04/02/2023, 09.00
MONDO RUSSO
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La Russia e la Nato

Discutere se sia la Russia a voler fare la guerra alla Nato, o gli alleati a voler distruggere la Russia, non cambia il quadro della situazione, in cui entrambi i contendenti sono concentrati unicamente sulle strategie e gli obiettivi da raggiungere.

Con l’avvicinarsi del primo anniversario dell’invasione dell’Ucraina, la sensazione di una “resa dei conti” della guerra si rafforza da una parte e dall’altra degli schieramenti, in una escalation di annunci e strategie volte alla distruzione dell’avversario, e nel rifiuto sprezzante di ogni trattativa di pace. Ai vertici dell’Europa e degli Stati Uniti per il soccorso all’Ucraina rispondono le rinnovate minacce globali della Russia, rianimando la retorica della liberazione del mondo dal male come missione di Mosca.

La commemorazione degli 80 anni dalla battaglia di Stalingrado, il nome che si vorrebbe restituire definitivamente alla capitale meridionale del Volga, è stata presieduta dal Putin più classico, quello che vede nella figura di Stalin il suo principale ispiratore. Le date della Grande guerra patriottica segnano l’agenda della politica russa già da molto tempo, ancora prima dell’ascesa al potere dello stesso oscuro agente del Kgb. Nel 1995, il cinquantenario, in tutte le piazze delle grandi metropoli russe si tennero grandiose messe in scena dei combattimenti decisivi, fino all’ingresso a Berlino delle truppe sovietiche, che occuparono il bunker di Hitler trovandolo suicida con Eva Braun.

Da allora ogni anniversario ha rafforzato il sentimento della rivincita, ricordando che il crollo dell’Urss, “la più grande tragedia del Novecento” a detta di Putin, andava riletta alla luce dell’immarcescibile gloria dei tempi staliniani. Ogni anno l’enfasi della memoria bellica è cresciuta insieme alla restaurazione della teologia politica ortodossa, in una fusione tra Chiesa e Stato che trova proprio nell’Esercito la sua espressione più compiuta. Nel 2020, 75° della Vittoria, è stata inaugurata la cattedrale delle Forze Armate, il tempio in cui la liturgia evoca le guerre passate e profetizza quelle future, come l’attuale in Ucraina. Putin ha legato a quella data la svolta decisiva, modificando la costituzione per rimanere perennemente al potere, consacrando i “valori tradizionali” come motivazione superiore ad ogni norma del diritto interno e internazionale, e piegando le ultime ritrosie del patriarca Kirill, che non voleva perdere le sue chiese in Ucraina.

La rilettura della storia esalta la superiorità morale, religiosa e militare della Russia, riscrivendo perfino i manuali di storia e mettendo in ombra le date della vergogna: il disfacimento del regime nel 1991, l’invasione suicida dell’Afghanistan nel 1979, la tragica guerra civile e la carestia del 1920, la vergognosa sconfitta contro il Giappone nel 1905, la catastrofica guerra di Crimea del 1857 e così risalendo fino alla sciagurata campagna cinquecentesca di Ivan il Terribile contro i Paesi del Baltico, profezia dell’attuale guerra ucraina. Allora crollarono i sogni apocalittici della Terza Roma e del Patriarcato di Mosca, risucchiati nei “Torbidi” seicenteschi del conflitto con la Polonia e dello scisma tra gli stessi Veri e Vecchi Credenti, divisi sulla modalità con cui proclamare la superiorità della fede russa perfino su quella greca.

L’ideologia putiniana, e la psicologia delle masse a cui viene inculcata, è un “pensiero retroattivo”, che guarda al futuro per restaurare il passato, e la fine di un anno di stragi e distruzioni è visto nuovamente come un inizio, il momento più adatto a rappresentare l’anima della Russia, che proclama la vittoria quando diventa evidente la sconfitta. Il ministro degli esteri Lavrov ha denunciato a Ria Novosti “il tentativo dell’Occidente di risolvere la questione russa infliggendo a Mosca una tale sconfitta, che essa non possa riprendersi per decenni”. E quindi la guerra diventa universale, perché “tutta la Nato combatte contro di noi, e più sarà lungo il raggio d’azione degli armamenti forniti dall’Occidente a Kiev, più noi dovremo allontanarli dai nostri confini”. Più si avvicina la sconfitta, più la Russia si sente a suo agio, minacciando la fine del mondo, perché “non abbiamo soltanto i missili tradizionali”, ha ricordato Putin a Stalingrado.

Lo speaker della Duma, Vjačeslav Volodin, ha affermato a sua volta che “la Nato usa l’Ucraina come poligono di verifica delle proprie armi, e collaudo di nuove modalità di conduzione della guerra”. Dal fronte opposto, del resto, giungono simili echi, come le dichiarazioni di Rob Bauer, il capo olandese del comitato bellico della Nato, che ha dichiarato che “la Nato è pronta allo scontro con la Russia”, anche se tutti i leader occidentali escludono la possibilità di arrivare a un tale confronto diretto. Certo le decisioni sulla consegna di carri armati di ultima generazione, che ha coinvolto tanti Paesi fino alla stessa Germania, rilancia le accuse russe sulle “armate della Nato” che non si limitano alla fornitura di armamenti, ma invia “truppe di mercenari ben pagati”, come ha ribadito Lavrov.

