31/05/2025, 08.46
MONDO RUSSO
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L'ideologo di Putin e Kirill ora attacca persino Averintsev

di Stefano Caprio

In un nuovo saggio Aleksandr Šipkov arriva a puntare il dito anche contro il filologo che negli anni Novanta con le sue conferenze aiutò la Russia a riscoprire insieme la tradizione cristiana orientale e quella occidentale. Perché la Russia di oggi rifiuta ogni convergenza nella cultura cristiana dell’Europa d'ell'Est e dell'Ovest, per proporsi come l’unica vera Chiesa incaricata di una missione universale.

Uno dei principali ideologi del “sovranismo ortodosso” della Russia contemporanea, Aleksandr Šipkov, rettore dell’università ortodossa di S. Giovanni il Teologo a Mosca e docente di filosofia all’università Lomonosov, ha pubblicato sulla rivista “Vita Internazionale” un saggio dal titolo “La crisi del culturalismo, ovvero il caso Averintsev”, esponendo le motivazioni della diffusione in Russia del “modello di sviluppo del mondo occidentale” a cui oggi i russi cercano di reagire, sia con la guerra sul campo che con il recupero della propria “identità culturale”.

L’Europa ha cercato di imporre una propria visione del mondo fin dai tempi dell’Illuminismo, e secondo Šipkov “oggi la Russia sta cercando di cancellare quell’influsso”, recuperando una propria tradizione di civiltà “differente dal modernismo protestante”, risalendo quindi a polemiche degli ultimi cinque secoli. Questo impone una “diversa valutazione dei valori, delle regole e delle norme di vita quotidiana”, decretando la “morte delle attese infondate e superando la frustrazione esistenziale, la sensazione di un vuoto ideale, come quello che oggi avvolge l’uomo dell’Occidente”. Questa condanna dell’influsso esterno è determinante per la politica russa dell’ultimo trentennio putiniano, e particolarmente dell’ultimo decennio in cui si cerca in ogni modo di respingere qualunque espressione di “agente straniero”, un’azione che accomuna in modo particolare i sovranismi a livello mondiale, come nelle ultime clamorose decisioni del presidente americano Donald Trump nel cercare di escludere gli studenti stranieri dalle università americane.

Come ricorda il filosofo russo, questa influenza si è riversata all’interno del Paese “nel corso della nostra crisi di identità alla fine degli anni Ottanta, risalendo quindi al periodo della perestrojka di Gorbačev e della fine del sistema sovietico, ritenuto invece “coerente” con l’identità russa tradizionale. Sono proprio i principi dell’ideologia del “mondo russo” di Vladimir Putin e della “rinascita ortodossa” nell’interpretazione del patriarca Kirill (Gundjaev), che esprimono i motivi di fondo dell’ostilità e dell’aggressione militare russa contro l’Occidente, usando la controversa relazione con l’Ucraina come terreno di uno scontro che in realtà si estende molto al di là dei confini, oggetto di improbabili trattative negli ultimi mesi.

La debolezza del regime sovietico negli ultimi anni, secondo la ricostruzione di Šipkov, ha esposto la Russia alla “trappola dell’universalismo globalista”, che ha portato al totale disorientamento morale, culturale e sociale. La condizione attuale della Russia, grazie alla reazione bellica, può essere quindi definita “l’inizio dell’uscita dal vicolo cieco, rimettendo insieme le pietre sparpagliate”, ma per questo serve un’attenta analisi degli errori del passato. Vanno quindi “ristabiliti i nomi delle cose”, a cominciare dalla sfera culturale-umanitaria, in quanto “lo smantellamento del progetto sovietico è iniziato con le modifiche agli standard umanitari, e l’imposizione di nuove definizioni dello spazio umanitario”. L’Unione Sovietica non ammetteva in effetti la possibilità di “aiuti umanitari” da parte esterna, sia in campo sociale, sanitario ed economico, sia soprattutto nei progetti culturali e formativi, come invece si è verificato nell’ultimo decennio dello scorso secolo.

Il filosofo e teologo di Stato ritiene che “tutto è iniziato dalla cultura” fin dagli ultimi decenni sovietici, con il dissenso del samizdat, le avanguardie teatrali, i film di Andrej Tarkovskij e Sergej Paradžanov e tutta la nuova “tendenza cinematografica” che invitava la coscienza dello spettatore sovietico al “pentimento”. In effetti si ricorda l’effetto clamoroso del documentario Ispoved (“La Confessione”) del 1989 di cui Paradžanov fu l’autore della sceneggiatura, raccogliendo un numero enorme di spettatori sovietici e numerosi riconoscimenti internazionali, raccontando la vita dei giovani tossicodipendenti di quegli anni in Unione Sovietica e demolendo l’immagine del “paradiso socialista” propagandato per molti decenni. La critica di Šipkov risulta ancora più radicale nei confronti dell’opera di Tarkovskij, che già nel 1962, durante il “disgelo kruscioviano”, aveva esordito con L’infanzia di Ivan, la storia di un bambino durante la seconda guerra mondiale, alternando il crudo realismo della guerra con continue digressioni oniriche, distanziandosi dal panorama cinematografico sovietico che esaltava soltanto l’eroismo dei vincitori, un tema tornato di grande attualità nella Russia putiniana. E anche nei suoi successivi capolavori, da Andrej Rublev del 1966, Solaris del 1972, Lo specchio del 1974 e Stalker del 1979, Tarkovskij ricostruisce in modo assolutamente originale, autobiografico e critico tutto il percorso della coscienza russa, distruggendo gli stereotipi sovietici, per non parlare dei film da lui girati nell’emigrazione, come Nostalgia del 1983 e Sacrificio del 1986. Questi esempi di rielaborazione della cultura sono definiti da Šipkov come “flussi di latte della libertà ritrovata, che sono finiti sulle rive delle coscienze come cagli inaciditi”.

