La Siria dopo i massacri di Suwayda: le voci delle Chiese per la riconciliazione
In una settimana di scontri tra drusi, beduini e forze governative, uccisi oltre mille civili e combattenti, incluse famiglie cristiane e il pastore evangelico di origine drusa Khalid Mezheri. La Chiesa latina e il patriarcato greco-ortodosso chiedono l’intervento urgente della comunità internazionale e denunciano il ruolo di milizie che ancora sfuggono al controllo di Damasco e delle ingerenze esterne. L’Œuvre d'Orient segnala centinaia di sfollati senza cibo né acqua. Vicario apostolico di Aleppo Hanna Jallouf: “Solo il dialogo può salvare la Siria”.
Damasco (AsiaNews) - Anche la Chiesa latina, secondo le parole del vicario apostolico di Aleppo, Hanna Jallouf, “segue con profonda preoccupazione e tristezza la rapida escalation di eventi” che sta avendo luogo nel governatorato meridionale di Suwayda, per una settimana teatro di scontri tra tribù druse, beduine e forze governative, ma che hanno coinvolto anche civili cristiani e di altre minoranze religiose. Uno degli episodi più violenti si è verificato nel villaggio di al-Qarah, dove diverse famiglie cristiane sarebbero state massacrate. Tra le vittime anche il pastore Khalid Mezheri, proveniente da una famiglia drusa ma convertitosi al cristianesimo. Era a capo della Chiesa evangelica del Buon Pastore di Suwayda ed è stato assassinato insieme alla moglie e ai figli.
“La violenza e la controviolenza che si stanno verificando non servono a nessuno. Al contrario, infiammano e complicano il cammino verso una soluzione, oscurando il linguaggio della ragione e della saggezza”, si legge ancora nel comunicato a firma del vescovo Jallouf. “Le crisi possono essere risolte solo attraverso il dialogo, l’ascolto e l’apertura all’interno dell’unica famiglia siriana”.
Domenica 20 luglio è entrata in vigore un fragile tregua mediata dagli Stati Uniti e Israele, che nei giorni precedenti aveva bombardato la regione di Suwayda e il ministero della Difesa siriano a Damasco in segno di avvertimento al governo, oggi guidato dal presidente (ex jihadista) Ahmed al-Sharaa. Tel Aviv aveva giustificato le proprie azioni affermando di voler proteggere la minoranza drusa, presente anche in Israele e in Libano.
Non mancano le accuse alle ingerenze straniere nella dichiarazione del vicariato apostolico di Aleppo: “Invitiamo la comunità internazionale ad assumersi le proprie responsabilità in merito alle violazioni esterne a cui è soggetto il nostro Paese e che minacciano l’unità e l’integrità del nostro popolo”.
Le violenze erano iniziate il 13 luglio in seguito al presunto rapimento di un commerciante druso da parte delle tribù beduine, a cui poi si sono aggiunte le attuali forze governative. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR), con sede nel Regno Unito, in una settimana sono state uccise più 1.120 persone, tra cui 427 combattenti e 298 civili drusi, 194 dei quali sono stati “giustiziati in maniera sommaria dal personale del ministero della Difesa e dell’Interno”. Sono inoltre stati uccisi anche 354 membri delle forze di sicurezza siriane e 21 beduini sunniti, tre dei quali civili, secondo l’organizzazione, “giustiziati dai combattenti drusi”. Altri 15 militari sono stati uccisi negli attacchi israeliani. Mentre per l’Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni unite (OIM), almeno 128mila persone sono sfollate dal governatorato a causa degli scontri armati.
Voci di critica e di accusa nei confronti dell’attuale governo si sono levate nei giorni scorsi dal priore della comunità monastica di Mar Musa, p. Jihad Youssef, che ha denunciato la violenza perpetrata dalle milizie che hanno sostenuto l’ascesa di Ahmed al-Sharaa contro il precedente regime di Bashar al-Assad: “Come potete umiliare i vostri concittadini, i vostri fratelli in Siria? Questa barbarie e questa cieca vendetta non possono costruire uno Stato, anche se chi la pratica rimane solo dopo aver spazzato via tutti quelli che non sono come loro. Eravate contro l’ingiustizia di Assad e ora state praticando l’ingiustizia sulle stesse persone e con il suo stesso respiro settario. Qual è la differenza tra voi e lui?”.
