27/11/2003, 00.00
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L'Italia che lavora e muore per la pace

AsiaNews ha intervistato una volontaria italiana che speso diversi mesi in Iraq e  ha lavorato per 2 mesi come infermiera a Baghdad e poi a Nassiriya. Il suo impegno a diretto contatto con la popolazione irakena, era sostenuto dai Carabinieri del gruppo Tuscania. La nostra intervistata –non ha dubbi che il contingente italiano debba rimanere in Iraq, e che gli italiani portano avanti una missione di pace. Lei stessa, anche dopo gli attentati, si prepara a partire di nuovo per Nassiriya. La nostra intervistata - che chiamiamo "Anna" - ha voluto mantenere l'anonimato.

Roma (AsiaNews)  - Gli italiani in Iraq sono colpiti "perché portano avanti un progetto di pace", ma soprattutto "perché il popolo li ama". Le violenze contro di noi e contro la popolazione irakena tentano di distruggere questo legame amico. "Anche l'ultimo attentato all'ambasciata italiana è proprio mirato a distruggere questo rapporto di amicizia fra italiani e popolazione irakena". Nei riguardi di americani ed inglesi"il popolo ha una diffidenza naturale. Ma nei confronti degli italiani i sentimenti sono di affetto e stima". Si esprime così Anna, la volontaria italiana di 50 anni che ha passato 2 mesi a Baghdad e si sta preparando a partire per Nassiriya.

Ha portato in Italia un gruppo di bambini, le prime vittime della violenza della guerra e degli attentati. Questi bambini accolti e curati da famiglie e ospedali, qui hanno più speranze di salvezza. Verranno rimandati in Iraq solo quando le loro condizioni saranno migliorate. Lei intanto raccoglie aiuti a favore della Croce Rossa e dei bambini.

Fra i ricordi più cari, Anna non scorda le parole di alcune madri irakene che, accompagnandola all'aeroporto, le hanno confidato "Ieri nelle moschee abbiamo pregato per voi, italiani cattolici, perché state salvando i nostri figli." Le hanno anche regalato un ciondolo, un'usanza forse non troppo musulmana, per scongiurare il malocchio. Dice che non se lo leverà mai.

Anna afferma con foga che non ha mai riscontrato nessun sentimento negativo nei confronti del contingente italiano. "Quando rimanevamo incastrati nel traffico, venivamo salutati con affetto. Ma perché portavamo lo stemma italiano. Tutti si sono sempre dimostrati eccezionali nei nostri confronti." L'intervistata sostiene che :" Se si arriva a degli accordi pacifici fra il popolo e la coalizione, lo si deve in gran parte al fatto che gli irakeni guardano a noi italiani come a dei portatori di pace".

Anna elogia la Croce Rossa Italiana, che è rimasta sul campo nonostante molti altri abbiano abbandonato, e con entusiasmo dei Carabinieri del Tuscania: " Sono dei ragazzi incredibili. Finivano il turno di lavoro, effettuavano le esercitazioni d'obbligo, e volontariamente venivano in ospedale. Con una temperatura di 60 gradi, lavoravano con la Croce Rossa Italiana per pulire, imboccare, dare una mano a chiunque avesse bisogno. Hanno comprato con le loro paghe i giocattoli per i bambini ricoverati."

Rimane però la violenza e la guerriglia urbana. Secondo Anna, gli attentati che sconquassano le città, diretti contro la coalizione straniera e gli abitanti, hanno certo una matrice irakena. Ma non si tratta di patrioti o di partigiani: si tratta di criminali comuni, quei criminali che Saddam Hussein ha liberato il 10 aprile 2003, prima della sua fine. "La matrice è la delinquenza comune, che offre i suoi servizi a qualunque fazione, e non bada a ciò che fa, a cosa colpisce. Vuole solo interrompere questo processo di pace," dice la nostra intervistata. "Questi delinquenti comuni si mettono al soldo di chiunque abbia i mezzi per comperarli, ed effettuano gli attentati per mantenere l'Iraq in uno stato di anarchia, che favorisce la delinquenza diretta".

Anche sull'attentato a Nassiriya non ha dubbi: "Per conto mio, l'attentato forse è stato gestito da coalizioni politiche, sciite o sunnite, ma chi ha agito è il delinquente comune, che vuole bloccare la ricostruzione del paese. Hanno colpito chi sta lavorando per la pace".

Certo, non tutti guardano agli stranieri con affetto. Questo è dovuto alla mancanza di speranze per il futuro "Il popolo sta pagando un prezzo molto alto in povertà. Ci sono persone, sciite e sunnite, che rimpiangono l'era di Saddam. 'Almeno c'erano delle regole' dicono. Per il futuro, non riescono a vedere un miglioramento, e il presente li spaventa. Il presente è fatto di violenze arbitrarie, che nessuno riesce a fermare. Non vedono nessuno che si impegni contro la delinquenza".

Eppure, nonostante le contraddizioni, Anna non ha dubbi: il contingente italiano deve rimanere in Iraq. "La nostra risposta al vile attentato di Nassiriya è già cominciata portando cibo, medicinali, portando un sorriso alla popolazione". Lei stessa vuole ripartire per portare indietro i bambini e le amdri irakene che sono in Italia a curarsi. "Voglio rientrare in Iraq, l'ho promesso a molte persone". (VFP)

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