02/08/2025, 08.45
MONDO RUSSO
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La Russia ortodossa, centro della civiltà mondiale

di Stefano Caprio

Mosca ha celebrato la variante russa della festa del Battesimo della Rus’ di Kiev con il patriarca Kirill che ha ricordato anche il "credente ateista" Stalin per esaltare il “nuovo Battesimo” della Russia post-sovietica. Mentre il metropolita di Crimea Tikhon a Sebastopoli ha inaugurato una grande mostra dedicata al principe Vladimir presentandolo come un vero “museo universale del cristianesimo”.

Il patriarca di Mosca Kirill (Gundjaev) ha celebrato la variante russa della festa del Battesimo della Rus’ di Kiev, due settimane dopo la data “gregoriana” osservata dall’Ucraina, esaltando la “russicità” dell’eredità battesimale, ma senza insistere sulla polemica con gli ucraini per l’attribuzione della scelta del gran principe Vladimir di Kiev. Al battezzatore “simile agli apostoli” è stato peraltro paragonato l’attuale padrone del Cremlino Vladimir Putin, in quanto “oggi a capo del nostro Stato c’è un uomo sinceramente ortodosso, non per convenienza politica, non per congiunture particolari, ma per propria libera scelta, in base alla propria fede profonda, ciò che si riflette sulla vita di tutto il nostro popolo”.

Il patriarca ha ricordato il detto che “la fede dello zar è la fede del popolo”, riferendosi al primo Vladimir e di riflesso anche all’ultimo Vladimir, passando per i tanti sovrani “sinceramente credenti” della storia russa, perfino durante il periodo sovietico. Ricordando le “varie leggende” che si tramandano riguardo al dittatore sovietico Josif Stalin, che Kirill ripercorre “senza commenti” sulla loro autenticità, il “padre dei popoli” georgiano incontrò nel 1943 l’allora Luogotenente patriarcale, il metropolita Sergij (Stragorodskij), rivolgendosi a “Vostra eccellenza” con il detto russo “Chi ricorda il passato perderà un occhio”, iniziando quindi “una nuova epoca dell’Ortodossia russa”. In effetti Stalin nominò Sergej patriarca, restaurando gran parte delle chiese e liberando molti vescovi dal lager, quindi anch’egli può a buon diritto essere inserito nella lista degli “eredi di Vladimir il Grande”.

Il ricordo del “credente ateista”, che usava la Chiesa per alimentare il culto della sua stessa personalità, serve al patriarca Kirill per dimostrare la continuità della fede in Russia anche attraverso la persecuzione sovietica, che “non è riuscita a sradicare l’Ortodossia dalle menti e dai cuori dei nostri uomini e donne”. Durante il dominio dell’ideologia ufficiale dei bezbožniki, i “senza Dio” comunisti, “c’erano ovviamente molte persone che rinunciavano alla fede in Dio per paura”, ma anche moltissimi che non rinunciavano ad esprimere la propria religiosità, anche se “non tutti avevano il coraggio di andare in chiesa”. Ricordando le sue stesse esperienze dei tempi sovietici, Kirill racconta che “alcuni invitavano segretamente il sacerdote a casa per la Pasqua”, e anche chi non faceva nulla di simile “rimaneva comunque un uomo credente”.

Quindi il patriarca assicura che “il Signore ha avuto misericordia della Russia, del popolo russo” nonostante le più terribili persecuzioni della storia contro la religione, grazie “alla fede dei nostri martiri e confessori, delle nostre nonne e madri, un po’ meno di quella dei nostri padri”, ma dopo la fine del regime ateista la Chiesa ortodossa ha ripreso il suo ruolo “civilizzatore”, che per secoli ne ha fatto la vera “forza istitutrice dello Stato”, un’espressione che risale al santo “martello degli eretici” di fine Quattrocento, Josif di Volokolamsk, a cui il patriarca ricorre molto spesso per dimostrare l’importanza della Chiesa nella storia russa.

Il “nuovo Battesimo” post-sovietico di trentaquattro anni fa è quindi il vero contenuto della festa dei 1073 anni di quello di Kiev, dimostrando che “gli eventi epocali e i mutamenti tettonici nella vita dello Stato non si sottomettono mai alla volontà dei politici, anche se questi cercano di dominarli, ma sono in realtà destinati a realizzare la volontà di Dio”, e quindi “noi siamo oggi eredi di questo miracolo divino, di questo dono della Sua misericordia”. Questo rinnova la vocazione della Russia a una missione universale per “scacciare il diavolo che intende separare l’uomo dal suo Signore e Salvatore”, proclama trionfalmente il patriarca.

Oggi invece la Russia vive “in condizioni molto favorevoli”, senza alcuna pressione nei confronti della Chiesa, e nessuno minaccia la vera fede, come accade invece in tanti altri Paesi del mondo. Oltre ai governanti ortodossi, anche l’intelligentsija “si è convertita” e la maggior parte dei migliori studiosi e specialisti nei vari settori della scienza “sono dei veri credenti”. Eppure la vera fede “richiede sempre grandi sacrifici”, ammonisce Kirill, ricordando il termine russo per l’ascesi, il podvig che presuppone lo dviženie, il “movimento” dello sviluppo interiore della personalità umana. “Non è possibile portare a termine il compito del lavoro e quello della guerra se l’anima è troppo debole, se non si afferma una giusta visione del mondo”, perché solo “quando l’anima è forte, allora sono forti anche le azioni”, ciò di cui oggi la Russia ha estremo bisogno, alludendo alla necessità di giungere alla vittoria nella guerra con l’Ucraina, pur senza nominarla esplicitamente.

