma (Aapp), una ong birmana con base a Mae Sot, in Thailandia, in Myanmar vi sono ancora oggi almeno 100 prigionieri politici e altri 471 in attesa di processo. Di questi almeno cinque sono cristiani (tre Kachin e due Karen), arrestati per presunti legami con i gruppi etnici ribelli. Il 22 ottobre scorso Aapp ha diffuso un appello, in cui chiede la fine degli arresti di attivisti e personalità vicine all’opposizione. Nhrc aggiunge anche la richiesta di rilascio dei 60 studenti arrestati nei mesi scorsi per “assemblea illegale, rivolta” durante le proteste pacifiche contro la riforma dell’Istruzione. 

Rispetto alle elezioni del 2010, boicottate dalla Lega nazionale per la democrazia (Nld), la ex Birmania ha intrapreso un cammino di riforme che ha portato alcuni cambiamenti; tuttavia, negli ultimi mesi il processo di democratizzazione ha subito un brusco rallentamento.

Saranno oltre 30 milioni i cittadini chiamati alle urne, le prime in cui saranno da subito presenti i principali schieramenti politici del Paese, fra cui la Nld che aveva vinto le elezioni del 1990, mai riconosciute dai generali. In lizza circa 90 fra partiti e movimenti politici di varia natura ed estrazione. Al futuro Parlamento spetterà il compito di eleggere il nuovo presidente, una carica cui non può aspirare la Nobel per la pace, a causa di una norma contra personam che la esclude dalla corsa. Il principale favorito per la vittoria finale resta lo Usdp, che controlla la vita politica e istituzionale del Paese.

Sul tema delle elezioni in Myanmar è tornato di recente anche il card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon. Il porporato ha lanciato un appello per elezioni libere, giuste e trasparenti per restituire fiducia al Paese e un nuovo impulso al cammino di democratizzazione dopo 50 anni di “lacrime e sangue”. Egli si rivolge al popolo e ai governanti perché rendano il voto “un vero esercizio di democrazia”. Compito dei candidati, aggiunge, è quello di favorire il rispetto reciproco e la pace nel lungo periodo.

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