29/07/2023, 09.00
MONDO RUSSO
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I 35 anni del nuovo Battesimo della Rus’

di Stefano Caprio

La festa nazionale del Battesimo della Rus’ di Kiev, che si celebra il 28 luglio, diventa il resoconto di tutto il periodo post-sovietico, che in sette lustri - dall’unità universale dei popoli e delle Chiese - giunge oggi sull’orlo della terza guerra mondiale. Ritorna all'anno zero anelando un tempo di pace e perdono, come descritto dalle procedure dei giubilei vetero-testamentari.

Il 28 luglio è stata celebrata in Russia la festa nazionale del Battesimo della Rus’ di Kiev, giorno in cui si ricorda anche il principale fautore della svolta che diede inizio alla storia dei popoli di questi territori, il gran principe Vladimir “uguale agli apostoli”. Quella che doveva essere una data di unione tra tutti gli slavi orientali, a causa della guerra in Ucraina oggi è invece simbolo della divisione e della maledizione reciproca, basandosi proprio sulla diversa interpretazione dell’eredità del cristianesimo bizantino-slavo.

La solennizzazione di questo ricordo è un’iniziativa su cui si è caratterizzato il patriarcato di Kirill (Gundjaev), che da metropolita spinse già nel 2008 il suo predecessore Aleksij (Ridiger) a rivolgersi all’allora presidente Dmitrij Medvedev, con le seguenti motivazioni: “Tenendo conto del grande significato del Battesimo per i popoli di Russia, Ucraina e Bielorussia, tale da determinare tutto il loro percorso storico, il Sinodo della nostra Chiesa ritiene che il giorno della memoria liturgica di Vladimir il battezzatore possa diventare ufficialmente la festa nazionale del nostro Stato”. Kirill si coordinò con il capo del governo, che in quel momento era Vladimir Putin in “fase transitoria” del suo potere assoluto ed eterno, e dal 2009, diventato patriarca, si è recato trionfalmente a Kiev ogni anno per riaffermare la sobornost, l’unità spirituale di tutti i discendenti della Rus’, fino al 2014 con l’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina. Da allora il patriarca non ha più potuto mettere piede sulla terra dei “fratelli minori”, e ora riceve da essi tutte le maledizioni possibili: “come può un patriarca benedire i missili che distruggono una cattedrale da lui stesso consacrata?”, si è chiesto l’arcivescovo maggiore dei greco-cattolici ucraini, che i suoi fedeli chiamano “patriarca di Kiev”, dopo la distruzione della chiesa della Trasfigurazione di Odessa.

Quest’anno le celebrazioni sono quindi offuscate da una nube di terrore e morte, tanto da assomigliare più a un “battesimo di sangue”, invece del bagno purificatore nel Dnepr sotto le colline di Kiev. Le manifestazioni storico-religiose hanno dovuto lasciare spazio ad eventi simbolici di tutt’altra natura: invece di riunirsi con i fratelli slavi, in questi stessi giorni i russi hanno partecipato alle pompose parate in Corea del Nord, per ricordare la vittoria del comunismo di settanta anni fa, e si faticava a distinguere il ministro russo della difesa, Sergej Šojgu, tra i generali coreani della corte di Kim Jong-un, anche per i suoi tratti asiatici dovuti all’etnia tuvino-mongolica. Invece di bielorussi e ucraini, inoltre, il presidente Putin ha riunito a San Pietroburgo i leader africani più filo-russi, promettendo loro di nutrirli gratuitamente con il grano russo-ucraino, che non verrà più concesso a chi non ama la Russia.

