06/12/2022, 13.27
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La battaglia sugli outpost nell'agenda del nuovo governo Netanyahu

di Giorgio Bernardelli

I Sionisti religiosi vogliono la legalizzazione anche di quei piccoli insediamenti che la stessa legge israeliana oggi ritiene illegittimi. Insieme al passaggio nelle mani dei coloni dell'autorità amministrativa nelle aree C, quelle tuttora interamente controllate da Israele in Cisgiordania e abitate anche da migliaia di palestinesi. Primo obiettivo: ricostruire Homesh, una delle colonie che Sharon sgomberò nel 2005.

Milano (AsiaNews) – In Israele si avvicina il varo del nuovo governo Netanyahu. Il termine dei 28 giorni fissati dalla legge scade alla mezzanotte di domenica 11 dicembre, ma il premier incaricato potrebbe ancora chiedere un’unica proroga di 14 giorni. Dopo che le elezioni del 1 novembre hanno assicurato una maggioranza solida di 64 seggi alla coalizione formata dal Likud, dai partiti religiosi ebraici e dal cartello dell’estrema destra nazionalista - riunita sotto l’insegna di Sionismo religioso, ma subito dopo di nuovo spaccatasi in tre forze autonome - ci sono pochi dubbi sul fatto che Netanyahu riesca a varare il governo. Ma la contesa tra le forze della coalizione più a destra della storia di Israele sta comunque andando avanti, con ciascun leader impegnato a incassare il massimo dagli accordi di governo.

Lo scontro sul COGAT

Da quanto emerso finora dalle intese sottoscritte dal Likud con gli altri partiti un nodo di tensione con Washington e la comunità internazionale appare già estremamente chiaro: la gestione delle cosiddette “aree C” e degli outpost, cioè quel particolare gruppo di insediamenti in Cisgiordania che sono illegali per la stessa legislazione israeliana. Il quadro normativo degli Accordi di Oslo - varato da israeliani e palestinesi negli anni Novanta e mai cambiato in questi trent’anni - prevedeva la suddivisione della Cisgiordania in tre diverse tipologie di aree: le aree A (le grandi città della Palestina che occupano il 18% della superficie) sotto il controllo amministrativo e militare dell’Autorità palestinese; le aree B (le aree limitrofe e le vie di comunicazione per un estensione di un ulteriore 22% della superficie) sotto la giurisdizione amministrativa palestinese ma per le questioni della sicurezza ancora sotto il controllo israeliano; le aree C (il restante 60%) nelle quali sia il controllo militare sia quello amministrativo resta nelle mani di Israele. Le aree C sono quelle in cui vivono i 490mila coloni israeliani che ormai abitano negli insediamenti e che in questi trent’anni non hanno mia smesso di crescere. Ma nelle aree C ricadono anche più di 500 piccoli centri palestinesi. Non è difficile, dunque, capire che è proprio qui che si concentrano le maggiori frizioni, soprattutto per la delicatissima questione della titolarità dei terreni.

Nelle aree C il ruolo chiave della gestione amministrativa è affidato al Coordinatore del governo per le attività amministrative (COGAT), fino ad oggi un ruolo dipendente dal ministero della Difesa. Per questo motivo Bezalel Smotrich - il leader di una delle fazioni di Sionismo religioso - avrebbe voluto il ruolo di ministro della Difesa nel nuovo governo. Di fronte al veto imposto da Washington ha comunque ottenuto che la nomina del COGAT si a scorporata e affidata al ministero delle Finanze a lui destinato. Una mossa che ha mandato su tutte le furie i vertici dell’esercito israeliano che temono di trovarsi a dover gestire sul campo le ulteriori tensioni che esploderanno coi palestinesi a ogni nuova decisione amministrativa che verrà presa in favore dell’espansione delle colonie. Il tutto in un contesto già da mesi segnato da gravi violenze in Cisgiordania.

La legalizzazione degli outpost

A rendere poi ancora più esplosiva la situazione c’è la richiesta di legalizzazione degli outpost, che è un altro punto richiesto da Sionismo religioso negli accordi di governo. Attualmente questi insediamenti “non autorizzati” sono una settantina e si tratta di piccole comunità abitate da circa 25mila coloni. Ma la loro approvazione rappresenterebbe un salto di qualità nell’espansione delle colonie israeliane in Cisgiordania. Gli attuali 130 insediamenti ufficialmente riconosciuti dal governo di Israele, infatti, non sono tutti uguali tra loro: alcuni come Modi’in Illit, Ma’ale Adumim o Beitar Illit sono grandi città da decine di migliaia di abitanti, spesso anche molto vicine alla Linea Verde e quindi facilmente aggiustabili con compensazioni territoriali in quella che era l’ipotesi dei due Stati. Gli outpost invece - sorti dopo gli anni Novanta - sono per la maggior parte piccoli gruppi di case o prefabbricati abitati ciascuno da poche decine o centinaia di persone, ma in aree molto interne a zone dove vivono comunità palestinese. Legalizzarli significherebbe aprire la strada alla nascita di nuove città israeliane in Cisgiordania, mettendo definitivamente la parola fine a ogni eventualità di uno Stato palestinese.

Non solo: secondo quando scritto nel 2005 nel Rapporto Sasson, l’unica indagine mai compiuta ufficialmente da Israele su queste strutture, molti violano apertamente anche la storica sentenza del 1979 della Corte suprema israeliana sul caso di Elon Moreh in base alla quale un insediamento non può essere costruito su terreno di cui un palestinese sia in grado di dimostrare la legittima proprietà. Quindi sono illegali non solo perché non autorizzati, ma anche perché frutto di confische arbitrarie avvenute con la complicità dell’esercito.

C’è infine un ultimo motivo ideologico legato alla battaglia sugli outpost: uno di quelli su cui Ben Gvir, l’altro leader dei Sionisti religiosi, chiede con maggiore vigore la legalizzazione è Homesh, che è uno dei quattro piccoli insediamenti del nord Cisgiordania che il governo di Ariel Sharon sgomberò nel 2005 insieme alle colonie di Gaza. Il significato simbolico sarebbe evidente: cancellare quella pagina di storia andando a ricostruire le case ebraiche che furono i bulldozer israeliani a smantellare. La destra nazionalista ebraica ci ha provato tante volte in questi anni. Ora con il nuovo governo Netanyahu vuole riuscirci davvero.

 

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