Una delle poche cose che si ricorderanno di Liz Truss, ultimo primo ministro britannico sotto Elisabetta II e primo sotto Carlo III, il cui mandato è stato il più breve nella storia del Regno Unito (44 giorni), è il suo discorso ad aprile dell’anno scorso sulla “Nato globale”. In esso si respingeva “la scelta infondata tra sicurezza euro-atlantica e sicurezza indo-pacifica… nel mondo moderno abbiamo bisogno di entrambe”, per ribadire che “abbiamo bisogno di una Nato globale. Con questo non intendo estendere l’adesione a chi proviene da altre regioni; intendo dire che la Nato deve avere una visione globale, pronta ad affrontare le minacce globali”.

Dalla fine degli anni Novanta, con il crescere dei sentimenti di rivalsa sovranista, si ripete in Russia la frase ormai proverbiale per cui “se non lo faremo noi, lo faranno i soldati della Nato”. Risuona anche in forma poetica come in un titolo della Komsomolskaja Pravda del 1997: “ricordatevi bambini, se non ci fossero i soldati russi, vi accarezzerebbero della Nato i soldatini”. Questi slogan rievocano tanti detti simili dei tempi precedenti, in cui “il soldato sovietico protegge la terra santa / dai folli piani della Nato violenta”. Allora si insegnava nelle scuole, come oggi si rinnova, la minaccia del “blocco aggressivo della Nato, che vuole instaurare il dominio anglo-americano in tutto il mondo”. Gli attuali discorsi di Putin, in fondo, non sono altro che reminiscenze delle scuole elementari, per cui oggi “la Nato è il rifugio dei nazisti rimasti impuniti, che hanno sete di rivincita”, come ha aggiunto davanti al monumento alla gloria di Stalin.

Eppure proprio Putin, all’inizio, aveva cercato di instaurare rapporti cordiali con la Nato. Nel 2000 dichiarò in una intervista alla Bbc che la Russia era pronta a entrare nell’Alleanza atlantica, dopo aver ricevuto a Mosca il segretario generale della Nato George Robertson. Addirittura poco prima di invadere l’Ucraina, Putin ha ricordato che durante la visita a Mosca del presidente Bill Clinton, egli aveva chiesto come l’America vedeva il possibile ingresso della Russia nella Nato, ma “la reazione alla mia domanda fu molto evasiva”. L’ingresso definitivo nella Nato dei Paesi baltici nel 2004 lo convinse a “riformulare radicalmente la politica militare”, escludendo ogni possibile amicizia e alleanza tra la Russia e l’Occidente.

La “nuova politica” fu esposta nel famoso discorso al Summit sulla sicurezza di Monaco nel 2007, e nel 2010 la Nato fu dichiarata ufficialmente “la principale minaccia militare alla sicurezza della Russia”. Mentre negli anni Novanta la Russia, pur rimanendo fuori dall’Alleanza, era considerata dalla Nato il “partner cruciale” per “rafforzare i cambiamenti positivi di questi anni”, cioè la fine della guerra fredda, oggi viene definita “la minaccia più consistente e diretta alla sicurezza degli alleati, alla pace e alla stabilità di tutta la regione Euro-Atlantica”, lasciando la Cina al secondo posto, mentre il “terrorismo internazionale” è sceso al terzo gradino del podio dei “nemici della Nato”.

Il rilancio delle accuse reciproche, dopo un anno di guerra in Ucraina, è ormai un argomento buono soltanto per i dibattiti dei salotti televisivi. Discutere se sia la Russia a voler fare la guerra alla Nato, o gli alleati a voler distruggere la Russia, non cambia il quadro della situazione, in cui entrambi i contendenti sono concentrati unicamente sulle strategie e gli obiettivi da raggiungere. E in effetti non esiste un “esercito della Nato” o battaglioni di “soldati della Nato”, un’immagine di cui la Russia ha bisogno per rappresentare il nemico unico e globale. Ci sono i soldati e gli eserciti della Lituania, della Polonia, della Germania, degli Stati Uniti e così via: alleati che ridiscutono le regole dei loro reciproci impegni, e allo stesso tempo cercano di armarsi e riorganizzarsi in base alle proprie esigenze, in un quadro bellico destinato a modificare profondamente le relazioni tra i Paesi di ogni alleanza e latitudine, in tutti i continenti, nei lunghi anni a venire e a prescindere dagli esiti del conflitto ucraino.

Da anni ormai il papa Francesco avverte sui rischi della “terza guerra mondiale”, a pezzi o a grosse porzioni come ormai è diventata. La pace invocata va costruita attraversando le guerre e le tragedie, ricomponendo un mondo che sta davvero andando in pezzi. Nel 1638 il grande artista fiammingo Pieter Paul Rubens dipinse una tela sulle Conseguenze della guerra, dopo gli anni terribili della Guerra dei trent’anni e della Guerra civile inglese, mentre viaggiava di corte in corte come diplomatico. L’Europa è vestita a lutto, con l’abito a brandelli, e supplica l’aiuto divino; Venere, dea dell’amore, cerca di dissuadere l’amante Marte, dio della guerra, ma questi è conteso dalla Discordia, una Furia irrefrenabile che si trascina i mostri della Peste e della Carestia. La guerra di Marte calpesta e distrugge le Arti e la Carità di tutte le Muse, indicando la follia che annienta l’umanità intera e tutto il suo patrimonio morale e materiale. Un messaggio pacifista di quattrocento anni fa, che implica la necessità di ricostruire il mondo dalle fondamenta, il compito di ogni epoca della storia.

 

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