Il rinnovamento della fede battesimale deve quindi “conservarsi e rigenerarsi sempre di più”, insiste il patriarca, poiché “la Russia è un grande Paese che esercita un enorme influsso sulla civiltà mondiale, e su tutto quello che avviene nel mondo”, allargando gli orizzonti ben oltre i confini del conflitto col vicino. Bisogna “saper coniugare la fede con la scienza, la tecnologia e ogni forma di sapere”, avendo particolari attenzioni per “coloro che vivono più a occidente di noi, che da tempo hanno rinunciato alla propria fede”. E questa testimonianza della Russia servirà anche a tutti gli altri popoli e alle altre religioni, per “riflettere adeguatamente sui destini degli Stati e delle regioni del mondo”.

Per questo la fede dei russi dev’essere sempre più autentica, conclude Kirill, “senza ipocrisie, senza limitarsi al formale adempimento dei propri compiti, senza avere paura dei poteri superiori, ma soltanto con il timor di Dio per essere dei buoni servitori dei Suoi piani per la Russia e per il mondo intero”, con la preghiera di tutti i santi e i martiri, dei Vladimir e dei sovrani ortodossi o pseudo-ortodossi “illuminatori della Russia”. A questi appelli patriarcali ha risposto subito con grande zelo l’altra personalità di primo piano della gerarchia ortodossa russa, il metropolita di Crimea Tikhon (Ševkunov), inaugurando in questi giorni la grande mostra dedicata al Krestnyj Otets, il “padrino di Battesimo” della Russia, il principe Vladimir il grande, che fu battezzato proprio a Chersoneso sulle rive della penisola sul mar Nero, prima di far immergere la popolazione di Kiev nelle acque del fiume Dnepr.

L’esposizione occupa la parte principale del grande museo del “Nuovo Chersoneso”, il complesso ecclesiastico-museale creato per iniziativa di Tikhon sulle rovine dell’antica città, nella periferia della capitale Sebastopoli. In essa si aprono sette grandi sale, con molti oggetti sacri e storici, ma anche grandi schermi e una sala-teatro con uno schermo a cupola per le proiezioni cinematografiche. Il metropolita ha invece nominato direttamente l’Ucraina, affermando che “il Battesimo è una festa di unione dei popoli, dei russi e degli ucraini e di tutti gli altri popoli che nella storia si sono uniti alla Russia”, e il museo di Sebastopoli non sarà soltanto una manifestazione limitata alla Russia, ma un vero “museo universale del cristianesimo”.

Rileggendo la storia millenaria, Tikhon afferma che “molte volte ci sono stati tentativi di distruggere e dividere la Russia, da parte di altri Stati, ma noi abbiamo sempre saputo superare e annientare questi complotti, anche versando il nostro sangue”. Egli ha ricordato gli scontri iniziati nel 1654, da lui definiti “la prima operazione militare speciale” per riunire l’Ucraina alla Russia, quando la rivolta dei cosacchi di Bogdan Khmel’nitskij separò i territori “ucraini” di confine dal regno di Polonia, sottomettendoli allo zar di Mosca Aleksij, il secondo zar della dinastia Romanov. Il metropolita ricorda che allora “furono necessari tredici anni di combattimenti”, alludendo alla necessità di andare fino in fondo anche nella guerra attuale, per quanti anni saranno necessari. Oggi per il metropolita “il sangue dei fratelli non soltanto divide, ma anche unisce, magari non subito, ma ci arriveremo, il tempo guarisce ogni cosa”.

Dopo la solenne liturgia nella cattedrale della Dormizione del Cremlino, il patriarca e tutti i metropoliti hanno guidato un solenne corteo, con le reliquie e l’icona del santo principe Vladimir per giungere alla piazza Borovitskaja, dove si erge il monumento al battezzatore eretto nel 2016, con la curiosità del cappello degli zar, la Šapka Monomakha di foggia tatara, che gli zar hanno adottato soltanto nel Cinquecento con l’incoronazione di Ivan in Terribile. Anche in questo si evidenzia la sovrapposizione delle figure storiche del Mondo Russo, dove non contano le date, ma le loro interpretazioni odierne.

Nella litania celebrativa è stata inserita la preghiera “per il nostro Paese da Dio custodito e per il suo presidente Vladimir Vladimirovič, le autorità e l’esercito vincitore, per poter vivere nella pace e nella purezza della fede”. Il Battesimo è un evento che si rinnova nella spiritualità e soprattutto nella ricostruzione di un mondo unitario, ciò che per i russi caratterizza veramente la dimensione politico-religiosa, essendo l’unico Paese al mondo in cui il sacramento diventa fondazione dello Stato, e proiezione di un impero universale.

 

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