16/06/2011, 00.00
CINA
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Il Partito comunista cinese apra alla democrazia. Oppure cadrà

di Willy Wo-Lap Lam
Un’analisi della situazione interna alla politica cinese dimostra come sempre più i moderati vogliono prendere parte al processo decisionale in Cina. Ostacolati con tutti i mezzi dal Partito, che teme di perdere la propria leadership. Ma le proteste sociali sono dietro l’angolo.
Pechino (AsiaNews) - In quella che è stata definita una battaglia fra Davide e Golia, i cittadini cinesi sembrano sempre di più riluttanti ad accettare l’apparato Partito-Stato che li governa; questo sembra essere sempre di più lontano dalle aspirazioni popolari. Gli sforzi per sfidare la supremazia del Partito comunista cinese (Pcc) crescono sempre di più, nonostante la polizia, gli agenti della sicurezza di Stato e la semi-militare Polizia armata del Popolo stiano mettendo in atto metodi draconiani per mettere a tacere le voci destabilizzanti o “non armoniose” all’interno del Paese. Inoltre, la leadership sotto la guida del presidente Hu Jintao sembra aver deciso a favore di una campagna nazionale tesa a resuscitare le norme autoritarie.

Nelle ultime settimane siamo stati testimoni di avvenimenti orrendi, in cui cinesi ordinari hanno preso decisioni drastiche per dimostrare la propria frustrazione nei confronti delle autorità. Quella più seguita è stata la situazione della Mongolia interna, dove vivono sei milioni di persone di etnia mongola: qui si sono verificati i peggiori incidenti mai visti dalla fine della Rivoluzione culturale. Dall’inizio di maggio - quando due anziani mongoli sono stati uccisi dopo essere stati investiti da camion guidati da cinesi han - le proteste hanno coinvolto migliaia di residenti locali nella città di Xilinhot e nelle contee vicine, Zhenglan e Xiwu. I manifestanti, che comprendevano contadini così come studenti dei college, protestavano contro l’espropriazione delle terre appartenenti ai mongoli operata dalle compagnie minerarie gestite da cinesi han.

A differenza del Tibet o dello Xinjiang, in Mongolia interna non si verificavano scontri etnici da circa 30 anni. Dato che nella provincia esiste un forte movimento nazionalista sotterraneo - che vuole l’unione con la Mongolia indipendente - i dirigenti comunisti regionali compreso il Segretario comunista Hu Chunhua si sono affrettati a calmare gli animi, dichiarando di voler “sostenere con forza lo stato di diritto e garantire i diritti delle vittime”. Hu ha inoltre dichiarato di voler aiutare gli espropriati e ha dichiarato che le compagnie minerarie - colpevoli di inquinare l’ambiente - avrebbero dovuto risarcirli.

Allo stesso modo si sono verificati una serie di avvenimenti che hanno disturbato il sonno della leadership comunista, fra cui una serie di cinque esplosioni sospette che si sono verificate nelle provincie di Jiangxi, Shandong, Sichuan, Shania e Heilongjiang. La maggior parte di questi incidenti - che in totale hanno provocato la morte di dieci persone, sembrano essere stati messi in atto da singoli, che protestavano contro il comportamento del governo. La più dibattuta è stata l’esplosione avvenuta nella città di Fuzhou, nel Jiangxi. Il 26 maggio, l’attentatore sucida Qian Mingqi ha piazzato tre bombe in due edifici governativi di questa città, dalle dimensioni medie. Insieme a Qian è morta almeno un’altra persona, mentre sei sono state ferite. Nel cyberspazio cinese, tuttavia, Qian ha ricevuto molto sostegno e simpatia dagli utenti, che lo hanno definito una vittima del “furto di terre”. Si tratta di un riferimento alla confisca delle proprietà dei cittadini ad opera di ufficiali corrotti, che operano in combutta con gli investitori. Prima del suo attentato quasi-terroristico, Qian ha detto di essersi rivolto alle autorità regionali e centrali per oltre dieci anni senza alcun successo.