Si è reso necessario “un nuovo sistema di coordinate, fondato sulla conoscenza scientifica e non sulla retorica politica, e si è imposta la visione umanitaria”, una ricerca di nuove fondamenta della società e del sistema politico per sostituire quella comunista sovietica. Qui Šipkov elenca una serie di nomi di esponenti della cultura russa in questa fase di cambiamenti, come il linguista e americanista Vjačeslav V. Ivanov, uno dei fondatori della “scuola comparativista” nelle università russe, lo slavista Vladimir Toporov, fondatore della “teoria del mito fondamentale” nel confronto tra le culture indoeuropee, il grande architetto della semiotica Jurij Lotman e l’orientalista Lev Gumilev con la “teoria passionaria dell’etnogenesi”, fino al russista Aleksandr Pančenko, che rilesse il sistema dei valori della Russia a partire dal Settecento, tutti intellettuali definiti “dominatori del pensiero” che hanno condotto l’autentica autocoscienza russa al “declino della culturologia”.

Prima ancora dell’influsso diretto delle associazioni e delle iniziative occidentali, ancora nei tempi sovietici tra Khruščev, Brežnev e Gorbačev, il filosofo putin-kirilliano evidenzia quindi una “decadenza” del vero spirito russo, individuando tra tutte una figura particolarmente significativa in questo senso, quella del filologo e critico letterario Sergej Averintsev, uno degli intellettuali più influenti della Russia post-sovietica. Erede di tanti altri esponenti di una “cultura alternativa” non apertamente dissidente, ma molto attiva nel mondo accademico degli ultimi decenni sovietici pur con tutte le limitazioni della censura, Averintsev viene accusato da Šipkov di avere “assunto un’area di sacralità” per le sue lezioni e conferenze di riscoperta della tradizione cristiana orientale e occidentale insieme, come si evidenzia in una delle sue poche pubblicazioni, la “Poetica della letteratura antica bizantina”, diffusa negli anni Novanta e pubblicata in tante lingue nel 2004, dopo la sua morte improvvisa a Vienna, ritenuta da Šipkov un “nuovo vangelo simbolico dell’occidentalismo russo”.

In questa disamina della cultura russa si evidenzia un fattore oggi davvero determinante per l’autocoscienza del potere politico ed ecclesiastico, che sostiene l’assoluta purezza e originalità della variante russa del cristianesimo e del sistema dei valori morali, in opposizione a quella ereditata dal cattolicesimo e protestantesimo occidentale, che secondo questa interpretazione si sono “appropriati” perfino della tradizione bizantina, come mostra proprio l’opera di Averintsev. La Russia di Šipkov rifiuta quindi la convergenza dei grandi filoni della spiritualità e della cultura cristiana dell’Europa di Oriente e Occidente, per proporsi come l’unica vera Chiesa incaricata di una missione universale.

Il filosofo esprime ammirazione per la personalità di Averintsev, capace di rievocare i padri della Chiesa e l’antica letteratura cristiana ancora in tempi di censura sovietica, ma a suo parere egli fu “una vittima involontaria della nuova ideologia dei valori liberali”, contro cui la Russia è costretta oggi a combattere. Nel tentativo di collegare il simbolismo ortodosso con la letteratura occidentale, in una “visione comune delle epoche” e una specie di “sincretismo delle culture pagane e di quelle bibliche”, Averintsev tentò di armonizzare cristianesimo e secolarismo, provocando una contraddizione tipica della visione attuale del mondo, che Šipkov definisce “tentazione del culturalismo”, una specie di “eresia contemporanea”.

Il filosofo utilizza un termine già impiegato da altri storici russi della teologia come Georgij Florovskij, quello della “pseudomorfosi”, una negazione e un tradimento dell’autentica tradizione insinuatosi in Russia fin dai tempi moderni, in particolare attraverso l’Accademia teologica di Petro Mogila a Kiev a inizio Seicento, che usava gli schemi della scolastica latina. Questo indica le radici profonde del conflitto tra la Russia e l’Ucraina, che proprio in quel periodo ha cominciato a separarsi nettamente da Mosca, evidenziando una propria identità di “ponte tra Oriente e Occidente”.

Da notare che Averintsev rileggeva l’idea russa della “Terza Roma” collegandola con una dimensione antica della cultura, essendo già la Roma antica una “terza figura” dopo Troia (mondo orientale) e Alba Longa (Latium vetus occidentale), e anche Costantinopoli come discendente da Troia e da Roma, per suggerire che non esiste un unico erede del cristianesimo e della cultura antica, ma in ogni espressione di tutte le latitudini si esprime un autentico contributo alla coscienza universale, ciò che i russi non intendono ammettere in nessun caso.

 

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