13/07/2022, 09.16
TURCHIA - ARMENIA
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Fra Erevan e Ankara un disgelo di convenienza, più che per convinzione

di Marta Ottaviani

Nei giorni scorsi si è registrato il primo contatto diretto fra il presidente turco e il primo ministro armeno. Una telefonata nel complesso tentativo di normalizzazione dei rapporti diplomatici, ma ancor più commerciali, fra i due Paesi. Baku e Mosca spettatori interessati dell’evoluzione del quadro. La resistenza della diaspora armena che vuole in primis il riconoscimento del genocidio. 

Milano (AsiaNews) - Prove tecniche di disgelo fra Turchia e Armenia, più per convenienza che per convinzione, ma che questa volta potrebbero portare alla riapertura parziale del confine fra i due Paesi. Due giorni fa, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha avuto una conversazione telefonica con il premier armeno, Nikol Pashiyan. La telefonata ufficialmente era di auguri per l’Eid al-Adha, in turco Kurban Bayrami, la Festa del Sacrificio. Erdogan ha risposto con gli auguri per il Vardavar, la tradizionale “festa dell’acqua”, osservata anche dalla minoranza musulmana che abita nel Paese e che si terrà il prossimo 24 luglio. Ricorrenze a parte, la telefonata rientra in un complesso, e tuttora in fieri, quadro di normalizzazione dei rapporti diplomatici e delle relazioni commerciali e turistiche fra i due Paesi.

Il confine fra Turchia e Armenia è chiuso dal 1993, ossia dalla prima guerra in Nagorno-Karabakh, dove la Turchia ha preso senza esitazioni le parti dell’Azerbaigian, legato ad Ankara da motivazioni culturali e religiose. A pesare in negativo sulle relazioni fra i due Paesi c’è anche il genocidio armeno del 1915, costato la vita a oltre un milione di persone e che la Mezzaluna si è sempre ostinata a negare, denunciando, al contrario, la morte di migliaia di musulmani per mano degli “armeni ribelli”. In ultimo, il sostegno militare e logistico turco a Baku in occasione del conflitto in Nagorno-Karabakh nel 2020 sembrava avere allontanato ogni possibilità di riconciliazione.

L’enclave a maggioranza armena in territorio azero, teatro di sanguinosi conflitti, rimane un nodo irrisolto e uno dei punti più caldi del Caucaso. Ma Vladimir Putin vuole una regione stabile e soprattutto è preoccupato dall’asse politico, economico ed energetico, che Ankara sta stringendo con Baku, quindi vede di buon occhio la riconciliazione fra Erdogan e Pashiyan, che dovrebbe portare da parte turca alla rinuncia di una presenza militare in territorio azero (incompatibile con la “normalizzazione” dei rapporti).

Queste, almeno, sono le speranze del campo del Cremlino. Ankara potrà anche rinunciare ad avere soldati in Caucaso (per il momento), ma difficilmente cambierà l’orientamento di una politica estera tesa sempre di più alla creazione di zone di influenza e dove il Caucaso rappresenta uno sbocco quasi naturale. La riconciliazione con l’Armenia potrebbe essere letta anche in questo modo e in quel caso per la Russia non sarebbero buone notizie. Yerevan è la parte che ha dovuto fare le maggiori concessioni, soprattutto proprio su alcuni territori del Nagorno-Karabakh, che sono tornati sotto il controllo azero, perché le relazioni con la Turchia riprendano e il Paese smetta di patire quell’isolamento commerciale di cui soffre fin dagli anni ’90 e a causa del quale ha creato con Mosca un legame a doppio filo.

Intanto, Ankara e Yerevan iniziano a muovere i primi passi. Lo scorso primo luglio a Vienna è stato firmato un memorandum da “mettere in pratica nell’immediato futuro”. Da parte armena il desiderio è che questo venga realizzato al più presto. In febbraio sono ripartiti i primi voli commerciali fra una parte del confine e l’altra e, due giorni fa, c’è stato il primo contatto diretto di Erdogan con il premier armeno.

Stando ai quotidiani turchi, i due leader hanno evidenziato l’importanza di migliorare le relazioni fra i due Paesi, contribuendo così alla pace e alla prosperità nella regione. Nella prima fase, il confine fra Turchia e Armenia potrebbe essere aperto solo a persone provenienti da Paesi terzi e che devono attraversarlo per motivi turistici. Sembrerebbe che tutto proceda nel migliore dei modi, ma soprattutto Pashiyan è in difficoltà a causa dell’opposizione interna e anche della resistenza della diaspora armena, per la quale il riconoscimento del genocidio del 1915 è la conditio sine qua non per la ripresa di qualsiasi tipo di relazione.

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