19/09/2022, 08.52
RUSSIA
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Grebenscikov: gli imperi fanno una brutta fine

di Vladimir Rozanskij

Il più famoso cantautore russo ammonisce Putin per l’attacco all’Ucraina. L’invito ai russi a non cadere in depressione per quanto accade oggi. Ricorda che l’Unione sovietica non subiva l’influsso solo dell’Occidente, manche dell’Oriente e del Meridione.

Mosca (AsiaNews) – “Esiste un’anima immortale, quella di Blok e Turgenev, del Canto della Schiera di Igor [un testo epico dell’antica Rus’], e un’anima imperiale che farà una brutta fine, come è già successo in passato... c’è una Russia meravigliosa e universale, e ci sono le vittime della coscienza imperiale, sia essa russa o britannica, o di qualunque altra latitudine”.

È l’ammonimento di Boris Grebenscikov, il più famoso cantautore russo mentre parla della Russia di oggi, che sembra cancellare quella di ieri: “Il Terzo Reich non negava o cancellava Bach, Schiller o Goethe... Gli uomini che cercavano di usare la Germania per fare un impero sono scomparsi dalla faccia della terra, e la stessa cosa avverrà con la Russia”.

L’artista è emigrato a Londra dopo l’invasione dell’Ucraina per “sfuggire alla follia”. In questi giorni ha rilasciato varie interviste per presentare l’uscita del nuovo album del suo gruppo Aquarium (“La casa di tutti i santi”), che assocerà a un tour di concerti in tutta Europa. Il profeta del rock dissidente dei tempi sovietici confessa a Radio Svoboda che “molti miei amici e parenti sperano ancora in segreto che io diventi una persona rispettabile”.

Avendo fatto studi matematici in anni giovanili, Boris spiega che “vi è una contraddizione di cui parlano spesso i filosofi, tra la descrizione del mondo secondo la quale cerchiamo di vivere, e la vera esperienza del mondo”.  Il cantante dice di provarlo nella musica, nell’arte e nella libertà, che gli insegnano a essere veramente se stesso: “Tutte le volte che volevo diventare qualcuno, la vita mi ha mostrato qualcosa di più interessante”.

Negli anni ‘70-‘80 gli Aquarium erano spesso censurati e perseguitati. “Sarebbe stato difficile sopportarlo, se io mi fossi aspettato un aiuto dallo Stato, ma sapevo bene dall’educazione ricevuta e dall’esperienza che lo Stato esiste per usare i cittadini come schiavi”, ricorda Grebenscikov, a cui i genitori avevano insegnato a non credere a una parola di quello che si dice in televisione e nei discorsi ufficiali: “Lo Stato – sostiene – non ha nulla a che fare con la vita reale”.

Il cantante invita i russi a non cadere in depressione per quanto accade oggi: “Non c’è scelta tra la vita e la morte, c’è solo la vita. Per me è la musica, ognuno la esprime a modo suo”. Nei periodi più difficili, Grebenscikov era costretto a lavorare come custode di uno stadio, quando anche la disoccupazione era vietata per legge, e la musica poteva essere solo quella ufficiale. Di notte con gli amici e “colleghi custodi” pubblicavano il primo giornale clandestino musicale di San Pietroburgo, “Roxy”, con poesie, racconti e disegni artistici. “Non c’era da annoiarsi”, ricorda BG (Be-Ghe, come lo chiamano i fan).

Quando il Komsomol, l’organizzazione giovanile comunista, lo ha cacciato, a Boris è stato proibito fare concerti. Egli afferma di aver sentito gratitudine nei confronti dello Stato: “Avevo pagato il mio debito con loro, mi avevano regalato la libertà”. Grebenscikov ha rappresentato anche il “rock religioso”, in un miscuglio di spiritualità sincretista, che ha molto influito sulla “rinascita religiosa” giovanile prima ancora della fine dell’Urss. Anche oggi afferma che “la musica rivela la natura divina, e la fa scoprire dentro di sé, quindi ci si sente parte della divinità. È  una delle cose più certe di tutta la mia esistenza; per questo ho sempre detto che quando canto, mi sento un dio”.

Riflettendo sui cambiamenti del post-comunismo, che tanto riaffiorano oggi nei giudizi negativi della dirigenza russa, BG sostiene che “non eravamo solo sotto l’influsso dell’Occidente, ma anche dell’Oriente e del Meridione; io ascoltavo musica giapponese, cinese, armena, indiana, latino-americana; ricordo un disco sulla musica dell’Asia e dell’Africa che mi era piaciuto tantissimo”.

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