18/10/2023, 11.21
ISRAELE-PALESTINA
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Gaza, il massacro dell'ospedale della convivenza

Rimpallo di accuse fra israeliani, palestinesi e Jihad islamica per l’esplosione che ha colpito una delle poche strutture mediche operative nella Striscia. Fondato nel 1882 e gestito dagli anglicani, l'Al Ahli Arab Hospital era considerato un'oasi di pace e solidarietà. Ma soprattutto un luogo di cura - in tempo di guerra e di tregua - aperto a tutti. Centinaia le vittime, incerto il futuro della struttura. La diocesi anglicana di Gerusalemme: devastazione che "colpisce il cuore della decenza umana". 

Gerusalemme (AsiaNews) - Un evento “spaventoso” che ha determinato una “devastante perdita” di vite “innocenti”. L’arcivescovo di Canterbury condanna l’attacco all’al-Ahli Arab Hospital, struttura gestita dalla Chiesa anglicana a Gaza, centrato nella serata di ieri da una bomba che ha causato centinaia di morti e scritto un’altra pagina nera dell’ultimo conflitto che insanguina il Medio oriente. Nel messaggio affidato a X, ex Twitter, Justin Welby rinnova “l’appello alla protezione di tutti i civili” perché siano risparmiati da questa “disastrosa guerra”. Una struttura civile e senza alcun legame con usi militari, gestita da cristiani ma aperta a tutti i cittadini della Striscia, in larghissima maggioranza musulmani, che già nei giorni scorsi era stata lambita da un missile.

“Stavamo operando all’interno dell’ospedale, vi è stata una forte esplosione e il soffitto è caduto sulla sala operatoria. Questo è un massacro” ha dichiarato alla Bbc Ghassan Abu-Sittah, un chirurgo di Medici senza frontiere (Msf) che contribuiva alla cura dei feriti di guerra. Un altro dottore ha aggiunto che l’80% della struttura, internamente finanziata dalla Chiesa anglicana anche attraverso donazioni e indipendente da qualsiasi fazione politica, è stato messo fuori uso, mentre vittime e feriti sarebbero almeno mille. Eileen Spencer, responsabile dell’ente americano che si occupa della raccolta fondi a nome della diocesi anglicana di Gerusalemme, ha dichiarato al Washington Post che dopo l’attacco di ieri “non sappiamo se l’ospedale sarà ancora in piedi” e potrà tornare operativo.

In una nota la diocesi anglicana di Gerusalemme parla di “devastazione” che “colpisce il cuore della decenza umana” avvenuta proprio al termine della giornata - osserva - che aveva visto uniti i cristiani della Terra Santa nella "preghiera per la pace, la riconciliazione e la fine del conflitto". L'arcidiocesi cita le parole della Seconda lettera ai Corinzi (" siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi"), rinnovando l'invito al lutto e alla preghiera in tutte le chiese e le istituzioni. Si appella, infine, alla comunità internazionale “perché risponda al suo compito di proteggere i civili e assicurare che simili atti disumani non si ripetano”. Il Consiglio mondiale delle Chiese parla esplicitamente di "crimine di guerra". 

In queste ore si assiste al consueto rimpallo di responsabilità: la leadership araba (e parte dell’opinione pubblica internazionale) accusano Israele; l’esercito con la stella di David nega ogni responsabilità puntando il dito contro la Jihad islamica; il secondo gruppo estremista della Striscia per estensione dopo Hamas respinge al mittente l’addebito, dichiarando di non aver condotto operazioni militari nell’ora in cui è avvenuta l’esplosione.

Quel che resta è il bilancio devastante, e ancora provvisorio: almeno 300 i morti, secondo altre fonti palestinesi anche superiore ai 500, e la distruzione di una delle poche strutture (Ospedale popolare arabo, in lingua locale) in grado di fornire cure mediche in un contesto di guerra. In una nota l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha condannato l’attacco all’ospedale, già colpito lo scorso 14 ottobre da missili dei caccia israeliani senza però causare gravi danni e “solo” il ferimento di quattro persone. Nulla, al confronto della strage che si consumata ieri sera. L'ospedale al Ahli era uno dei 20 centri nel nord della Striscia a cui l’esercito israeliano aveva ordinato l’evacuazione; ordine peraltro irricevibile come spiega l’Oms “data l‘attuale insicurezza, le condizioni critiche di molti pazienti e la mancanza di ambulanze, personale, capacità di posti letto del sistema sanitario e rifugi alternativi per gli sfollati”.

Fondato nel 1882, l’al-Ahli Arab Hospital si trova a Gaza City, nel settore nord. Prima dell’incidente, esso occupava un campus con un terreno ben curato nel centro della città e rappresentava una vera e propria oasi di pace e di solidarietà, perché capace di garantire cure mediche a prescindere dalla fede o dall’etnia di appartenenza. Lo status politico di Gaza influisce su tutti gli aspetti della vita a causa delle restrizioni alla circolazione di materiali e persone, come in questi giorni di guerra in cui manca l’elettricità e cibo, acqua, carburante e medicinali cominciano a scarseggiare. Tuttavia, il nosocomio ha sempre assicurato cure nell’emergenza con i suoi 80 posti letto e ha rappresentato un’eccellenza nella regione.

Sono 3500 le visite ambulatoriali al mese secondo il sito web della diocesi di Gerusalemme, ramo locale della Comunione anglicana che gestisce al-Ahli. La struttura garantisce 300 interventi chirurgici e circa 600 visite radiologiche al mese, oltre ad avere un programma gratuito di diagnosi di cancro al seno per donne di età superiore ai 40 anni. Inoltre, il Centro per le donne anziane e il programma di cliniche mobili forniscono gratuitamente cure mediche e cibo agli abitanti delle città e dei villaggi circostanti. L’ospedale ha anche sponsorizzato il primo corso di formazione per medici di Gaza in chirurgia mini-invasiva ed erano in fase avanzata di sviluppo piani per l’aggiunta di un centro oncologico, con radioterapia.

L’ospedale ha collaborato con ong internazionali per fornire alla popolazione locale la necessaria formazione in materia di consulenza, assistenza sociale, primo soccorso di base e assistenza medica, e gestisce i propri programmi di formazione per giovani laureati e laureandi. Durante gli attacchi dell’estate 2014 a Gaza ha aperto le porte ai familiari dei feriti disperati e in cerca di rifugio, fornendo cibo, letti e assistenza e assumendo personale aggiuntivo per rispondere al bisogno. Sempre aperto 24 ore su 24, anche nei momenti più difficile di guerra e violenze nella Striscia, grazie all’équipe chirurgica si è occupato di lesioni e traumi da esplosione, tra cui ferite addominali, ossee e toraciche e diversi tipi di ustioni. In media sono stati trattati 45 casi di ustioni gravi al giorno come conseguenza diretta della guerra, il 50% dei quali erano bambini.

La guerra fra Israele e Hamas, divampata il 7 ottobre con l’attacco del movimento estremista che controlla la Striscia oltre-confine, è giunta al dodicesimo giorno e ha causato sinora lo sfollamento di un milione di persone a Gaza e oltre 3mila morti e circa 12.500 feriti sul fronte palestinese. Fra le vittime, per Save the Children vi sono anche un migliaio di minori. Sul fronte israeliano i decessi sono circa 1.400 (301 soldati) con oltre 500mila sfollati sotto i razzi che continuano ad arrivare da Gaza. La polizia ha riferito di aver accertato tra i morti 947 civili israeliani uccisi nel primo giorno di attacco di Hamas: un dato che rappresenta il 70% delle vittime complessive.

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