Guerra commerciale Washington-Pechino: si ferma l'escalation (ma i nodi restano)
Raggiunto l'accordo a Ginevra per bloccare per 90 giorni i dazi e le contromisure adottate dal 2 aprile a oggi che avevano fatto schizzare da entrambe le parti le tariffe a livelli record, insostenibili per le economie dei due Paesi. Ora potrà cominciare il negoziato vero, che deve fare però i conti con "linee rosse" che sono di carattere politico.
Ginevra (AsiaNews) - A quaranta giorni dall’inizio dell’escalation Washington e Pechino, dopo due giorni di negoziati tra delegazioni a Ginevra, hanno lanciato il primo segnale vero di raffreddamento della guerra commerciale. L’annuncio è arrivato questa mattina con un comunicato congiunto. Tra le due parti è stato raggiunto un accordo che prevede che gli Stati Uniti e la Cina sospendano per 90 giorni tutti i dazi e contro-dazi scattati dall’ordine esecutivo di Trump del 2 aprile scorso. Questo ridurrà i dazi degli Stati Uniti sulle importazioni cinesi al 30%, mentre i dazi cinesi sulle importazioni americane saranno ridotti al 10%. La sospensione inizierà il 14 maggio.
Le misure degli Stati Uniti includono ancora un componente extra del 20% mirato a fare pressione su Pechino affinché faccia di più per fermare il commercio illegale di fentanyl, una potente droga oppioide. E l’accordo non prevede nulla nemmeno sulla fine delle esenzioni “de minimis” scattata il 2 maggio per i pacchi provenienti dalla Cina con un valore inferiore a 800 dollari, che va a colpire in maniera particolare i colossi dell’e-commerce cinese.
I dazi schizzati addirittura al 145% (per le merci cinesi negli Stati Uniti) e al 125% (per le merci statunitensi in Cina) rischiavano di far crollare il commercio tra i due Paesi, con i porti americani che segnalavano già una forte diminuzione del numero di navi in arrivo dalla Cina. Anche a Pechino la produzione nelle fabbriche era già rallentata e ci sono state segnalazioni di licenziamenti, mentre le linee di produzione di beni destinati agli Stati Uniti stanno cominciando a fermarsi.
Annunciando l'accordo, il segretario statunitense al tesoro Scott Bessent ha dichiarato che “nessuna delle due parti vuole una separazione. Noi vogliamo un commercio più equilibrato, e penso che entrambe le parti siano impegnate a raggiungerlo”. Da parte sua il ministero del Commercio cinese ha dichiarato che l'accordo raggiunto con gli Stati Uniti è un passo importante per “risolvere le differenze” e “porre le basi per colmare le divergenze e approfondire la cooperazione”.
L’accordo raggiunto a Ginevra costituisce comunque solo un punto di partenza per un negoziato tra Washington e Pechino. Da entrambe le parti ci sono, infatti, linee rosse politiche che non saranno facili da superare. Gli Stati Uniti chiedono alla Cina di abbandonare il suo modello nazionalista, aumentare i consumi, aprendo i mercati e riducendo i privilegi delle imprese statali. La Cina ribatte che si tratta di un'ingerenza negli affari interni e chiede agli Stati Uniti di specificare chiaramente l'elenco specifico dei beni su cui spera di ottenere un aumento di importazioni dalla Cina.
Pechino potrebbe promettere di aumentare nel breve termine le importazioni di prodotti agricoli e di energia dagli Stati Uniti in cambio delle riduzioni tariffarie. Sarebbe disposta a offrire nuovamente l'istituzione di un "gruppo di dialogo per il controllo del fentanyl" come risposta simbolica alle esigenze di politica interna degli Stati Uniti. Più in generale potrebbe essere instaurato un "meccanismo negoziale a doppio binario" per separare le questioni tecniche da quelle politiche.
Sullo sfondo, però, ci sono comunque tre fattori che restano destinati a influenzare fortemente il quadro. Innanzitutto il cosiddetto “disaccoppiamento” continuerà comunque ad essere un obiettivo strategico per Washington, che andrà avanti a cercare di ridurre la dipendenza dalla Cina nelle catene di approvvigionamento e a bloccare il trasferimento di tecnologia. È un processo non più nella fase degli slogan, ma conta ormai azioni concrete. Specularmente la Cina va riposizionando la sua politica commerciale, rafforzando le proprie esportazioni verso i Paesi dell’Asean e stimolando i consumi interni. Politiche che non sono certo in grado di sostituire il commercio verso gli Stati Uniti, ma mirano comunque a limitarne il peso sulla propria economia.
Infine ci sono le variabili politiche che oppongono Washington e Pechino, a partire dalle tensioni nello Stretto di Taiwan e più in generale nel Mar Cinese Meridionale, fino al tema dei diritti umani (appena qualche giorno fa il presidente Trump ha evocato la possibilità di far entrare anche il caso di Jimmy Lai a Hong Kong in questo tipo di negoziati). Tutte situazioni che potrebbero portare anche la guerra commerciale a conoscere nuove fiammate in qualsiasi momento.
05/10/2021 13:09
03/12/2020 09:02