19/09/2009, 00.00
LIBANO
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Il rompicapo di Saad Hariri, tra tensioni interne e interferenze internazionali

di Fady Noun
Tentando per la seconda volta di dare un governo al Libano, il premier incaricato si trova di fronte un compito che al momento non sembra destinato al successo. Vi si oppongono i legami tra i partiti e Paesi della regione e non e questioni interne come la rappresentanza degli sciiti.
Beirut (AsiaNews) - Non sembra destinato al successo, almeno a breve termine, il secondo tentativo di Saad Hariri di dare un governo ai libanesi. Il motivo va cercato nel fatto che, per capire questa crisi di governo bisogna, purtroppo, capire l’intero Medio Oriente.
 
In un discorso pronunciato il 26 agosto davanti alla conferenza degli ambasciatori, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha contestato l’idea che quello del Medio Oriente sia “un conflitto regionale”. “Questo conflitto – ha affermato – riguarda il mondo intero”. “Israele – ha detto ancora – non è solo. Noi non accetteremo che la sua sicurezza sia messa in causa, ma noi abbiamo anche il diritto di dire che è un errore pensare che si può continuare un processo di colonizzazione e sperare nella pace”. Il presidente francese, infine, ritiene che l’Iran aspiri a divenire una potenza nucleare militare e che è difficile credere ai suoi responsabili, quando sostengono il contrario.
 
Se a questi dati si aggiungono quelli della rivalità tra Arabia Saudita e Siria, la lotta sorda tra sunniti e sciiti, la crescita del terrorismo, specialmente in Palestina e Iraq, avremo enumerato, in poche righe, alcuni parametri della crisi libanese. Alcuni, ma non tutti.
 
Quello che è evidente, è che il Libano è oggi l’ostaggio di una crisi internazionale e che i libanesi dovranno risolverla al suo interno. Il primo ministro designato, Saad Hariri, è stato nuovamente incaricato giovedì scorso, con 73 voti su 128, di formare un nuovo governo, ma evidentemente, non può agire al di fuori di un consenso interno che riflette un equilibrio di forze regionali, se non internazionali, delle quali ogni forza politica libanese è una emanazione.
 
La grande sfida alla quale fa fronte Hariri è quella della divisione interna, che può degenerare in scontri civili. Su un piano puramente politico, e anche istituzionale, Hariri ha di fronte la sfida della rappresentanza sciita all’interno del governo. Normalmente, una sfida del genere non dovrebbe neppure esistere, almeno sul piano istituzionale, non potendo l’appartenenza a una comunità essere confusa con una determinata linea politica. Ciò malgrado, questa linea politica si impone a causa della legge dei numeri. In effetti, la comunità sciita è rappresentata, in questo momento, solo da due partiti, Hezbollah e il movimento Amal. Si sta formando una terza forza, ma manca ancora di credibilità e sarebbe sconfessata dalla maggioranza della comunità, che non riterrebbe rappresentativa, se non altro a motivo delle recenti elezioni.
 
Tenuto a formare un governo di unità, o di intesa nazionale, il primo ministro designato è dunque costretto a tener conto degli orientamenti politici di questi partiti strategicamente complementari, che sono totalmente opposti ai suoi, per motivi sia politici che comunitari, e i riferimenti dei quali si trovano, rispettivamente, a Damasco e Teheran.
 
Anche a pensare che Hariri potesse prescindere da questo consenso interno – tenta di farlo, per puro coraggio – il presidente Michel Souleiman – l’accordo del quale è indispensabile alla promulgazione del decreto di formazione del governo – non potrebbe, essendo egli stato eletto sulla base di un equilibrio regionale (Doha 2008) mascherato da accordo consensuale. Un equilibrio che, peraltro, ha modificato le regole del gioco politico e allontanato il Libano dalle regole dell’alternanza democratica.
 
Secondo gli osservatori, la ricerca di un consenso interno, che porterebbe ad un governo di unità o di intesa, non darà dunque per l’immediato dei risultati e il Libano continuerà a essere privo di un governo nelle dovute e buone forme, nell’attesa di alcune scadenze regionali. Tra queste figurano i colloqui che Teheran deve avere sul suo programma nucleare con i Paesi del 5+1 (i cinque membri del Consiglio permanente più la Germania). Da parte sua il governo iraniano ha messo sul piatto, oltre all’Afghanistan, la Palestina e il Libano. Come dire che il Libano è una carta nelle mani di Teheran e che il suo governo può aspettare. C’è chi pensa che la situazione attuale può andare avanti per settimane, forse mesi.
 
Se almeno di potesse sperare in una schiarita sul fronte palestinese. Ma anche là le nubi si infittiscono. Nel suo giro nella regione, l’inviato del presidente Obama, George Mitchell, non ha potuto ottenere nulla dal premier israeliano Benjamin Netanyahu in materia di congelamento delle colonie. Il presidente americano, che il 23 settembre dovrebbe svelare all’Onu le grandi linee della sua iniziativa di pace per la regione è così privato di qualsiasi argomento di peso per chiedere agli arabi di essere disposti a fare dei “sacrifici” per la pace. Per molti, Obama non ha altra scelta che lavorare per il dopo-Netanyahu… E per citare nuovamente Sarkozy, “il tempo non è nostro alleato. E’ il nostro giudice e noi siamo già in mora”.
 
Esistono infine dei parametri solo locali che non permettono la formazione di un governo? A prima vista lo si potrebbe pensare. Così sarebbe “locale” la volontà del generale Michel Aoun di volere che suo genero Gebran Bassil, sconfitto alle elezioni, sia ugualmente nominato ministro. Ma anche i parametri interni sono esplosivi. Così, il ministero delle telecomunicazioni, che Michel Aoun spera di veder assegnato a Bassil, non è un semplice servizio pubblico, ma riveste importanza per la sicurezza, agli occhi di Hezbollah e dell’opposizione. Il telefono infatti è più di un mezzo di comunicazione, è anche uno strumento per l’ascolto e lo spionaggio che l’opposizione ritiene importante e vuole controllare. E’ lo stesso per il ministero degli interni, che l’opposizione vorrebbe veder attribuito a uno dei suoi ministri.
 
Questo è un esempio delle tortuosità alle quali deve far fronte Hariri e che difficilmente riuscirà a superare tranquillamente, a meno di un miracolo. Questo sarebbe rappresentato dalla formazione, in nome del superiore interesse dello Stato, di un ristretto esecutivo di personalità appartenenti alle forze politiche locali, ma capaci, quelle scelte in conto all’opposizione, di resistere alle pressioni che inevitabilmente sarebbero esercitate su di loro per spingerle a rifiutare gli incarichi che sarebbero loro proposti.
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