06/10/2023, 12.20
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Il Mizoram si rifiuta di raccogliere i dati biometrici dei profughi dal Myanmar

Lo Stato nord-orientale indiano considera i Chin in fuga parte della stessa famiglia, ma la questione ha anche una rilevanza politica perché entro la fine dell'anno si terranno le elezioni locali, e il premier Zoramthanga è alla ricerca di un altro mandato. Si stima che almeno 30mila rifugiati birmani siano presenti in Mizoram, il gruppo più consistente in Italia. Un atteggiamento opposto rispetto a quello del Manipur e agli ordini del governo centrale di Delhi.

Milano (AsiaNews) - Il governo del Mizoram, uno degli Stati del nord-est dell’India, ha dichiarato lo scorso mese che non raccoglierà i dati biometrici dei rifugiati provenienti dal Myanmar, ignorando le indicazioni arrivate dal governo centrale di Delhi.

L’ordine era arrivato dal governo indiano guidato dal primo ministro Narendra Modi ad aprile di quest’anno, quando il ministero dell’Interno aveva chiesto che il Mizoram e il Manipur, entrambi confinanti con il Myanmar, raccogliessero i dati di quelli che vengono considerati “migranti illegali”. Il Mizoram, però, che ospita la fetta più consistente di profughi in fuga dal conflitto civile esploso dopo il colpo di Stato del febbraio 2021, considera l’etnia Chin imparentata con i Mizo, il principale gruppo etnico che risiede nello Stato. Nei registri governativi vengono chiamati anche Kuki e fanno parte di una serie di gruppi tribali conosciuti con il nome di Zo, termine utilizzato per riferirsi alle popolazioni che abitano le colline di Lushai che si estendono tra l’India e il Myanmar.

I due Stati condividono un confine (non recintato) di 1.643 km, che attraversa Arunachal Pradesh (520 km), Nagaland (215 km), Manipur (398 km) e Mizoram (510 km). Gli stati corrispondenti in Myanmar sono il Kachin, la regione del Sagaing e il Chin. Le popolazioni dalle due parti della frontiera condividono la stessa lingua, la stessa cucina, la religione cristiana e le stesse tradizioni, anche se con sfumature diverse. Già in passato, durante la repressione da parte del Tatmadaw (l’esercito birmano) contro i manifestanti pro-democrazia del 1988, diversi Chin erano emigrati in Mizoram e lì sono rimasti. Ma tra il 1966 e il 1986 anche diversi Mizo sono emigrati in Myanmar durante un periodo di disordini politici tra le popolazioni indigene, confluite nel Mizo National Front (MNF) - al tempo una milizia armata e oggi partito che guida lo Stato - e il governo centrale di Delhi. Per questo la frontiera non è mai stata recintata e fino a prima della pandemia ci si poteva spingere fino a 16 km oltre il confine per 14 giorni senza visto.

Il Mizoram, governato dal primo ministro Zoramthanga, a capo dell’MNF, in precedenza aveva ignorato anche l’ordine del governo centrale di chiudere la frontiera. Nel Manipur, invece, la situazione è più complicata: da inizio maggio sono in corso disordini, sfociati in violenti scontri etnici, a causa delle diversa allocazione delle risorse governative per i gruppi tribali Kuki (vicini all’etnia Chin cristiana in fuga dal Myanmar) e Meitei (il gruppo maggioritario e in prevalenza indù). Nel Manipur i rifugiati birmani sono accusati di favorire il traffico illecito di stupefacenti e di armi, nonostante secondo gli esperti non ci siano dati a supporto di questa tesi. Qualche settimana fa anche il Manipur, che aveva avviato il processo di registrazione dei dati biometrici con l’assistenza del National Crime Records Bureau a luglio, ha chiesto una proroga per completare le operazioni a causa del conflitto interno. Il ministero dell’Interno ha concesso altri sei mesi, fino al 31 marzo 2024 per raccogliere impronte digitali e parametri oculari.

Il ministro dell'Informazione e delle Pubbliche relazioni del Mizoram, Lalruatkima, stima che nello Stato, che ha una popolazione di poco più di un milione di abitanti, ci siano 30mila rifugiati provenienti dal Myanmar e altri 30mila dal Bangladesh. Di nessun immigrato sono stati raccolti i dati biometrici per “motivi umanitari”, ha dichiarato all’Indian Express, aggiungendo che il governo centrale, una volta ottenute le informazioni “spingerà fuori” i rifugiati: “Le persone che sono venute dal Myanmar sono nostri parenti. Quando furono tracciati i confini al tempo degli inglesi, alcuni dei nostri fratelli e sorelle rimasero dall’altra parte. Questa è la condizione dei Mizo. Quando è avvenuto il colpo di Stato militare, sono venuti a rifugiarsi qui”, ha aggiunto Lalruatkima. Il ministro ha ammesso che la questione è legata anche alle prossime elezioni dell'Assemblea statale, previste entro la fine dell’anno. “Questa è una questione politica. Non possiamo fare alcun passo avanti su questa questione finché non si saranno tenute le elezioni”. Il partito del premier Zoramthanga è alla ricerca di un ulteriore mandato e gli osservatori pensano che la decisione sia stata presa anche per guadagnare terreno politico.

Secondo gli esperti, registrare i dati biometrici dei rifugiati è diventata la norma in diverse parti del mondo, ed è certamente di aiuto per la distribuzione di risorse e aiuti; ma può diventare anche un  modo per violare la privacy di soggetti vulnerabili che non hanno poi modo di opporsi alle decisioni dei governi. In passato, per esempio, Human Rights Watch ha denunciato la condivisione dei dati personali di cittadini birmani in Bangladesh da parte dell’UNHCR, l’Agenzia Onu per i rifugiati. Le informazioni sono state condivise con il governo del Bangladesh che le ha a sua volta inviate al regime militare birmano nel tentativo di procedere con i rimpatri dei profughi Rohingya, nonostante in Myanmar non ci siano le condizioni di sicurezza necessarie per il trasferimento della popolazione.

 

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