04/03/2022, 13.44
IRAQ
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Ericsson List: come un'azienda di telecomunicazioni potrebbe aver finanziato l'Isis

L'International Consortium of Investigative Journalists ha ottenuto i documenti delle indagini interne dell'azienda svedese. Oltre a lampanti casi di corruzione e riciclaggio di denaro in diversi Paesi, dai rapporti emerge che dal 2014 in poi la società per continuare a fare affari potrebbe aver pagato i terroristi. 

Baghdad (AsiaNews/Agenzie) - Ericsson, il gigante delle telecomunicazioni con base in Svezia, nel 2014 avrebbe chiesto allo Stato islamico di poter continuare a operare a Mosul e contrabbandato attrezzature nelle aree controllate dall’Isis. Lo dice un’inchiesta dell’International Consortium of Investigative Journalism (Icij), che ha ottenuto i documenti di un’indagine interna dell’azienda.

Contratti fittizi, fatture gonfiate, bilanci falsi e pagamenti a "consulenti" dal curriculum fosco: sono solo alcuni degli elementi della Ericsson List che l’Icij ha condiviso con una serie di testate internazionali. Dopo la pubblicazione dell’inchiesta, il 15 febbraio Ericsson ha rilasciato una dichiarazione pubblica in cui ha riconosciuto la "cattiva condotta legata alla corruzione" in Iraq e possibili pagamenti all'Isis.

Ufficialmente conosciuta come Telefonaktiebolaget LM Ericsson, l'azienda genera un fatturato annuo di 25 miliardi di dollari e conta circa 100.000 dipendenti in più di 140 paesi. È uno dei maggiori fornitori di torri, stazioni radio e centri di commutazione mobili, fondamentali per moderne comunicazioni. Le vendite di Ericsson in Iraq sono state di circa 1,9 miliardi di dollari dal 2011 al 2018.

Nel 2019 il colosso svedese ha ammesso di aver compiuto pratiche commerciali illecite in cinque Paesi (Cina, Vietnam, Indonesia, Kuwait e Gibuti) e di aver concluso un accordo di corruzione da un miliardo di dollari con le autorità statunitensi per evitare un processo penale. Indagini interne all’azienda stavano inoltre investigando su casi di corruzione dei propri dipendenti in altri 15 Paesi, tra cui l’Iraq. Secondo i documenti trapelati, nel 2014, apice delle conquiste dello Stato islamico in Siria e in Iraq, due dipendenti avevano proposto il ritiro dell’azienda. Scelta subito rifiutata dagli alti piani della multinazionale: abbandonare il Paese "distruggerebbe la nostra attività”, avevano detto i dirigenti.

Poco dopo Ericsson ha chiesto al proprio partner locale, Asiacell Communications, di “chiedere il permesso all’Isis per continuare a lavorare a Mosul”. Le indagini interne hanno concluso di non poter escludere la possibilità che la società abbia finanziato il terrorismo attraverso i suoi subappaltatori, sebbene non siano stati in grado di identificare nessun dipendente "direttamente coinvolto". 

L’indagine interna è comunque palesemente incompleta, ha scoperto l’Icji, perché non include interviste alle personalità che sarebbero state direttamente coinvolte. Anche così emergono lampanti casi di corruzione: per esempio Elie Moubarak, account manager di Ericsson per Korek Telecom, il più grande cliente dell'azienda in Iraq, era coinvolto in "corruzione e irregolarità finanziarie". Aveva chiesto una "donazione" di 50mila dollari alle forze peshmerga del Kurdistan "per aver combattuto l'Isis". La milizia era guidata da Sirwan Barzani, uno dei principali azionisti di Korek. I Barzani sono una famiglia di oligarchi curdi con cui Ericsson aveva stretti rapporti. Secondo le indagini interne Korek ha evaso tasse e commissioni per un importo di 375 milioni di dollari e ha minacciato di "demolire le torri delle compagnie rivali nel territorio curdo".

Ma i problemi maggiori sono arrivati con l’ascesa dello Stato islamico: Ericsson e il suo partner Asiacell avevano bisogno di trasportare ripetitori cellulari e altre apparecchiature da Erbil, nel nord dell'Iraq, a Ramadi, nel centro del Paese. Un appaltatore di trasporti, Cargo Iraq, aveva offerto all’azienda due opzioni: la "via legale" e la "Speedway". Quest’ultima passava attraverso i territori dell’Isis ma almeno avrebbe evitato i controlli doganali iracheni, che rischiavano di bloccare le merci anche per settimane. Almeno 30 camion hanno pagato tra i 3mila e i 4mila dollari per trasportare attrezzature di vario tipo nei territori dell’Isis. A marzo 2017 la società ha pagato 22mila dollari per tre carichi in un solo giorno. I documenti delle investigazioni, non ancora terminate, non escludono che in questo modo si sia direttamente finanziato il terrorismo.

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