Kashmir: Delhi riduce il flusso d'acqua verso Islamabad. Aumentano gli attacchi ai musulmani
Con la sospensione del Trattato sulle acque dell'Indo, avvenuta in seguito all'attentato di Pahalgam, l'India ha riattivato alcuni progetti idroelettrici che non potevano essere completati in base all'intesa per evitare che il Pakistan resti senz'acqua. Intanto crescono le violenze contro musulmani e cittadini kashmiri, bersaglio di aggressioni e minacce in diverse città.
News Delhi/Islamabad (AsiaNews) - Con il crescere delle tensioni con il Pakistan dopo l’attentato in Kashmir in cui sono morte 26 persone, l’India ha iniziato a lavorare su due progetti idroelettrici nel tentativo di aumentare lo stoccaggio d’acqua proveniente dalla regione dell’Himalaya. Si tratta di due dighe, quella di Baglihar, nel distretto di Ramban, e quella di Salal, nel distretto di Reasi, che erano state costruite rispettivamente nel 1987 e tra il 2008 e il 2009, ma che non erano di fatto mai entrate in funzione a causa della presenza del del Trattato sulle acque dell’Indo, un accordo firmato nel 1960 che garantisce l’80% dell’acqua necessaria a irrigare i campi agricoli del Pakistan.
Con la sospensione dell’intesa nei giorni scorsi, New Delhi aveva già ridotto il flusso d’acqua del fiume Chenab, che va verso Faisalabad e poi la città di Multan, ma l’azienda statale NHPC ha anche iniziato un processo di "lavaggio del bacino" per rimuovere i sedimenti, secondo alcune fonti di Reuters. Il procedimento prevede il quasi completo svuotamento del bacino per espellere i sedimenti, il cui accumulo è una delle principali cause del calo della produzione di energia. Entrambe le dighe lavoravano al di sotto delle proprie capacità perché il Pakistan aveva impedito lo svuotamento dei bacini. “Lo scarico dell’acqua non è una pratica comune perché comporta un notevole spreco”, ha affermato una delle fonti. Inoltre, “ci si aspetta che i Paesi a valle vengano informati in caso di inondazioni” e in base al trattato, che regola la condivisione delle acque di sei fiumi parte del bacino dell’Indo, il flusso attraverso la diga Baglihar era possibile solo nel mese di agosto, quando solitamente si verifica una maggiore disponibilità d’acqua a causa dello scioglimento dei ghiacciai.
La realizzazione dei progetti idroelettrici (meno di una decina in tutto sui fiumi che dal Kashmir arrivano in Pakistan) aveva richiesto un notevole sforzo diplomatico tra i due Paesi dell’Asia meridionale che si più volte scontrati nel corso dei decenni per il controllo del Kashmir e delle sue risorse. Molti temono che la sospensione del Trattato sulle acque dell’Indo possa portare l’India a gestire in maniera indipendente i progetti idroelettrici sui fiumi condivisi, con il rischio che il Pakistan si ritrovi senz’acqua per irrigare i campi. Altri esperti, tuttavia, ritengono invece che si tratti solamente di minacce politiche e che non potranno realmente concretizzarsi perché l'India non dispone delle infrastrutture necessarie per trattenere ampi volumi d’acqua come quelli che solitamente riceve il Pakistan.
Aumento delle tensioni etniche e religiose
Di pari passo hanno cominciato a verificarsi una serie di attacchi mirati contro cittadini kashmiri in varie parti dell’India. Il 23 aprile (il giorno successivo all’attentato in Kashmir) a Dehradun, nello Stato dell’Uttarakhand, il gruppo estremista Hindu Raksha Dal ha annunciato ronde punitive contro i musulmani kashmiri, minacciando apertamente violenze contro chi non avesse lasciato la città entro le 10 del mattino del giorno successivo. A Kalyani, nel Bengala Occidentale, presso l’università agricola Bidhan Chandra Krishi Viswavidyalaya, è apparso un cartello con la scritta “Vietato l’ingresso a cani e musulmani (jihadisti)”, mentre a Kolkata una donna musulmana incinta ha denunciato di essere stata rifiutata dal proprio medico a causa della sua fede. Sempre il 23 aprile ad Agra, nello Stato dell’Uttar Pradesh, due cugini musulmani sono stati presi di mira in un ristorante: uno, Gulfam di 27 anni, è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco; l’altro, Saif Ali di 25 anni, è rimasto gravemente ferito. Un video diffuso poco dopo mostrava due uomini armati che si sono assunti la responsabilità dell’attacco in nome del gruppo Kshatriya Gau Raksha Dal, minacciando di uccidere 2.600 persone in risposta all’attentato di Pahalgam. Ancora, a Mohali, in Punjab, alcune studentesse kashmiri della Rayat Bahra University hanno denunciato molestie da parte di residenti locali.
E a Varanasi, il 28 aprile, un altro episodio ha aggravato ulteriormente il clima di violenza e islamofobia seguito all’attentato di Pahalgam. Rehan, un ragazzo musulmano di 16 anni che lavorava come aiutante in un negozio di tessuti, è stato brutalmente aggredito da sei uomini nei pressi del Dashashwamedh Ghat. Dopo avergli chiesto il nome, lo hanno sequestrato, portandolo all’interno dell’ufficio del Ganga Sewa Nidhi – l’organizzazione che si occupa dei rituali serali sul Gange – dove per due ore lo hanno picchiato con bastoni e insulti contro la sua religione. Dopo essere svenuto, si è risvegliato sui gradini del ghat e, zoppicando, è riuscito a tornare a casa. Ricoverato con segni evidenti di tortura, è stato poi dimesso con la forza dalla polizia due giorni dopo e portato in centrale, dove è stato trattenuto per 12 ore senza cibo né acqua. In seguito è stato interrogato anche da agenti dell’antiterrorismo e dell’intelligence, con domande sui suoi presunti legami con gruppi estremisti islamici. Rehan è stato rilasciato solo grazie all’intervento di attivisti e avvocati, ma dovrà continuare a presentarsi regolarmente alla stazione di polizia. Intanto, nessuno dei suoi aggressori è stato arrestato. “È estremamente triste e preoccupante che lo sfortunato massacro di Pahalgam abbia scatenato il terrore sui musulmani”, ha commentato p. Anand Mathew del Souhard Peace Centre, che ha raccontato l’episodio. “Persone con mentalità terroristica e islamofobica stanno prendendo di mira musulmani innocenti”.
(ha collaborato Nirmala Carvalho)