28/10/2023, 09.00
MONDO RUSSO
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Il concilio putiniano della religione patriottica

di Stefano Caprio

Il 25 ottobre il leader supremo di “tutte le Russie” ha convocato due gruppi sinodali, per affrontare e risolvere i problemi del mondo intero. La prima sessione conciliare ha riunito i responsabili militari e tecnici dell’armamentario nucleare. Subito dopo ha raggiunto la sessione dei capi religiosi, che lo hanno pazientemente atteso nelle sale più solenni del Cremlino

La reazione della Russia agli avvenimenti tragici del Medio Oriente è quanto mai ambigua, essendo in gioco fattori locali e globali, che alimentano lo scontro di civiltà e religioni già innestato dall’invasione dell’Ucraina. Per questo, oltre ad appelli e iniziative diplomatiche in cui Mosca cerca di mostrare la sua centralità geopolitica, il presidente Vladimir Putin ha deciso di elevarsi al di sopra di tutti anche nella dimensione religiosa, con un Sobor (Concilio) del Cremlino, convocando i capi delle “religioni tradizionali” con un piglio grottesco, che tanto ha ricordato l’assemblea dell’Anticristo immaginata dal grande filosofo russo Vladimir Solov’ev, alla vigilia del Novecento e delle grandi guerre mondiali.

Il 25 ottobre il leader supremo di “tutte le Russie” ha convocato due gruppi sinodali, per affrontare e risolvere i problemi del mondo intero. La prima sessione conciliare ha riunito i responsabili militari e tecnici dell’armamentario nucleare, che si occupano in particolare dei missili balistici e tattici, per valutare le possibili risposte a un attacco atomico dell’Occidente collettivo contro la Santa Russia. Subito dopo ha raggiunto la sessione dei capi religiosi, che lo hanno pazientemente atteso nelle sale più solenni del Cremlino, quelle dove poco più di quattro secoli fa venne tenuto in cattività dorata il patriarca di Costantinopoli Ieremias II, costretto infine a firmare il decreto di istituzione del patriarcato di Mosca – Terza Roma, a cui veniva affidata la missione universale di difendere la vera fede contro ogni nemico.

La pattuglia conciliare era formata da un gruppo di personalità molto vicine al presidente russo da anni, a cominciare ovviamente dal patriarca Kirill (Gundjaev), il profeta del sovranismo ortodosso e della “guerra metafisica”, insieme ad altri metropoliti e alti gerarchi del patriarcato di Mosca. Lo affiancava il rabbino capo di Russia, Berl Lazar, detto anche il “rabbino di Putin”, molto festeggiato in quanto reduce da un grave incidente durante una “danza della Torah” nella festa di Simkhat: un altro ballerino gli è rovinato addosso facendogli sbattere la testa per terra, proprio nel giorno in cui i terroristi di Hamas stavano attaccando Israele. Si è temuto per la sua vita, ma dopo alcuni giorni di coma, in sintonia spirituale con il suo popolo sottoposto a dure prove, il rabbino di Russia è tornato in tempo per riabbracciare il padre delle religioni e dei popoli della Russia, insieme al fedele Aleksandr Boroda, presidente della Federazione delle comunità ebraiche di Russia e membro della Camera sociale di Mosca.

La terza religione rappresentata era ovviamente l’Islam, in realtà la più ricca di fedeli dopo l’Ortodossia e quella dominante nella regione uralo-caucasica, con la coppia storica dei muftì Ravil Gajnutdin, il tataro da trent’anni presidente dell’amministrazione dei musulmani di Russia, e Ismail Berdiev della Karačaevo-Circassia nel Caucaso settentrionale, anch’egli ai vertici dell’islam russo dal 1991. In seconda fila stavano i leader delle religioni “un po’ meno” tradizionali: il lama buddista siberiano Damba Ajušeev, il vescovo Ezras (Nersisyan) della Chiesa apostolica degli armeni di Russia, il metropolita Kornilij (Titov), capo dei Vecchio-Credenti ortodossi tanto apprezzati da Putin, e in rappresentanza dei cristiani “occidentali” (protestanti e cattolici) c’era il vescovo Sergej Rjakhovskij, immarcescibile leader dei pentecostali russi fin dai tempi sovietici, passato anche attraverso le persecuzioni degli ultimi anni brezneviani. L’assise era completata da altri “padri sinodali” di grado inferiore.

Il presidente-pontefice si è rivolto ai membri della sobornost russa ringraziando anzitutto per “il sostegno alle Forze armate della Russia e l’accompagnamento dei nostri combattenti, stando vicini ai soldati sul campo e ai membri delle loro famiglie, a tutti coloro che si sacrificano per la nostra patria nell’ambito dell’operazione militare speciale… Tutti, e specialmente coloro che sono qui presenti, devono capire che siamo sulla stessa barca, nessuno si può separare dallo Stato, e anche se qualcuno lo volesse, che Dio ce ne scampi”, alludendo alle possibili spinte centrifughe delle etnie e comunità regionali. Subito dopo Putin ha spiegato il vero motivo del “concilio”: “dobbiamo parlare degli avvenimenti nel Vicino Oriente e in altre zone del mondo, perché ci riguardano tutte, e noi le viviamo con la sofferenza nel cuore” (tutti hanno sospirato, pensando alle recenti notizie di una crisi cardiaca del capo, ovviamente subito smentite).

