22/04/2023, 09.00
MONDO RUSSO
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La canzone dell'identità russa

di Stefano Caprio

Treccine bionde e “chiodo” da rocker, Šaman rappresenta il volto estremo e futurista dell’identità russa, che prende le distanze dall’Occidente copiandolo in ogni dettaglio, ma in versione “io sono russo”. E in quello che è diventato l'inno del momento a Mosca mostra la terra “da noi custodita” alternando le folle osannanti all’abbraccio con le spighe di grano.

Dalla sera dello scorso Capodanno, fino alla Pasqua ormai inoltrata, in tutte le scuole russe, dalle elementari al liceo, si ascolta, s’insegna e si canta a squarciagola il nuovo inno della Russia, la canzone folk-rock Ja russkij, “Io sono russo”, del giovane cantante Šaman (lo “sciamano”, pseudonimo di Jaroslav Dronov). La ballata è stata eseguita anche in occasione degli auguri alla nazione del presidente Putin per l’anno nuovo, “l’anno della Vittoria”, con il ritornello “Io sono russo, e vado fino in fondo!”.

Il cantante trentenne è una stellina pop, con capelli biondi a treccine e indossa il “chiodo” dei rocker, tiene concerti assordanti negli stadi davanti a folle scatenate di giovani e giovanissimi fan che lo reggono sulle mani quando si getta dal palco, secondo gli standard più triti delle liturgie dello spettacolo. Rappresenta il volto estremo e futurista dell’identità russa, che prende le distanze dall’Occidente copiandolo in ogni dettaglio, ma in versione “io sono russo”.

L’inno ufficiale dello Stato, anch’esso ri-arrangiato dal cantante in versione rock, rimane quello dalla musica solenne, la stessa di quello sovietico, ma con il testo corretto che magnifica la “Russia, santa potenza nostra / Volontà potente, Gloria immensa / Esulta, Patria nostra libera!”. La terra “da noi custodita” viene mostrata da Šaman nella clip di YouTube, in cui alterna le folle osannanti all’abbraccio con le spighe di grano. Nella nuova canzone spiega che “Io sono russo / E respiro quest’aria / Su di me soffia il vento libero / Che è proprio uguale a me”. L’intero ritornello ripete con ritmo arrembante “Io sono russo / io vado fino in fondo / Io sono russo / il mio sangue è di mio padre / Io sono russo, e sono fortunato / Io sono russo alla faccia del mondo intero / Io sono russo!”.

Alla fine della clip, dopo l’abbraccio coi fan in delirio, si mostra una scena “intanto, in un Paese lontano...” con una coppia di colore (uomo e donna) che viaggia in macchina sotto il cartellone “Hollywood” di Los Angeles, e canta a squarciagola Ja russkij dalla radio. Il video si conclude “intanto, nell’alto dei cieli...” con un’astronave aliena che capta dalla terra la canzone di Šaman, e tutti gli extraterrestri ballano entusiasti al canto dei russi. La propaganda del mondo russo attraversa tutte le dimensioni geografiche e spirituali, con una canzoncina a buon mercato, che pure ne esprime l’ideale supremo.

Un paragone curioso fa venire in mente l’analogo entusiasmo dei russi all’uscita de “L’italiano” di Toto Cutugno nel 1983, e ancora oggi tutti i russi cantano a memoria “Sono un italiano vero”, che nella loro mente, in fondo, è uguale al grido “Io sono russo”. L’identità in realtà non dipende tanto dalla genetica, non c’è nella mentalità russa il concetto della “razza superiore”. Neppure dalla geografia, se non per l’estensione che fa sentire di essere “cittadini senza confini”; e in questo ci può essere qualche analogia con l’autocoscienza degli italiani, che vivono in una striscia circondata dai mari di cui non vedono i confini, conservando nei recessi della psiche la memoria di un antico impero universale. Russo-italiano evoca anche consonanze culturali, da Dante e Leonardo da Vinci fino a Puškin e agli scrittori, artisti, musicisti e perfino uomini politici che hanno cercato di imitare le glorie italiane del Rinascimento. O magari le glorie terrene dei leader gaudenti, che lo stesso Putin prese a modello all’inizio della sua carriera.

Il proclama della propria “russicità” suscita in effetti reazioni piuttosto incerte e scomposte, al di là dell’esaltazione propagandistica. Il comico russo Aleksandr Gudkov ha fatto una parodia della canzone di Šaman, cantando Ja usskij (io sono “stretto”) al posto di russkij, suscitando un’ilarità tanto diffusa che i servizi dell’Fsb lo hanno messo sotto inchiesta per “estremismo”, e la senatrice Elena Afanaseva ha fatto appello alla procura per accusarlo anche di “russofobia”. Il comico è fuggito dalla Russia nascondendosi per qualche tempo, poi è tornato a casa, stando attento a non offendere la suscettibilità patriottica, più sensibile di quella degli americani per le battute sui generi sessuali.

L’aspetto grottesco dell’affermazione identitaria, del resto, non ha bisogno neanche delle battute ironiche, quando a gridare “io sono russo!” sono personaggi come il calciatore brasiliano Claudinho, che neanche conosce la lingua (ma calcola bene il valore dei rubli), o l’attore americano Steven Seagal, ricevuto con tutti gli onori al Cremlino, che ripete ovunque “io sono russo a un milione per cento”. Il protagonista di tanti film violenti non si limita a rivendicare origini russe di sangue, peraltro assai dubbie, ma afferma di “essere stato educato nell’atmosfera delle tradizioni e dei valori della Russia”, come ha detto al Congresso internazionale dei russofili, tenuto a Mosca poche settimane fa. Del resto, quando nel 2007 l’attore era stato invitato in Calmucchia, dichiarò davanti a un esterrefatto uditorio “Io sono mongolo!”, e vedendo lo sconcerto sui volti, si corresse: “Probabilmente, sono calmucco”.

