12/05/2004, 00.00
CINA – COREA DEL NORD
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L'Onu chiede a Pechino di fermare la "caccia" ai rifugiati nord-coreani della fame

Ginevra (AsiaNews/Agenzie) – Il governo cinese continua ad aiutare Pyongyang a rimpatriare con la forza i rifugiati nord-coreani che scova sul suo territorio, sottoponendoli alla detenzione nei campi di lavoro e perfino alla morte. A denunciarlo è stato un funzionario delle Nazioni Unite, che ha chiesto a Cina e Corea del Nord di porre fine a questa "caccia all'uomo", che alimenta l'immensa tragedia del popolo nord-coreano.

Jean Ziegler, osservatore dell'Onu per il diritto al cibo, ha fatto un appello alla Cina affinché cessi di arrestare i nord-coreani affamati, che cercano aiuto e riparo da un regime chiuso e folle, che sta piegando la popolazione: "La persecuzione sistematica e diffusa dei rifugiati nord-coreani sul suolo cinese costituisce una grave e ripetuta violazione del diritto al cibo".

Con questa condotta, Pechino, in accordo con Pyongyang, viola anche la Convenzione di Ginevra del 1951, di cui è firmataria, che prevede l'obbligo di protezione per coloro che si rifugiano in uno stato straniero, in quanto in grave pericolo nel proprio paese. Una volta abbandonata clandestinamente la Corea del Nord, il rimpatrio significherebbe gravi pene, maggiori della vita di stenti che la popolazione sopporta da tempo nella roccaforte comunista, anche per donne e bambini: "La punizione più comune è una condanna per tutta la famiglia a trascorrere molti anni nei campi", ha detto Ziegler.

Dal rapporto 2003 del Comitato americano per i diritti umani, emerge che in Corea del Nord vi sono 2 diversi sistemi di detenzione: i gulag, veri e propri campi di lavoro forzato e prigioni, dove "migliaia di detenuti lavorano, molti fino alla morte, nelle miniere, nei campi, nelle imprese industriali"; e campi di detenzione al confine della Cina per i nord-coreani che hanno tentato di lasciare il paese o sono stati rimpatriati grazie all'aiuto della polizia cinese.

Non si conosce esattamente il numero esatto dei nord-coreani fuggiti in Cina. Secondo le stime dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur) di Pechino e Seoul, dal febbraio 1999 essi sarebbero stati circa 30 mila. Ma per l'organizzazione non governativa sud-coreana Good Friends, che fornisce assistenza ai rifugiati nord-coreani, la cifra arriva addirittura a 300 mila. La politica persecutoria di Pechino spinge ormai da tempo i nord-coreani a nascondersi in Cina in attesa di fuggire in un altro paese, molto spesso la Corea del Sud. In alcuni casi, i nord-coreani clandestini in Cina subiscono ricatti e sono costretti ai lavori forzati; le donne vengono vendute o avviate alla prostituzione. Pechino vieta all'ufficio locale dell'Acnur di istallare sul territorio centri di assistenza per i rifugiati e arresta gli operatori umanitari – spesso sud-coreani – che aiutano i nord-coreani a nascondersi e a fuggire.

In passato, veri e propri assalti alla sede diplomatica sud-coreana a Pechino hanno spinto le autorità cinesi a porre barricate e stazioni di polizia a presidio della zona, per impedire l'ingresso dei nord-coreani. Dal canto suo, il governo sud-coreano ha ufficialmente dichiarato di accogliere sul proprio territorio i nord-coreani che chiedono asilo, ma nello stesso tempo l'ambasciata a Pechino respinge alcuni profughi perché si trova in una posizione delicata nei confronti della Cina. Perciò molti nord-coreani devono affrontare un iter molto lungo e complicato per riuscire a entrare in Corea del Sud, o procurandosi un passaporto contraffatto - che può arrivare a costare anche 10 milioni di won (pari a circa 7 mila euro) – o tramite la mediazione di un altro paese. (MR)

 

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