Il pastore supremo del Cremlino ha ricordato che “la Terra Santa ha un significato sacrale per i cristiani, per i musulmani e per gli ebrei, per i fedeli delle principali religioni tradizionali mondiali”, quindi esiste un legame ideale tra Gerusalemme e Mosca. Esprimendo le “nostre condoglianze alle famiglie degli israeliani e ai cittadini di altri Paesi, che hanno perso i loro cari o hanno subito gravi ferite”, Putin ha evitato di nominare i palestinesi, ma in ogni caso ha ammonito che “per i crimini commessi dai colpevoli non devono rispondere le persone innocenti”, ovviamente senza neppure accennare alle situazioni dell’Ucraina, perché “la lotta al terrorismo non si deve condurre in base al famigerato principio della responsabilità collettiva”. Egli ha ricordato la posizione ufficiale della Russia nel conflitto israeliano-palestinese, quella dei “due Stati e due popoli” approvata dall’Onu e “sostenuta già dall’Unione Sovietica fin dal 1948”, in questo dichiarandosi erede di Stalin, e concludendo che “il nostro compito principale è fermare la violenza e lo spargimento di sangue”.

Naturalmente non sono mancate le accuse non tanto velate ai “tentativi di alcune forze di provocare un’ulteriore escalation del conflitto, coinvolgendo altri Stati e popoli da usare per i propri interessi egoistici, sollevare un’ondata di caos e odio reciproco per sostenere la propria egemonia nel nuovo ordine mondiale”. E soprattutto la Russia, hanno sostenuto tutti i membri del Sobor, deve impedire la “guerra delle religioni”, “musulmani contro ebrei, sciiti contro sunniti, ortodossi contro cattolici”, anche perché nei riguardi della guerra “l’Europa chiude un occhio”, permettendo le azioni “vandaliche e sacrileghe” contro i simboli della religione islamica e “glorificando i nazisti e antisemiti dell’Ucraina, le cui mani sono sporche del sangue della Shoah”, e dove si è arrivati addirittura alla soppressione della “Chiesa ortodossa canonica”.

Il patriarca Kirill ha lodato l’iniziativa conciliare, “molto attuale e necessaria” nel contesto del nuovo conflitto nel “Mediterraneo orientale”, come egli chiama il Medio Oriente, richiamando la terminologia dei tempi dell’impero romano. In questa regione “nel corso dei secoli si sono concentrate le attenzioni di tutte le religioni abramitiche”, ha ricordato Kirill, è il luogo della “comunicazione tra Dio e l’uomo”, attorcigliandosi poi su “questi tempi difficili, in cui per alcuni le cose facili diventano difficili, per altri quelle difficili diventano facili”, cercando di evitare di esporsi troppo su argomenti esplosivi. Non si è fatto problemi invece l’altro grande muftì Talgat Tadžuddin, che ha esplicitamente denunciato come “le fondamenta di questo conflitto risalgono alle ingiustizie nei confronti del popolo palestinese di oltre 70 anni fa, che non sono mai state risolte da nessuno… non è un problema di oggi, ma le sofferenze hanno ormai superato il limite”, e questo ha causato la crisi iniziata con gli attacchi del 7 ottobre.

Se era prevedibile il “colpo al cerchio” filo-palestinese dei musulmani russi, tanto più lo è stato quello “alla botte” del rabbino Lazar, che però è intervenuto con passione totale non tanto per difendere la causa israeliana, ma per lodare la “saggezza” del capo. Berl Lazar era arrivato in Russia ancor prima della fine dell’Urss, dopo l’infanzia milanese e la giovinezza americana, consacrandosi totalmente alla causa della “nuova Russia” con l’ascesa al potere di Putin, e ha esordito affermando di “sottoscrivere ogni parola, da ripetere ovunque” di quanto esposto dal presidente. Il rabbino è stato l’unico a ricordare che “non è un caso che ci siamo riuniti alla vigilia del 4 novembre, la Festa dell’Unità nazionale” (neanche Putin l’aveva accennato), spiegando che “questo è un momento simbolico, che esalta l’unicità della Russia!”. Come se non bastasse, Lazar ha lodato la guida putiniana anche perché “è cosa molto buona che nessuno scenda a fare manifestazioni per la strada, sappiamo tutti che si finisce col favorire l’estremismo”.

Putin ha sorriso e lo ha ringraziato affettuosamente, “grazie, Rebe!”, chiamandolo con complicità “semitica”, dimostrando così che la vera religione russa non conosce confini etnici, confessionali o teologici, ma è la vera “unione sobornica” che i popoli aspettano da sempre, e che nell’apocalisse della Russia, estesa al mondo intero, trova oggi il suo compimento.

 

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