11/04/2024, 08.45
RUSSIA-ASIA CENTRALE
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Il futuro dell’Unione economica eurasiatica

di Vladimir Rozanskij

Mosca spinge per allargare a tutti i Paesi ex-sovietici non ostili l'area di libero scambio creata nel 2014 con Bielorussia e Kazakistan e poi già estesa ad Armenia e Kirghizistan. Ma i Paesi dell'Eurasia stanno ottenendo grossi vantaggi economici dalle tensioni geopolitiche. Con il settore petrolifero, in particolare, oggi in bilico tra le rotte tradizionali e le nuove prospettive di collaborazione con gli occidentali.

Mosca (AsiaNews) - La Russia sta cercando di allargare la partecipazione all’Unione economica eurasiatica (Eaes), come una “priorità strategica” che intende coinvolgere tutti i Paesi ex-sovietici non schierati esplicitamente contro Mosca. Oltre ai due fondatori insieme alla Russia nel 2014 (Bielorussia e Kazakistan) e agli associati Armenia e Kirghizistan, si vorrebbero aggregare definitivamente anche gli “osservatori” che attualmente sono Cuba, Uzbekistan, Tagikistan e Moldavia, quest’ultima in realtà in procinto di uscire, a meno che non avvenga una nuova “operazione speciale” per riportarla alla casa-madre. Inoltre si vorrebbero attrarre anche il Vietnam, Singapore e la Serbia oltre a Turkmenistan e Mongolia, o addirittura l’Afghanistan, sempre più nelle grazie del Cremlino.

A marzo alcuni rappresentanti della Eaes si sono incontrati con funzionari indiani, proponendo a New Delhi la formazione di una zona di libero scambio, che i russi potrebbero sfruttare come una delle vie di aggiramento alle sanzioni. I Paesi membri, pur nelle tensioni fluttuanti come quelle tra Mosca e Erevan, stanno ottenendo grandi vantaggi economici con le forniture di articoli sottoposti a sanzioni in Russia e Bielorussia, anche se a parole cercano di mostrarsi leali al regime delle sanzioni internazionali, come viene ripetuto ogni settimana nelle dichiarazioni dell’Akorda, il palazzo presidenziale kazaco.

In effetti, oltre alle misure punitive dall’esterno, in Kazakistan si temono le reazioni interne, sempre più contrarie al ruolo di vassallo del Cremlino, che il governo di Astana non riesce a scrollarsi di dosso. Il Tagikistan non sembra intenzionato a fare il passo decisivo per entrare come membro effettivo nell’Unione, soprattutto in seguito alle forti tensioni seguite all’attentato al Krokus City Hall, che sta mettendo in crisi tutta la comunità tagica dei lavoratori migranti in Russia.

Gli investimenti russi in questi Paesi, del resto, diventano sempre più complicati non solo per le sanzioni, ma anche per la carenza di personale qualificato, tra i mobilitati e gli emigrati all’estero. In particolare il settore petrolifero si trova in bilico tra le rotte tradizionali e le nuove prospettive di collaborazione con gli occidentali. I russi riescono a malapena a creare barriere difensive, come la disinformazione diffusa di recente da Mosca sulle falle del gasdotto del Caspio, per impedire alla compagnia italiana Eni e ad altri partner di accedere alle produzioni dei pozzi kazachi di Kašagan. La North Caspian Operating Company, attiva nella zona, ha smentito le voci sulla dispersione del petrolio, diffondendo video che confermano l’integrità dei pozzi, in cui non si vedono macchie di petrolio perduto. Anche il ministro dell’energia di Astana, Almasadam Satkaliev, ha assicurato che non vi sono perdite nella zona.

Un problema ulteriore nelle relazioni interne alla Eaes è il recente arresto dell’ex-ministro kazaco dell’economia, Kuandyk Bišimbaev, accusato di aver ucciso selvaggiamente la moglie Saltanat Nukenova, per la quale si stanno tenendo manifestazioni di solidarietà in tutto il mondo. Il processo appare come una grave macchia sul tentativo del presidente, Kasym-Žomart Tokaev, di presentare il “nuovo Kazakistan” come una società libera dalla corruzione e dagli abusi di potere, essendo l’accusato uno degli uomini più rappresentativi della vecchia casta al potere, proprio mentre Astana sta cercando di distanziarsi da ogni ombra del passato sovietico.

L’Eurasia rimane quanto mai sospesa tra il passato legato a doppio filo alla Russia, e il futuro di nuove relazioni tra Stati aperti alla democrazia interna e alle relazioni internazionali libere da condizionamenti, mentre si registrano nuove forme di repressione della libertà di espressione e di informazione. Il commercio e l’economia dipendono oggi più che mai dalle scelte di fondo della politica di questi Paesi, e il legame con la Russia non aiuta a sostenere svolte positive per un futuro più stabile e prospero da parte dei governi locali.

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