18/05/2024, 08.45
MONDO RUSSO
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Il programma di Putin: riscrivere la storia

di Stefano Caprio

Il primo decreto approvato appena finita la cerimonia di inizio del quinto mandato riguarda i “Fondamenti della politica di formazione storica”. L’ansia di riscrivere la storia è il sentimento che agita più di tutti la coscienza di Putin e di tutta la generazione afflitta dal risentimento della fine dell’Unione Sovietica. Ed è questa visione globale ed escatologica che Putin cerca oggi di impersonare anche accanto a Xi Jinping in piazza Tiananmen.

Molti commenti di questi giorni sono stati dedicati ai cambiamenti della squadra di governo di Mosca decisi dal neo-rieletto presidente Vladimir Putin, su tutti la sostituzione del ministro della difesa Sergej Šojgu con l’economista Andrej Belousov, che prelude a scenari sempre più apocalittici di conflitto mondiale. In realtà il governo di Mikhail Mišustin è rimasto pressappoco invariato, con l’inserimento di parenti e amici del presidente per avere ancora più garanzie di fedeltà, ma non sembra che si prospetti una grande rivoluzione: le marionette e i “sosia di Putin” si spostano da una poltrona all’altra per questioni di immagine, come il repulisti in atto al ministero della difesa per celebrare la “fine della corruzione”, mentre i vari Šojgu, Patrušev, Medvedev e tanti altri rimangono a fare da suppellettili o ventilatori del “Putin collettivo”, indipendentemente dalla carica che ricoprono al momento.

Quello che veramente indica il senso del “quinto mandato” di Putin, tra le tanti roboanti promesse sulla guerra e sull’economia, è il primo decreto da lui approvato appena finita la cerimonia d’incoronazione, intitolato “Fondamenti della politica di formazione storica”, usando per la “formazione” il termine prosveščenie, “illuminazione” da parte dello Stato verso il popolo per diffondere e impiantare definitivamente nelle menti e nelle anime “le conoscenze storiche corrispondenti alla verità e scientificamente dimostrate”. L’ansia di riscrivere la storia è il sentimento che agita più di tutti la coscienza di Putin, del patriarca Kirill e di tutta la generazione afflitta dal risentimento della fine dell’Unione Sovietica, che doveva essere la “società perfetta” che mette fine alla storia, e ha fatto invece precipitare la Russia fino all’anno zero. Illuminare la storia significa quindi farla ricominciare daccapo, riassumendo tutto quanto è stato perduto in una nuova-antica identità collettiva che dia un senso all’esistenza stessa della Russia nel mondo.

Gli storici sanno bene che i fatti passati non possono essere “scientificamente dimostrati” più di tanto, al di là dei documenti, delle testimonianze e dei resti archeologici, in quanto nella storia conta sempre molto l’interpretazione dei fatti stessi. Di solito la storia la fanno i vincitori, e viene riscritta a seconda del cambio delle posizioni dominanti; quanto più si pretende di imporre una visione definitiva e “illuminata”, tanto più risulta evidente la distorsione ideologica di chi detiene il potere. L’esempio più clamoroso, a cui evidentemente cerca di rifarsi oggi la Russia putiniana, è la Storia del Partito Comunista (Bolscevico) dell’Urss, che Stalin fece scrivere a una commissione incaricata dal Comitato Centrale e da lui presieduta nel 1938, che anche Mao Tse-Tung imponeva come lettura obbligatoria ai comunisti cinesi. Il dittatore georgiano intendeva dimostrare che il comunismo russo era proprio la realizzazione di tutte le aspirazioni dei popoli fin dalle origini della storia, e le scienze stesse venivano messe al servizio di questa definizione: la geografia e la chimica, la fisica e la letteratura erano ugualmente al servizio di questa visione globale ed escatologica, che Putin cerca oggi di impersonare accanto a Xi Jinping in piazza Tiananmen nella sua prima “storica” visita del nuovo mandato.

Il decreto putiniano afferma che la Russia è un “Paese-civiltà”, strana-tsivilizatsija, intendendo non più il sistema “scientifico” del marxismo-leninismo-stalinismo, ma il corifeo dei “valori tradizionali morali e spirituali”, il ritornello degli ultimi anni che accompagna e giustifica tutte le guerre a tutte le latitudini. Il più grande peccato dell’“Occidente collettivo” non è infatti nemmeno la negazione dei principi della famiglia e del genere, la “propaganda Lgbt” o la democrazia affidata ai “poteri forti”, ma è la “negazione dei fatti storici”, cioè il mancato riconoscimento della salvezza del mondo da parte della Russia. Lo scenario evocato è sempre la grande Vittoria sul nazismo, che oggi si intende replicare in Ucraina, e che gli alleati anglosaksy della seconda guerra mondiale pretendono di attribuirsi invece di glorificare il sacrificio escatologico delle armate staliniane. Dietro questi eventi del secolo scorso si “illuminano” tutte le grandi svolte del passato, dell’Europa difesa dagli slavi contro i tartari, dell’Asia conquistata dai cosacchi contro i popoli mongolici, del Medio Oriente protetto dagli zar contro i turchi, dell’Africa colonizzata e dell’America latina rivoluzionaria, fino agli imperi di Roma e Bisanzio, la cui gloria si riversa sulla Terza Roma moscovita.

