28/10/2016, 12.14
TAIWAN
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Io, aborigeno cattolico contro il tramonto della nostra etnia

di Sun Da Chuan

Sun Da Chuan, 62 anni, è un politico aborigeno di Taiwan. Le culture tribali dell’isola sono state prese di mira dai colonizzatori del XVI secolo, poi dai giapponesi, poi dai cinesi. Il tentativo di rinascita educando i giovani e rafforzando la fede.

Taipei (AsiaNews) - Sun Da Chuan (孫大川副院長), 62 anni, è un politico aborigeno taiwanese. Appartiene alla tribù Puyuma. Dal 2009 al 2013 è stato ministro del Consiglio dei popoli indigeni ed è ancora consigliere del governo. È laureato in letteratura cinese alla National University di Taipei; in filosofia all’università cattolica Fu Ren; è dottore in sinologia presso l’università di Lovanio. Ad AsiaNews racconta la sua esperienza di cittadino e di cattolico. Spesso emarginate, le tribù aborigene sono divenute la forza lavoro dello sviluppo industriale di Taiwan, con la conseguente urbanizzazione e l’impoverimento culturale dei migranti verso le città. Il timore di Sun Da Chaun è che la vita degli aborigeni scompaia, assorbita dalla cultura dominante. A Taiwan gli aborigeni costituiscono il 2% della popolazione.

 

Fin da piccolo seguivo le tradizioni della mia tribù, le usanze millenarie che hanno segnato la vita di tantissimi antenati e che ci uniscono come aborigeni alle nostre origini. Negli ultimi anni il governo ci ha riconosciuto moltissimi diritti che prima ci erano negati. È una cosa paradossale se ci pensiamo, perché noi siamo coloro che hanno abitato queste terre da secoli.

I nostri anziani dicono che niente e nessuno riuscirà a distruggere la nostra profonda educazione indigena. Tutti i bambini ne crescono segnati. Poi quando si diventa grandi ci si chiede che cosa si può fare, come si può contribuire alla società.

In ogni caso, non ci si può riposare sugli allori, perché a mio modo di vedere ora siamo in una fase di tramonto della nostra etnia, anche se c’è ancora una grande speranza e moltissimi talenti presenti nelle nuove generazioni.

Quando eravamo piccoli avevamo paura che il nostro linguaggio e la nostra cultura si perdessero, che tutte le nostre feste tribali e le nostre tradizioni iniziatiche e culturali si sarebbero spente. Sarebbe stato come perdere la nostra identità di aborigeni. Questa minaccia alle vecchie tradizioni è cominciata circa 400 anni fa con l’arrivo dei conquistatori stranieri dal continente o dall’Europa. Poi i 50 anni di governo giapponese ci hanno visti segregati sulle montagne e senza protezioni da parte del governo come possiamo goderne oggi.

Quando ero piccolo avevo davvero questo senso di precarietà, di paura della scomparsa delle nostre tradizioni. Forse era un mio sentimento personale. Ma chiedendo ai miei coetanei, anch'essi avvertivano la stessa sensazione all’interno della nostra comunità.

La nostra generazione è cresciuta studiando giapponese: era la nostra prima lingua. Io sono cresciuto parlando giapponese con gli adulti delle nostre tribù insieme alla nostra lingua aborigena. Poi ho cominciato a studiare cinese da zero. Questa è stata un'esperienza non facile, il dover imparare da zero una lingua per poter comunicare con chi non apparteneva alla tribù.

Il sentimento di tramonto della nostra cultura è purtroppo un punto importante. Non è una esagerazione che sto presentando io, è un fatto che sentiamo profondamente. La cultura dominante è qualcosa che rischia di inghiottire tutto. Anche perché i giovani possono dire, “diventiamo come gli altri e dimentichiamo le nostre radici”.

Ci sono persone che, forse scherzando oppure no, mi accusano di essere il 'Nietzsche taiwanese', di essere troppo pessimista rispetto al futuro della cultura aborigena. I miei amici mi dicono: "Nietzsche diceva che Dio e' morto, tu dici che la nostra cultura è ormai morta". Ma io credo che sto presentando aspetti veritieri. Comunque la storia prosegue, e in molti casi non possiamo far altro che prendere atto della situazione e adattarci. Però non possiamo semplicemente piegarci al semplice volere del governo di turno: non si può cancellare una cultura: prima di tutto perché essa costituisce un diritto umano e in secondo luogo perché costituisce una ricchezza per l'intera società.