L’identità russa, la samobytnost (auto-essenza) degli slavofili, non è una questione di nazionalità, ma piuttosto di orientamento ideale, morale e politico, più simile al tifo sportivo o all’isteria musicale giovanile, che non veramente all’appartenenza etnica o civile. E la stessa lingua russa conferma questa imprecisione: la parola natsionalnost’, “nazionalità”, non indica la cittadinanza, per cui si usa invece il termine graždanstvo, ma specifica l’etnia di appartenenza, come veniva indicato sui passaporti sovietici: cittadino sovietico, di nazionalità russa (o tatara, cecena e tante altre). Anche per questo non si può facilmente parlare di “nazionalismo” per l’ideologia tradizionale russa, che tende piuttosto all’imperialismo, dove pure esiste una confusione: tsarstvo è il regno dello zar, termine “simbolico” (Cesar-Czar), mentre imperija fu imposto da Pietro il grande nel Settecento a indicare un tipo di struttura politica più di tipo occidentale, per cui voleva essere imperator alla romana, in versione moderna, più che tsar antico alla russa. Perfino per il leader supremo di turno, quindi, il grido ja russkij provoca una certa crisi d’identità, tanto più se si deve definire con termini decisamente d’importazione, come “segretario di partito” o “presidente federale”.

Va un po’ meglio al “patriarca”, anche se pure questo termine non è originario della Russia, ma almeno può essere attribuito ai tempi più arcaici, meglio a quelli di Abramo che non a quelli di Costantinopoli. La stessa “ortodossia” è di stampo greco, e i russi preferiscono anteporre ad essa la sobornost, un termine slavofilo di dubbia definizione, che indica una specie di “unione mistica” non tanto sui dogmi di fede, quanto sulla sottomissione alla gerarchia “di tutte le Russie”, altro termine molto caro ai capi spirituali, che introduce ulteriori motivi di confusione.

Per la gente comune, quindi, essere “russo” può voler dire tante cose. Anzitutto, ovviamente, essere nato in Russia, da genitori russi, cresciuto parlando la lingua russa. A questo bisogna aggiungere la sintonia con la cultura e la sensibilità russa, avere un rapporto emozionale con la storia russa, ricordare la battaglia di Borodino con Napoleone e quella di Stalingrado con Hitler. Non tutti i russi “etnici” hanno tutte queste caratteristiche, perché tra i russi c’è chi teneva per i francesi, chi preferisce comunque la cultura occidentale. In generale, comunque, i russi “doc” vivono in Russia, ma neanche questo è assoluto; possono essere figli di russi che vivono altrove, educati dalla famiglia russa, ma senza essere mai stati in Russia. La diaspora va dagli Stati Uniti ai Baltici o all’Asia centrale, e la cittadinanza in questo caso non cancella la nazionalità, l’auto-identificazione etnica.

Un’altra dimensione è quella di chi afferma “io sono russo” alla Steven Seagal, una dichiarazione ideologica, essere “dalla parte dei russi”. Basta preferire i russi agli americani per essere già inglobati nel mondo russo, al di là di ogni definizione anagrafica e di ogni tipo di passaporto. Agli inizi degli anni Duemila si vendevano in tutto il mondo magliette con la scritta Ja russkij, per iniziativa degli ultra-nazionalisti del movimento delle “Marce Russe”, e basta essere politicamente simpatizzanti per essere aggregati ai “veri russi”. Anzi, neppure la sintonia politica serve: è sufficiente un atteggiamento di simpatia e vicinanza, perché i russi sono gente di cuore, alla fine non importa poi tanto come la pensi, basta che ci vuoi bene e bevi con noi una bella vodka.

Il cantante Šaman è un buon esempio di russo autentico: per una decina d’anni ha cercato in tutti i modi di sfondare nello show-business, partecipando a tutti i possibili talent show televisivi, ha cantato quasi sempre le cover dei cantanti più famosi, proponendo canzoni melense di amore romantico, senza grande successo. Quando la propaganda di Stato si è messa a cercare un “vero cantante patriottico”, visto che tutte le grandi stelle si erano fatte da parte, Jaroslav ha colto il suo momento, proponendo una serie di pezzi a gran voce per sostenere l’operazione militare speciale e la grandezza dell’armata russa, e finalmente ha sfondato, diventando la “voce veramente russa”. Non basta infatti che tu ti ritenga russo, bisogna che gli altri russi ti riconoscano come tale.

Oggi i russi sono sempre più confusi tra le tante “nazionalità” russificate, dell’Asia e del Caucaso, del nord finnico o degli Urali tatari, dell’Estremo oriente sino-giapponese o della Siberia, che nei secoli ha mescolato ogni genere di etnia e provenienza. C’è un’altra ambiguità nella lingua, che distingue i russkye, russi etnici, dai rossijane, i “rossiani”, russi di passaporto, ma che in realtà sono tutt’altro. E alla fine a non capire chi è veramente, potrebbe rimanere soltanto l’uomo che grida al mondo intero: ja russkij, ma non sa chi sono i suoi fratelli.

 

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