Affermazioni ndure, ma accompagnate anche da dichiarazioni di solidarietà a tutte le persone coinvolte negli scontri: “Siamo solidali con la gente della città e del governatorato di tutte le affiliazioni: musulmani, cristiani e soprattutto drusi, tutti coloro che soffrono per la violenza. I vostri baffi sono una corona sulle nostre teste”. Il riferimento è alla violenza di tagliare i baffi, simbolo religioso e di riconoscimento, agli uomini appartenenti alla comunità drusa. Oltre alla Sicurezza generale, le nuove forze dell’ordine siriane, continuano ad esistere in Siria milizie estremiste scontente del governo, giudicato troppo moderato, di al-Sharaa. Alcuni di questi elementi estremisti si sono separati da Hay’at Tahrir al-Sham (HTS, il gruppo guidato da al-Sharaa) e hanno dato vita a un nuovo gruppo terroristico, chiamato Saraya Ansar al-Sunna, che ha giugno ha compiuto un attentato alla chiesa di Mar Elias a Damasco. Venerdì 18 luglio gruppi di uomini armati hanno aggredito attivisti che stavano protestando pacificamente, con un sit-in silenzioso, contro la violenza in corso a Suwayda e a favore di una riconciliazione nazionale. Tra le vittime di aggressioni verbali e fisiche c’era anche Zeina Shahla, attivista e giornalista siriana detenuta durante il regime della famiglia Assad per le sue attività di opposizione politica, e che oggi lavora come consulente del Comitato nazionale per le persone scomparse istituito da Sharaa a maggio di quest’anno.
Anche il patriarcato greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente, con sede a Damasco, ha lanciato un appello urgente alla comunità internazionale e chiesto la fine delle violenze: “Da giorni, sotto gli occhi del mondo intero, la violenza affligge il nostro popolo a Suwayda. Da giorni si tenta invano di risolvere e calmare la situazione. Ciò che sta accadendo a Suwayda è una vergogna per l’umanità”. Il patriarca Giovanni X Yazigi è rimasto in contatto con il metropolita Antonios Saad, a capo dell’arcieparchia di Bosra, dell’Hauran e di Jabal al-Arab, che aveva a sua volta lanciato diversi messaggi di pace: “Gloria a Dio in tutte le cose. Rivolgo questo messaggio al mondo intero e li invito a intervenire con urgenza per fermare i massacri dei terroristi a Suwayda. Rivolgo questo appello umanitario a coloro che hanno una mente sana e amano la pace. La guerra in corso nel governatorato di Suwayda è una guerra di annientamento che uccide giovani e anziani. Pertanto, alzo forte la mia voce alla comunità internazionale e alle Nazioni Unite affinché ci aiutino. Spero che questo grido raggiunga il mondo intero”.
Anche l’Œuvre d'Orient ha espresso la propria preoccupazione per la situazione, sottolineando che “la chiesa melchita nel villaggio di Sara è stata bruciata e diverse centinaia di persone si stanno attualmente rifugiando nella parrocchia melchita di Shorba, nella chiesa dei padri cappuccini e nell'arcivescovado greco-ortodosso di Suwayda, senza acqua, cibo ed elettricità”. La Chiesa melchita chiede inoltre alle parti coinvolte “di rispettare il cessate il fuoco”, ma anche che “venga condotta un'indagine indipendente sulle esecuzioni di civili” e che “gli autori dell’omicidio del pastore Khaled Mazher siano processati e puniti”. E viene nuovamente chiesto l’intervento della comunità internazionale, il cui “sostegno alle nuove autorità di Damasco” dovrebbe essere condizionato in base “al rispetto dei diritti e alla protezione della popolazione civile siriana, in particolare dei membri delle minoranze drusa, alawita e cristiana”.
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