Rispetto alla mia appartenenza alla comunità cristiana vorrei sottolineare due aspetti importanti: da un lato noi alle leve di comando nella società civile o nella gerarchia ecclesiastica dobbiamo considerare i diritti di ciascuno, perché se si rispettano i diritti delle persone la qualità di vita di ciascuno migliora e insieme si riescono a superare molte sfide.  Dall'altro lato bisogna andare incontro ai bisogni degli altri in uno spirito evangelico, soprattutto se per il momento la società non riesce a farsene carico. Parlo soprattutto di coloro che possono sentirsi emarginati perché appartenenti a minoranze o perché in situazioni di disagio. Ecco perché a partire dal 1993 abbiamo aperto una nuova rivista di cultura (Mountain and Sea, 山海) per i divulgare i costumi aborigeni in uno spirito di apertura e di ascolto. Avevamo bisogno di nuovo respiro, di far conoscere la nostra cultura. Le nuove generazioni devono rispettare e ricordare la nostra cultura, altrimenti molti elementi verranno persi.

Poi il governo ci ha permesso di aprire il canale televisivo: la televisione aborigena è anch'essa importantissima. Senza un canale tv e una rivista stampata per la divulgazione delle nostre tradizioni nessuno ascoltava la nostra voce. Abbiamo fatto moltissimi programmi e accordi di messa in onda con canali aborigeni di altri paesi. Questo ci ha rafforzato molto e fatto conoscere altre esperienze importanti.

Una persona che ci ha aiutato molto è stato il nostro vescovo aborigeno, mons. Tseng (曾建次輔理主教), che quest'anno va in pensione. Lui è un grande amico della nostra famiglia, è molto semplice e accessibile, incarna profondamente la nostra cultura.

I missionari hanno formato tutte le nostre generazioni, aprendoci gli orizzonti. E' grazie allo sforzo di mons. Tseng e di tanti missionari se un terzo degli aborigeni taiwanesi è di fede cattolica.

Loro hanno saputo penetrare il nostro linguaggio tribale con le storie della bibbia. Noi abbiamo pregato a lungo perché anche tra i vescovi ci fosse uno dei nostri, e con mons. Tseng questo desiderio si è avverato.

Questo ha portato ai piani alti della conferenza episcopale le nostre istanze e le nostre aspettative, e soprattutto ha fatto presente la ricchezza del nostro contributo alla comunità cristiana e alla società intera. Inoltre grazie al dizionario da lui compilato e alla sua traduzione del nuovo testamento abbiamo potuto sentire ancora più nostro il messaggio di Gesù e della chiesa.

Insieme abbiamo dato inizio a molte attività per l'intera comunità cattolica aborigena, soprattutto all'incontro biennale per tutti gli operatori pastorali a partire dall'anno 1999. Questo ha indubbiamente mantenuto vivo il senso di unità dei credenti e ha riscontrato un grande sostegno da parte della conferenza episcopale.

Per quanto riguarda la società civile, le relazioni col governo sono migliorate moltissimo. Io, in quanto vicepresidente della Corte dei conti taiwanese (監察院副院長), e molti altri aborigeni della mia generazione, abbiamo raggiunto posti importanti all'interno dell'amministrazione centrale, questo sarebbe stato impensabile 60 anni fa.

Per quanto riguarda la Chiesa, siamo molto attivi, ma forse non così attivi come in passato. Vogliamo impegnarci a riprendere energia come ai bei tempi. Tutte le premesse ci sono: solo nella mia diocesi di Taidung-Hualien i soli sacerdoti aborigeni diocesani sono circa 40, parlano la nostra lingua, riescono a comunicare molto bene con i nostri ragazzi, e capiscono le esigenze delle nostre famiglie e dei nostri anziani. Specialmente nelle nostre comunità in montagna hanno bisogno di sentire che la nostra energia è presente anche nelle città e nei centri nevralgici della comunità cristiana. Io come rappresentante del governo e della comunità aborigena cerco di offrire il migliore esempio possibile per poi passare il testimone ai nostri giovani. Sono convinto che anch'essi daranno il meglio di se stessi all'interno della chiesa e della società civile soprattutto in difesa di chi non ha voce, sull'esempio di ciò che è scritto nel vangelo.

 

(Ha collaborato Xin Yage)

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