Il patriarca Kirill ha dovuto rassegnarsi a benedire il summit “Russia-Africa”, commettendo anche un curioso lapsus “freudiano”. Iniziando il suo discorso, egli si è rivolto a Putin come “Vostra Eccellenza Vladimir Vasilievič”, sbagliando sia il titolo (prevoskhoditelstvo, “eccellenza”, si può dire agli ambasciatori o ai capi religiosi, non al presidente), che il patronimico, essendo egli Vladimirovič “figlio di Vladimir”. Molti hanno pensato che Kirill avesse in mente altri monarchi, segnatamente Ivan IV Vasilievič “il Terribile”, o sognasse di trovarsi di fronte allo stesso santo Vladimir di Kiev, in una confusione di epoche e continenti. Putin in un primo momento ha stretto i denti, poi si è messo a sorridere, anche perché egli stesso è noto per sbagliare i patronimici, a volte casualmente, ma spesso di proposito a scopo di umiliazione degli interlocutori e dei sottoposti. Quello che proprio non gli viene è rivolto al ministro della difesa “russo-coreano” Šojgu, Sergej Kužugetovič, difficile da ricordare e facile da deridere, anche per sottolineare il ruolo servile del “grande amico” e compagno di caccia del presidente.

Kirill ha comunque potuto vantarsi dell’apertura di oltre 200 parrocchie ortodosse russe in 25 Paesi africani, a partire dal dicembre 2021, dopo aver lanciato l’anatema al patriarcato greco di Alessandria che si è allineato con Costantinopoli nel riconoscimento dell’autocefalia ucraina, e “costringendo” in questo modo i russi a prendersi cura da soli di tutti i “veri cristiani” dell’Africa e del mondo intero. Il patriarca ha assicurato che Mosca “non ha mai guardato all’Africa come terra da colonizzare, un sentimento che non ci appartiene”. C’è invece una “naturale consonanza spirituale” tra russi e africani, visto che la maggior parte dei Paesi dell’Africa “rifiuta la legalizzazione dei matrimoni omosessuali, dell’eutanasia e di molti altri peccati”.

Il Battesimo kievano, slavo-bizantino, si trasforma così in una nuova versione del cristianesimo, russo-african-coreana, a difesa dei “valori tradizionali anti-occidentali” e ad esaltazione del “comunismo sobornico-popolare” di Oriente e Occidente, Settentrione e Mezzogiorno. È l’esito finale del processo di “rinascita religiosa”, che ebbe inizio ancora sotto Gorbačev con le prime grandi celebrazioni del Millennio della Rus’ nel 1988. Il regime della perestrojka temeva inizialmente le aperture alla religione, e la festa sarebbe dovuta rimanere limitata alle mura della piccola cattedrale dell’Epifania in Elokhovo, la chiesa periferica di Mosca allora assegnata come sede patriarcale (la grande cattedrale del Salvatore sarà ricostruita solo nel 1997, per gli 850 anni della città di Mosca). Le pressioni internazionali, e soprattutto la straripante personalità del papa Giovanni Paolo II, spinsero Gorbačev a rompere gli indugi e mandare in soffitta la persecuzione religiosa, appropriandosi perfino dello slogan del pontefice polacco di una “Europa spirituale dall’Atlantico agli Urali”.

Karol Wojtyla avrebbe voluto recarsi personalmente a Mosca, ma il suo sogno non si sarebbe avverato né allora né in seguito, e solo in parte lo ha realizzato il suo successore argentino, anche se nel seminterrato dell’aeroporto dell’Avana. Alla grande Lavra di San Sergio, dove ora trionferà nuovamente l’icona della Trinità di Rublev, arrivò comunque nel 1988 una delegazione di dieci cardinali guidati dal segretario di Stato Agostino Casaroli, la ostpolitik vaticana in persona che diventava alfiere della rinascita, accompagnato tra gli altri dall’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, e da quello di Parigi Jean-Marie Lustiger. L’anno successivo Gorbačev si recò a Roma a incontrare Giovanni Paolo II, in un abbraccio che ricordava quelli di Giovanni XXIII con Nikita Khruščev al tempo del “disgelo” post-staliniano; si decise di ristabilire le relazioni tra la Santa Sede e l’Unione Sovietica (scomparsa due anni dopo), e anche la Chiesa cattolica cominciò a partecipare alla rinascita religiosa della Russia.

