07/11/2023, 08.55
UZBEKISTAN - GAZA
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Il (moderato) sostengo di Taškent alla guerra di Hamas a Israele

di Vladimir Rozanskij

In relazione alle vicende mediorientali clima sempre più pesante in Uzbekistan. Le autorità temono un riaccendersi del fondamentalismo islamico. Oltre ai divieti di espressione pubblica, aumentano le norme che limitano le tradizioni esplicitamente legate islamiche: dai vestiti che coprono il volto delle donne, alle pratiche familiari dei matrimoni combinati e poligamici. 

Mosca (AsiaNews) - Anche l’Uzbekistan, come tanti Paesi del mondo e soprattutto quelli a maggioranza islamica, si schiera dalla parte dei palestinesi nel conflitto con gli israeliani. Di fronte alle manifestazioni dei giovani negli ultimi giorni, peraltro, le autorità di Taškent hanno deciso di prendere posizione contro gli eccessi, per evitare disordini come quelli avvenuti nella repubblica caucasica russa del Daghestan, con i pogrom antisemiti.

Il presidente Šavkat Mirziyoyev ha comunicato di aver destinato un milione e mezzo di dollari per aiutare gli abitanti del settore di Gaza, sotto assedio da parte di Israele, affidandoli all’agenzia dell’Onu per il Medio oriente. Egli ha espresso la “piena solidarietà dell’Uzbekistan con il popolo della Palestina”, sostenendo il suo diritto a formare uno Stato indipendente. Allo stesso tempo non ha fatto mancare “la compassione e le condoglianze a tutte le famiglie delle persone che hanno perso la vita, sia da parte palestinese che israeliana”.

Mirziyoyev ha voluto anche ammonire la gioventù uzbeka a “non farsi condizionare dalle tante menzogne della propaganda” e a “non compiere azioni contrarie alla legge”. Questa affermazione è risuonata due giorni dopo che le forze dell’ordine avevano dovuto disperdere una manifestazione a Taškent a sostegno della Palestina, fermando oltre cento dimostranti che intendevano occupare la piazza al centro della capitale. Gli appelli a riunirsi erano stati diffusi tramite le reti social, copiando i banner dei meeting analoghi in corso a Istanbul.

Nel logo proposto dagli attivisti uzbeki si mostrava il volto di Amir Timur (il Tamerlano), il condottiero uzbeko-mongolo conquistatore anche della Terra Santa, a cui è dedicato lo spazio centrale della città.

Attorno al monumento a lui dedicato una folla di persone con le bandiere di Uzbekistan e Palestina e le scritte “Spalla a spalla dei palestinesi” e “15 giorni di galera non ci spaventano” con riferimento alla punizione per le manifestazioni non autorizzate, e anche “Se saremo in tanti, ci sentiranno!”. In piazza però hanno trovato schierate le forze di polizia, insieme ai membri dei servizi dell’Ovd e della Guardia nazionale, con autobus pronti per portare i fermati ai posti di controllo e detenzione.

Con le persone arrestate i poliziotti hanno tenuto “conversazioni di chiarimento” e la maggior parte è stata rilasciata, ma alcuni hanno ricevuto delle multe per “violazione delle norme di ordine pubblico e organizzazioni di riunioni o cortei di strada non autorizzati”. I verbali sono finiti nei tribunali per possibili, ulteriori conseguenze, e dovranno essere giudicati in diversi quartieri di Taškent. Qualcuno è stato anche trattenuto in cella per alcuni giorni.

Sui social uzbeki la punizione dei dimostranti ha suscitato molte proteste, visto che di fatto la manifestazione non ha avuto luogo; un ex-deputato del Parlamento, Rasul Kušerbaev, ha scritto che “non si può punire la gente per reati che neanche sono stati commessi”, sottolineando che l’ordine per i raduni di piazza non è esplicitato nella legislazione uzbeka, ma viene affrontato solo in decreti ministeriali limitati nel tempo. Era stato l’allora primo ministro Šavkat Mirziyoyev, ora presidente, a emettere una circolare in proposito a luglio del 2014, riguardante soltanto le manifestazioni “contro le autorità”.

Il clima in Uzbekistan sta diventando sempre più pesante in relazione alle vicende mediorientali, e le autorità temono un riaccendersi del fondamentalismo islamico, già più volte contrastato nel trentennio post-sovietico con varie misure repressive. Oltre ai divieti di espressione pubblica, aumentano le norme che limitano le tradizioni esplicitamente legate alla religione musulmana, dai vestiti che coprono il volto delle donne alle pratiche familiari dei matrimoni combinati e poligamici, per non trasformare il Paese in una nuova sede dei fanatismi politico-religiosi.

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