Gli “scontri di massa”- in cui manifestanti e polizia si confrontano in maniera violente - si sono verificati nei mesi scorsi in diverse province e città della Cina fra cui Jiangsu, Guizhou, Hunan, Hebei, Gansu, Henan, Guangdong, Tibet, Liaoning, Beijing e Shanghai.

Anche se è troppo presto per dire se questa ondata di manfestazioni convincerà le autorità ad aprire alle liberalizzazioni o a limitare la repressione, va comunque notato che un buon numero di noti “intellettuali pubblici” hanno scelto di esprimersi a favore della riforma politica attraverso istituzioni e canali ufficiali. Diversi giornalisti, avvocati, docenti e attivisti delle Organizzazioni non governative hanno dichiarato, nello scorso mese, di volersi candidare alle elezioni amministrative di primo livello. Fra questi ci sono cinque opinion leaders che cercano un seggio nei Congressi del popolo dei distretti di Pechino, Shanghai e Chongqing. I tre candidati di Pechino sono il ricercatore Xiong Wei, il professore presso l’Università di Politica e Legge Wu Danone e il noto giornalista Yao Bo. Li Chengpeng, popolare giornalista e commentatore politico, vuole presentarsi a Chongqing, mentre lo scrittore e attivista per i diritti umani Xia Shang spera di divenire deputato del Partito di Shanghai.

Nell’apparente tentativo di non provocare le autorità, questi intellettuali si sono legati a temi relativamente neutrali come “promuovere l’uguaglianza e la giustizia sociale”, che è il motto preferito del primo ministro Wen Jiabao. Molti hanno posto la propria “piattaforma elettorale” nei propri blog personali e in altri veicoli sociali sui media. Ad esempio Li, di Chongqing, ha dichiarato che spera di aiutare i residenti della città a “realizzare i loro desideri legittimi e le loro aspirazioni, supervisionando il governo e migliorando la riforma sociale”. Xiong, da Pechino, ha dichiarato di voler migliorare i benefici della sicurezza sociale e i diritti civili dei “migranti”, cui non viene concessa la residenza nella capitale.

Secondo Xu Zhiyong, attivista veterano per i diritti umani che fornisce assistenza legale a questi candidati in pectore, “sempre più cittadini interessati al bene pubblico iniziano a considerare l’idea di prendere parte alle elezioni”. Xu, ex deputato distrettuale, aggiunge: “Anche soltanto candidarsi per quei posti dà una grossa spinta per le riforme”. Zhang Ming, analista politico dell’Università del Popolo, sottolinea che il governo dovrebbe incoraggiare sempre più cittadini a realizzare i propri diritti democratici: “Tuttavia è vero che l’atmosfera politica è tesa. Le autorità sono impegnate nel controllare le elezioni, e potrebbero non volere che gli intellettuali partecipino al processo”.

In effetto è troppo presto per poter dire se Li, Xiong e gli altri diverranno realmente dei candidati ufficiali. Questo nonostante il fatto che, sin dai primi anni Ottanta, Pechino ha permesso - almeno sulla carta - a tutti i cittadini cinesi di partecipare alle elezioni a livello di contea, città di medio livello e distretti all’interno delle metropoli come Pechino e Shanghai. Ma nella realtà le cose sono diverse: all’inizio di maggio le autorità hanno impedito alla lavoratrice disoccupata Liu Ping (47 anni) di partecipare alle elezioni per la città di Xinyu, nel Jiangxi. Ex dipendente della Xinyu Steel Works, era conosciuta per la sua opera a favore dei diritti dei lavoratori. Lo scorso anno, Liu si era recata più volte a Pechino con delle petizioni per chiedere giustizia dopo essere stata cacciata dalla sua unità di lavoro. Le autorità di Xinyu hanno dichiarato che non poteva candidarsi perché “arrestata per dieci giorni dalla polizia, dopo che era stata colta a presentare illegalmente petizioni a Pechino”. Gli osservatori politici della capitale hanno sottolineato il nervosismo di questa partecipazione popolare al processo elettorale anche a causa della memoria comune del movimento democratico del 1989. Due anni prima dell’inizio dei moti, infatti, quelli che poi sarebbero divenuti leader della protesta - come Wang Dan e Li Shuxian - si erano presentati (senza successo) alle elezioni per il distretto di Haidian di Pechino.