Trentacinque anni sono passati dal grande Millennio, e in questi sette lustri si condensano vere e proprie epoche e rivolgimenti politici, religiosi e ora anche militari. La festa dei 1035 anni diventa il resoconto di tutto il periodo post-sovietico, che dall’unità universale dei popoli e delle Chiese giunge oggi sull’orlo della terza guerra mondiale, che potrebbe devastare l’umanità intera.

Si possono rapidamente suddividere questi anni proprio secondo i quinquenni, in un “settennato simbolico” di sapore biblico, che dalle benedizioni è giunto ai guai e alle tragedie. Dal 1988 al 1993 si è compiuta la transizione dal totalitarismo sovietico all’embrione poi abortito della Russia democratica, in cui la libertà religiosa più assoluta si accompagnava al senso di frustrazione del patriarcato ortodosso, guardato con sufficienza e perfino disprezzo, per le sue complicità con l’oppressione dell’ateismo di Stato. Nel 1993 iniziò la regressione delle riforme eltsiniane, contestate fino al punto di dover bombardare lo stesso parlamento di Mosca, e la Chiesa ortodossa salutò la rinascita del partito comunista soppresso alla fine dell’Urss. Furono i comunisti a far approvare la nuova legge sulla libertà religiosa del 1997, che metteva l’Ortodossia al di sopra di tutte le altre religioni (perfino del cristianesimo), e il quinquennio si chiuse con il crollo delle piramidi speculative e la crisi economica, pietra tombale del liberalismo eltsiniano filo-occidentale.

Nel 1998 cominciò così l’ascesa di Putin, che da direttore dell’Fsb (ex-Kgb) diventò l’anno successivo primo ministro, e nel 2000 infine presidente. La sua elezione coincise con il Sinodo del Secondo Millennio della Chiesa ortodossa, dove con la “Dottrina Sociale” di Kirill sul sovranismo ortodosso anti-globalista cominciò a prendere forma l’ideologia attuale del “mondo russo”. Nel 2003 questa fase arrivò alla definitiva restaurazione della “Chiesa di Stato”, con l’espulsione dei missionari stranieri cattolici e protestanti, e il gelo con il papa polacco considerato colpevole della sottomissione dell’Ortodossia ai centri di potere mondiali. Non a caso negli ultimi anni del suo pontificato Giovanni Paolo II visitò la Georgia, l’Armenia e l’Ucraina, presentendo i tragici eventi futuri grazie alla sua lunga esperienza sotto i sovietici.

Dal 2003 al 2008 la “rinascita religiosa” si è trasformata in “restaurazione della grandezza della Russia”, a suon di minacce e astiose lamentele contro la Nato, gli anglosassoni, l’Europa e la “degradazione dei valori morali”, con toni presidenziali ancora più radicali di quelli patriarcali. Il quinquennio 2008-2013 ha visto il tentativo di organizzare grandi manifestazioni culturali, sportive, religiose e politiche fino alle Olimpiadi invernali di Soči, quando il sogno putiniano si è infranto sulla sollevazione popolare dei “nazisti ucraini”, iniziando il conflitto ibrido poi trasformato in guerra rovente. Dal 2013 al 2018 Putin ha posto le basi della sua nuova statura di presidente-zar, poi consacrata nell’ultimo lustro della “grande guerra” contro il mondo colpevole del “complotto della pandemia” e della “occupazione dell’Ucraina”, iniziando quindi la “guerra di liberazione speciale”.

Si può dire che il Battesimo della Russia ritorni all’anno zero, sperando in un settennato benevolo di pace e perdono, come descritto dalle procedure dei giubilei vetero-testamentari. La religione rinata per giustificare la guerra, come ai tempi di Giosuè e Davide, aspetta la nuova venuta di Cristo, dopo la vergogna della distruzione delle cattedrali e dell’esilio dei popoli, e la chiamata di alcuni apostoli del Vangelo, un annuncio che vale più di ogni finta religione.

 

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