Non si tratta soltanto della megalomania di un despota che vuole iscrivere il suo nome negli annali, anche se Putin fa di tutto per accentrare su di sé il paragone con i grandi zar e imperatori, risultando peraltro una copia piuttosto grottesca di personaggi già abbastanza mostruosi del passato. È il segnale di un cambiamento della concezione dello Stato nel mondo globale contemporaneo, che non risulta più essere affermata dal libero consenso dei singoli popoli e rappresentata dalle sue istituzioni, ma cerca di ridefinirsi in funzione di una diversa dimensione spazio-temporale. Oggi si annullano le distanze e si disperdono le memorie, mancano punti di riferimento reali e non virtuali, e non a caso le disposizioni di Putin non riguardano soltanto i libri e i manuali, i film e i documentari, ma impongono di regolare perfino i video-giochi e le applicazioni digitali alla “autentica visione” del mondo e della storia.

Si istituiscono le commissioni per “controllare i contenuti della letteratura storica”, per evitare non solo le falsità sul ruolo storico della Russia, ma anche per estirpare ogni altro genere di contenuto “eretico” e sgradito all’ideologia ufficiale, proprio come ai tempi di Stalin. Il decreto putiniano sulla storia si colloca in qualche modo al di sopra della stessa costituzione, già riformata nel 2020 in senso estremamente “sovranista”, in quanto si dichiara che i “Fondamenti” sono “i valori a cui si ispirano tutti i principi e le norme del diritto internazionale, e gli accordi a tutti i livelli accettati dalla Federazione russa”, nonostante le tante contraddizioni che introducono proprio a livello giuridico.

L’articolo 13 della costituzione russa afferma, almeno sulla carta, il principio della “molteplicità ideologica” introdotto ai tempi della prima versione eltsiniana per affrancarsi dall’eredità totalitaria, proibendo di stabilire una “ideologia di Stato”. Evidentemente il dettaglio è sfuggito alle ultime modifiche putiniane, in quanto i “fondamenti della politica statale” ristabiliscono i dettami dell’idea unica a cui sottomettersi, “illuminando” la storia per oscurare ogni versione divergente. Il presidente del Comitato Investigativo centrale della Russia, Aleksandr Bastrykin, aveva in effetti suggerito già qualche tempo fa di cancellare l’indigesto articolo eltsiniano, ma al Cremlino hanno pensato che bastasse calpestarlo senza rimorsi, approvando i decreti presidenziali senza inutili discussioni.

La definizione ufficiale della storia, come recita appunto il decreto, ha lo scopo di “formare una comprensione scientifica del passato e del presente della Russia”, laddove “scientifica” significa propriamente “ideologica”, non solo nelle valutazioni su eventi o protagonisti della storia, ma anche riguardo alla sua stessa metodologia. Si tratta di “comprendere la storia della Russia nello sviluppo del suo autonomo cammino di civilizzazione”, escludendo ogni tipo di influenza esterna, ciò che in realtà non è pensabile per alcun Paese al mondo; tutti siamo “contaminati” dai nostri vicini, tranne la Russia, che per secoli ha cercato in ogni modo di imitare l’Europa e l’Occidente, per poi rifiutare tali influssi all’inizio di ogni secolo, come affermava nei primi anni del Settecento il più occidentale degli zar, Pietro il Grande: “Prenderemo dall’Europa tutto quello che ci serve, e poi gli mostreremo le terga”. Chi oggi in Russia osa soltanto pensare con criteri “occidentali”, viene immediatamente inserito nella lista degli “agenti stranieri”.

Putin proclama la “illuminazione storica” per contrastare la “guerra informativa”, il vero fronte su cui schierare tutte le truppe nelle mobilitazioni, ben più dei chilometri di terreno da conquistare nel Donbass; perché è da quelle armi che potrebbe derivare la “distruzione dell’integrità della società e dello Stato russo”, come si legge al n.6 del decreto. Al n.5 si precisa invece che “la Russia è un grande Paese con una storia millenaria, che ha riunito a sé tutti i rami del popolo russo e molti altri popoli sulle grandi distese dell’Eurasia, in un’unica comunione storico-culturale”. Oltre ai tatari, ai baškiri e ai ciuvasci, è ora il turno non solo degli ucraini, dei kazachi o dei moldavi, ma di ogni popolo al mondo in cerca della sua “illuminazione”.

 

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