15/06/2024, 08.45
MONDO RUSSO
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Il Giorno della Russia eterna e universale

di Stefano Caprio

Quella che si è celebrata anche quest'anno il 12 giugno è la prima festa nazionale dell'era post-sovietica. Ma per evitare di ingarbugliarsi con le interpretazioni ondivaghe sulle sue origini, Putin ha pensato bene di richiamarsi addirittura al principe Rjurik, il mitologico capo variago che secondo le antiche cronache avrebbe dato inizio alla storia della Rus’ nell’anno 862 a Novgorod, prima ancora della fondazione di Kiev

Il 12 giugno si è festeggiato il Den Rossii, il “Giorno della Russia”, la prima festa nazionale dell’era post-sovietica, con grandi manifestazioni di giubilo collettivo per le strade e le piazze, le cosiddette guljanja o “passeggiate” tra concerti, giochi e fuochi d’artificio “da Kaliningrad alla Kamčatka”, fatta eccezione per la regione di Belgorod ai confini con l’Ucraina, dove infuriano i combattimenti da una parte all’altra della frontiera. Per rendere più sereno il cielo di Mosca, fin dai tempi del sindaco Jurij Lužkov, si sparano in cielo speciali sostanze per disperdere le nuvole, anche se quest’anno la manovra è riuscita solo in parte, con una mattinata di sole e ampi scrosci pomeridiani.

In realtà la festività fu istituita prima ancora del crollo dell’Urss, il 12 giugno 1990, con l’approvazione della “Dichiarazione della sovranità” della repubblica sovietica russa Rsfsr, allora guidata dal segretario del partito locale, Boris Eltsin, che in quella stessa data nell’anno successivo fu eletto presidente, e solo a dicembre del 1991 mise fine all’Unione Sovietica. Si tratta quindi di una data che ricorda le fasi convulse e drammatiche del crollo dell’impero, col disperato tentativo gorbacioviano di trasformarlo in una Unione di Stati indipendenti; prima della Russia si erano dichiarati tali i Paesi Baltici, l’Azerbaigian, la Georgia e a maggio l’Ucraina. Il titolo della ricorrenza è rimasto infatti a lungo “Giorno dell’Indipendenza della Russia”, e solo nel 2002 è stato definitivamente liberato dal concetto di “indipendenza”, che di solito si attribuiscono i Paesi colonizzati quando si liberano dal dominio esterno, mentre risulta piuttosto grottesco per un Paese colonizzatore quando perde le colonie.

Per non perdere del tutto il legame sovietico ormai consunto, poco prima della fine dell’Urss fu istituita quindi la “Comunità degli Stati Indipendenti”, l’8 dicembre 1991, una struttura nostalgica ancora esistente (almeno sulla carta) che riuniva nove delle quindici ex-repubbliche dell’Unione, tranne i Baltici e il Turkmenistan, che è rimasto “associato esterno” come usa fare Ašgabat in qualunque tipo di alleanza o cooperazione. Il 12 giugno rimane quindi di fatto la festa della caduta dell’Unione Sovietica, l’evento “più tragico di tutta la storia contemporanea” secondo le parole di Vladimir Putin, e allo stesso tempo l’orgoglio della Russia che da Repubblica diventa Stato e Federazione, trascinandosi tutte le contraddizioni ereditate dai decenni del comunismo “salvifico”, e che oggi la spingono a creare un nuovo ordine mondiale, rimettendosi al centro della storia a forza di bombe e di minacce atomiche.

Per evitare di ingarbugliarsi con le interpretazioni ondivaghe sull’origine della festa, mentre distribuiva ai veterani della guerra e del lavoro le onorificenze degli Eroi di Russia, Putin ha pensato bene di richiamarsi addirittura al principe Rjurik, il mitologico capo variago che secondo le antiche cronache avrebbe dato inizio alla storia della Rus’ nell’anno 862 a Novgorod, quindi prima ancora della fondazione di Kiev e un secolo prima del Battesimo di Vladimir. L’ex-presidente Dmitrij Medvedev, in preda all’euforia non solo dell’occasione, ha mostrato trionfalmente una nuova carta geografica “interattiva” della Russia che comprende tutto il territorio dell’Ucraina, il cui nome è sostituito dall’appellativo di Malorossija, la Piccola Russia dei secoli passati. I blogger e i media indipendenti russi hanno invece tenuto una maratona a sostegno dei prigionieri politici, dal titolo “Tu non sei solo”, una tradizione degli ultimi anni di ritorno al totalitarismo. Sono stati raccolti circa 30 milioni di rubli, meno dei 40 dell’anno scorso in quanto chi avesse dato soldi dalla Russia oggi sarebbe stato automaticamente arrestato e perseguitato, quindi ci si è limitati alla raccolta tra gli emigranti in fuga dalla dittatura.