Le reazioni di Pechino al crescente numero di intellettuali indipendenti che si candidano alle elezioni comuniste potrebbero dipendere da quale vento politico stia spirando al momento. Nonostante l’apparente tendenza al conservatorismo all’interno del Partito, un buon numero di media ufficiali hanno pubblicato articoli che chiedono una nuova apertura mentale verso il pluralismo politico. Sul Southern Weekend, edito a Guangzhou, Zhang Linhua ha scritto che “criticare le autorità è una forma di patriottismo”. Zhang, membro della Commissione del Partito per la contea di Deqing, nel Fujian, ha sostenuto che “criticare il Partito e il governo non significa opporsi a loro, così come opporsi a certe politiche non vuol dire essere nemici dell’amministrazione”. Zhang ha poi aggiunto che “l’intera società dovrebbe trattare il pensiero non conformista con un’attitudine inclusiva”. Da parte sua, Zhang non ha fatto altro che riportare un articolo apparso a fine aprile sul Quotidiano del Popolo. Apparentemente riportando il punto di vista di una minoranza liberale del Pcc, il pezzo chiedeva alle autorità di “adottare un’attitudine tollerante” nei confronti dei non conformisti. Citando il famoso detto di Voltaire sul diritto di parola del proprio oppositore, l’articolo sosteneva che “la mentalità che vede in chi pensa diversamente un nemico è un segno di debolezza, e non serve a costruire una società armoniosa”.

Tuttavia, il rischio che il Partito possa compiere un consistente balzo indietro - almeno in termini di ideologia e repressione della dissidenza - viene evidenziato da un commentario che la Commissione centrale del partito per le ispezioni disciplinari ha pubblicato sul Quotidiano del Popolo lo scorso 25 maggio. La Commissione, incaricata di disciplinare e combattere la corruzione, scrive che “sostenere la disciplina politica del Partito è un serio impegno politico”. Il pezzo bacchetta quei dirigenti anonimi che “parlano a vanvera, seguendo la propria agenda personale e non capiscono le teorie di base, i principi e il sentiero del Partito”. L’editoriale arriva ad accusare alcuni membri del Partito di “fabbricare e diffondere pettegolezzi politici” che hanno come risultato “la distorsione dell’immagine del Partito e della nazione”. Nei circoli politici della capitale si ritiene che questo editoriale intendesse colpire il primo ministro Wen, che ha da poco chiesto alla popolazione di “stare in guardia contro il ritorno delle vestigia della società feudale” e contro “l’influenza perniciosa della Rivoluzione culturale”.

In un editoriale sulla bomba esplosa a Jiangxi, il Global Times ha scritto che “opporsi agli omicidi retribuiti dovrebbe essere riconosciuto come un valore universale. Gli assassini sono penalizzati ovunque,e questo dimostra che proibire l’uccisione è un valore di tutta l’umanità”. Con questo, il quotidiano ufficiale ha voluto dire che “la simpatia espressa sulla Rete per l’autore di un atto terroristico è sintomatico della confusione dei valori nella società cinese”. Per il giornale, infine, “la Cina è sulla strada per divenire una società governata dal diritto”, dove tutte le dispute “verranno risolte con mezzi legali”.

Al di là delle dispute, tuttavia, sembra che il nucleo degli incidenti di massa in Cina sia composto da membri dei settori disagiati della società, che non sono in grado di combattere i “furti della terra” tramite i canali legali. Inoltre, i dipartimenti di Stato e Partito sembrano infrangere la legge per primi, quando portando avanti l’intimidazione sistematica e la detenzione di attivisti per i diritti umani noti in tutto il mondo, come Ai Weiwei. Se le autorità continueranno a usare pretesti strombazzati per impedire agli intellettuali moderati di prendere parte alle elezioni, la leadership cinese rischia di essere accusata di infrangere quei “valori universali” che sono sia nella Carta delle Nazioni Unite che nella stessa Costituzione cinese.
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