Human Rights Watch: 'Espulsioni arbitrarie di musulmani di etnia bengali con cittadinanza indiana'
In un rapporto pubblicato ieri l'organizzazione umanitaria accusa il governo indiano di aver spinto in Bangladesh oltre 1.500 musulmani tra maggio e giugno senza alcun processo legale, alimentando discriminazioni religiose ed etniche. Tra le persone respinte ci sono anche cittadini indiani con documenti validi, come emerso da diverse testimonianze. In Assam, dove la situazione è più critica, sgomberi e demolizioni di case da mesi coinvolgono migliaia di famiglie, espulse o detenute anche per far spazio a interessi economici.
Ieri l’organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch (HRW) ha accusato l’India di aver espulso centinaia di musulmani di etnia bengalese in Bangladesh senza che questi abbiano affrontato un processo legale per accertare la loro effettiva condizione di irregolarità nel soggiorno. Secondo le autorità del Bangladesh solo tra il 7 maggio e il 15 giugno l’India ha espulso oltre 1.500 uomini, donne e bambini musulmani verso il loro territorio e HRW sostiene che Delhi stia ulteriormente alimentando i pregiudizi a sfondo religioso nei confronti dei musulmani.
Elaine Pearson, direttrice per l’Asia di HRW, ha dichiarato che il Bharatiya Janata Party (BJP), il partito ultranazionalista indù da cui proviene il primo ministro Narendra Modi, sta “favorendo la discriminazione espellendo arbitrariamente musulmani bengalesi dal paese, incluse persone che sono cittadini indiani”. Per HRW, le affermazioni delle autorità secondo cui le espulsioni sarebbero finalizzate alla gestione dell'immigrazione illegale, sono “poco convincenti”.
Khairul Islam, 51 anni, ed ex insegnante dello Stato di Assam, ha raccontato all’organizzazione umanitaria che il 26 maggio gli agenti di frontiera indiani gli hanno legato le mani, lo hanno imbavagliato e costretto ad entrare in Bangladesh, insieme ad altre 14 persone. “L’agente della Border Security Force mi ha picchiato quando mi sono rifiutato di attraversare il confine con il Bangladesh e ha sparato quattro proiettili di gomma in aria”, ha detto l’uomo, che è riuscito a tornare in India due settimane dopo dimostrando di essere un cittadino indiano.
Queste espulsioni fanno parte di una campagna nazionale contro presunti stranieri: a maggio è stata diffusa una direttiva del ministero dell’Interno che chiedeva agli Stati e ai territori dell’Unione di identificare, detenere in centri appositi creati a livello distrettuale e poi espellere gli immigrati senza documenti, fissando un termine di 30 giorni per la verifica dei documenti e l’avvio delle procedure di espulsione.
Nei giorni scorsi la stampa locale indiana si è concentrata sulle violazioni dei diritti umani che si sono verificate a Gurugram, nello Stato dell’Haryana. Il 19 luglio la polizia ha fermato e trasferito in un centro di detenzione almeno 74 lavoratori migranti, 11 dal Bengala occidentale e 63 dall’Assam, sospettati di essere stranieri senza documenti provenienti dal Bangladesh. Persone che lavoravano come addetti alle pulizie, raccoglitori di stracci, operatori ecologici e addetti alle consegne. Uno di loro, di nome Hafizur Sheikh, del Bengala occidentale, è stato detenuto nonostante avesse una carta Aadhaar e una tessera elettorale. Ma i documenti erano sul suo telefono e la polizia ne ha richiesto una copia fisica.
Alcuni attivisti sostengono che questi centri ospitano oltre 200 persone. Alcune persone arrestate hanno denunciato torture e accusato la polizia di concedere il rilascio in cambio di denaro. Alcune donne hanno riferito che i mariti sono stati prelevati senza che venissero veramente controllati i documenti. In risposta alle critiche, il portavoce della polizia di Gurugram, Sandeep Kumar, ha dichiarato: “Non sono detenuti. In conformità con le linee guida del ministero dell’Interno, sono stati creati alcuni centri di detenzione, dove vengono trattenuti i presunti cittadini bengalesi. Nei centri vengono forniti loro tutti i beni di prima necessità, comprese le strutture mediche”. Kumar, tuttavia, non ha risposto sul numero di persone detenute.
La situazione ha spinto molte famiglie a trasferirsi o a convincersi che sia necessario lasciare l’Assam una volta che i propri parenti saranno rilasciati.
La situazione in Assam è ulteriormente aggravata da una serie di demolizioni di abitazioni. Negli ultimi mesi i bulldozer del governo locale hanno raso al suolo case, scuole e centri medici nei distretti di Dhubri, Lakhimpur, Nalbari e Goalpara. Secondo le stime, circa 3.500 famiglie musulmane sono state sfollate solo tra giugno e luglio 2025. Sebbene le autorità giustifichino gli sgomberi con l’accusa di occupazione illegale di terreni governativi o forestali, il Gruppo Adani, l’imprenditore miliardario vicino al premier Modi ha proposto proprio in questi territori la costruzione di una centrale termoelettrica da 3mila megawatt.
La questione è legata anche a una serie di istituzioni burocratiche, come il National Register of Citizens, istituito per distinguere i bengalesi indiani dai cittadini del Bangladesh, che da decenni attraversano il confine come migranti economici e in passato anche in qualità di rifugiati. L’onere di provare di essere cittadini indiani (determinato dal fatto di avere avuto almeno un parente in Assam alla mezzanotte del 24 marzo 1971, prima che il Bangladesh diventasse indipendente) ricade completamente sul singolo, rendendo complicato il processo di identificazione. Dopo che la Corte suprema dell’India nel 2013 aveva ordinato una revisione del registro, nel 2019 è stata pubblicata una lista definitiva, che ha escluso 1,9 milioni di persone su oltre 33 milioni di richiedenti. Queste persone, per la maggior parte musulmani di lingua bengalese appartenenti a famiglie a basso reddito, si sono ritrovate in un limbo legale.
Anche per questa ragione in Assam esistono tribunali per stranieri, un’istituzione unica in questo Stato, incaricata di determinare la cittadinanza. Numerosi rapporti, però, denunciano arbitrarietà e pregiudizi in questi tribunali. Il chief minister dell’Assam, Himanta Biswa Sarma, appartenente al BJP, ha di recente espresso l’intenzione di ridurre la dipendenza delle espulsioni dai tribunali per stranieri, ricorrendo a leggi risalenti al 1950 che permetterebbero espulsioni immediate.
L'opposizione e le critiche sono state molto decise. La chief minister del Bengala occidentale, Mamata Banerjee, ha condannato fermamente le recenti azioni del BJP, accusando il partito anche di “terrorismo linguistico” contro i bengalesi, che spesso vengono identificati perché non parlano hindi. Il bengalese (o bengali) è la seconda lingua più parlata in India e in Assam. Banerjee ha guidato un’ampia manifestazione a Calcutta il 16 luglio, sfidando il BJP a metterla in una struttura di detenzione.
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28/02/2023 14:14