Per sostenere i proclami putiniani, gli abitanti di Novgorod sono stati radunati fin dal primo mattino sulle rive del vicino lago Ilmen’ per cantare l’inno nazionale, proprio dove visse il principe Rjurik in quella che veniva chiamata Il’menskaja Rus’, il primo nome dello Stato nascente che inizialmente i Variaghi chiamavano Gardariki, la regione delle Gard, i “centri abitati”. Da qui il titolo della prima capitale Nov-Gorod, la “nuova città”, Nea-Polis. La scelta di rileggere fin dalle radici più antiche la storia russa è stata fortemente voluta da Putin, che ultimamente è sempre più rivolto verso “gli antenati” per non rimanere schiacciato negli stereotipi sovietici e zaristi, risalendo alle origini dell’intera Europa. E in generale per dimostrare come il vero patriottismo russo è un’energia di portata universale, che trascende ogni tempo, ogni confine e ogni latitudine: gli avi del grande Nord si proiettano sull’attuale Sud globale, la civiltà dell’Occidente medievale si fonde con quella dell’Oriente contemporaneo, la Russia è la vera Madre Terra da cui tutti i popoli devono attingere la linfa vitale.

Dopo due ore di solenne lezione del presidente sulla storia antica e universale, a nome di tutti i premiati militari e del lavoro, scienziati e perfino “difensori dei diritti umani”, il direttore dell’Istituto Kurčatovskij, l’eroe per la fisica Mikhail Kovalčuk, ha ringraziato Putin: “Grazie Vladimir Vladimirovič, senza di voi nulla di tutto questo sarebbe stato possibile”, quasi fosse sceso lui stesso dall’empireo scandinavo a creare la Russia ai tempi di Carlo Magno. Per le donne è intervenuta Julia Belekhova, fondatrice del Comitato delle famiglie dei combattenti per la Patria, la risposta militante alle “Madri e mogli per il ritorno a casa” che chiedono di poter riabbracciare i propri cari incatenati al fronte ucraino, almeno quelli ancora vivi. Tutto il merito della Belekhova, premiata come attivista umanitaria, consiste nella pubblicazione quotidiana sul social VKontakte dei video dei soldati che festeggiano la conquista di qualche chilometro di territorio ucraino. Come è stato spiegato, Julia “parla ogni giorno con il presidente”, per confidargli i profondi sentimenti patriottici delle donne della Russia.

Come commenta il sociologo Igor Ejdman, queste premiazioni solenni servono a “dare un ciondolo a tutte le sorelle” (razdat vsem sestram po sergam), un detto russo per indicare la soddisfazione di tutte le categorie sociali, mostrandone la lealtà al potere costituito, qualunque sia la loro condizione o occupazione, un’abitudine tipica dei tempi sovietici. I premiati vengono accuratamente scelti anche a livello individuale (Putin in questo è estremamente sospettoso) in modo da mostrare una completa rassegna di popolo “immacolato” e immune da ogni tipo di “influenza esterna”, l’infezione da cui solo i russi sono in grado di guarire anche gli altri popoli. Per il resto i festeggiamenti in tutto il Paese sono apparsi piuttosto ripetitivi e inutilmente enfatici, del resto è difficile andare oltre il fanatismo super-patriottico del cantante Šaman e la sua canzone Ja russkij, ormai un ulteriore inno nazionale. La popolazione è stanca della guerra e teme sempre le nuove mobilitazioni, e gli appelli alla dinastia rjurikide o le premiazioni fasulle non riescono a scaldare molto gli animi.

La festa della Russia che risale a tempi mitologici è anche un modo per rilanciare un’immagine sempre più scolorita e deprimente della “Federazione”, il prodotto delle contraddizioni degli anni Novanta che la data del 12 giugno rimembra. Se la Rus’ torna alla primitiva “Via dai Variaghi ai Greci” per cui si unirono le tribù scandinave con quelle slave orientali, allora questa memoria dovrebbe far comprendere come i russi non possono vivere in altro modo se non aggregando gli altri popoli e i più vasti territori, proiettandosi nella dimensione eterna e universale dell’Eurasia e del “Mondo Russo”, e tutte le spinte separatiste dei finnici e settentrionali, dei caucasici e degli asiatici vengono tacitate e riassunte in una nuova epopea di conquista e di sobornost, di riunione purificatrice. Il presidente Putin ha fatto gli auguri per questo al patriarca Kirill, ricordando che la Russia e la Chiesa sono due concetti che si sovrappongono: l’uno non esiste senza l’altra, ma anche la “vera fede” può esprimersi solo nella visione di un’entità superiore, statale-federale-cosmica, la Russia è l’Ortodossia incarnata.

Come osserva Viktoria Artemeva su Novaja Gazeta Evropa, la Federazione è soltanto “il fantasma di un Paese che non esiste, e non è mai esistito”, descritto come “una storia d’amore incompiuta, tipica dei più banali romanzi rosa”. L’uomo, il potente, cerca la donna, la Russia, affermando che non può vivere senza di essa, poi la rifiuta e la riprende più volte, teme che lei possa tornare e scalzarlo dal trono, quindi la reprime e la rinchiude nella tenebra più profonda. Il “federalismo” è un concetto inviso al potere attuale del Cremlino, che festeggia le origini della sua stirpe per evitare di guardare negli occhi i suoi discendenti, e comprendere che nessun uomo e nessun popolo è in grado di scrivere da solo l’intera storia del mondo.

 

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