La corruzione in Ucraina: eredità sovietica e incertezza nel futuro
L'intreccio tra gli scandali a Kiev e le sempre più frequenti discussioni sull'uscita di scena di Zelenskyj. Giustizia e trasparenza, “purezza” e punizione dei colpevoli appaiono come le priorità da ritrovare sotto le macerie della guerra che continuano ad accumularsi.
Nei giorni scorsi il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelenskyj, ha confermato la decisione del Consiglio per la sicurezza nazionale e la difesa, applicando le sanzioni contro Timur Mindič, comproprietario dello studio Kvartal-95 e stretto collaboratore dello stesso Zelenskyj, e contro l’uomo d’affari Aleksandr Tsukerman, l’altro proprietario. Entrambi sono in possesso della cittadinanza di Israele, dove attualmente si trovano senza intenzioni di tornare a Kiev, e Mindič è riuscito ad andarsene poche ora prima dello scoppio dello scandalo.
L’operazione, chiamata Midas in ricordo del re Mida che trasformava tutto in oro, ha suscitato clamore nel mondo intero, proprio nel momento più critico della guerra della Russia, contro cui l’Ucraina fatica a resistere ed ha sempre più bisogno dell’appoggio degli alleati occidentali, che non sono certo invogliati a rinnovarlo in presenza di scandali di così ampio spettro. Il risultato dell’inchiesta di diversi mesi da parte delle agenzie anti-corruzione è l’esito di polemiche che durano da tempo nella suddivisione dei poteri con il presidente, eletto nel 2019 proprio per combattere la corruzione, una piaga ereditata dal sistema sovietico ed esaltata dalla contradditoria transizione all’economia di mercato nel trentennio successivo.
La reazione della popolazione a queste vicende, che coinvolgono anche diversi ministri di cui si richiedono le dimissioni (finora le hanno presentate il ministro della giustizia German Galuščenko e la ministra dell’energia Svetlana Hrynčuk), oscilla tra la rabbia e la rassegnazione, soprattutto da parte delle generazioni più anziane che collegano lo scandalo all’inizio della stagione invernale, quando tutto sembra crollare e il Paese rimane al buio e al freddo per colpa degli attacchi dei russi, “vedremo se saremo ancora vivi in primavera”. La corruzione del resto si moltiplica proprio in seguito alle operazioni militari, come si è visto in questi anni nella stessa Russia, dove per queste ragioni sono stati sostituiti quasi tutti i vertici del ministero della difesa e dell’esercito.
In questo frangente, lo scandalo si accompagna alle sempre più frequenti discussioni sul cambio di regime a Kiev, dopo elezioni possibili in seguito ad una tregua del conflitto bellico, o addirittura per dimissioni del governo o dello stesso presidente, sollecitate dalla Verkhovnaja Rada o da proteste di piazza. Si scatenano quindi le più disparate ipotesi complottistiche, che vedono in queste vicende tre principali scenari possibili: l’azione americana tramite l’Fbi, che permetterebbe a Donald Trump di interrompere gli aiuti militari a Kiev e di accordarsi definitivamente con Vladimir Putin; quindi l’ingerenza degli stessi russi, che in questo modo si libererebbero finalmente di Zelenskyj, uno degli scopi principali dell’invasione dell’Ucraina; e infine un piano dello stesso presidente ucraino, che sacrificando alcuni dei suoi uomini più fedeli potrebbe rinnovare la sua immagine di “liberatore” del Paese dai nemici esterni ed interni.
Al di là dei possibili scopi occulti, tutti più o meno inverosimili, l’indagine sul Re Mida impressiona per la vasta estensione della rete criminale negli ambiti dell’energia e della difesa, con oltre 70 perquisizioni che hanno portato al sequestro di montagne di contanti in dollari ed euro, non certo grivne ucraine, con registrazioni audio dove diversi funzionari valutano le percentuali da distribuire, usando pseudonimi piuttosto facili da decifrare. Mindič-Mida viene chiamato Carlson, ed è riuscito a passare la frontiera “con i documenti in ordine”, anche se non si sa esattamente da quale valico o aeroporto. Le tangenti principali venivano prelevate dai partner di Energoatom nella misura del 10-15% su ogni affare, e di fatto la principale compagnia energetica ucraina veniva diretta non dagli amministratori ufficiali, ma da coloro che tenevano i fili dietro il sipario.
Per questo viene accusato anche l’ex-consigliere del ministero dell’energia, Igor Mironjuk, e una serie di altri personaggi apparentemente di secondo livello, alcuni dei quali collegati all’ex-deputato della Verkhovnaja Rada Andrej Derkač, ora membro del Consiglio della Federazione di Mosca, il Senato russo, ciò che alimenta ulteriormente le ipotesi di una regia del Cremlino dietro lo scandalo. In questo si vede chiaramente quanto l’Ucraina, come la Russia e quasi tutti gli altri Paesi ex-sovietici, siano rimasti legati agli schemi dei tempi di Brežnev, quando all’ombra di segretari e direttori erano sempre le seconde linee a decidere i criteri di spartizione delle somme derivate dalle produzioni, poi gonfiate ad arte nelle relazioni conclusive delle pianificazioni semestrali, annuali e quinquennali.
Derkač, pur essendosi trasferito a Mosca, manteneva il suo ufficio al centro di Kiev a nome dei suoi familiari, e in esso si elaboravano le tante manovre di corruzione dell’intera Ucraina, tanto da essere chiamato “la sede della ragioneria nera” in cui si ripulivano i soldi con proiezioni su compagnie di ogni genere in patria e all’estero. L’ex-deputato aveva smesso di comparire alla Rada di Kiev subito dopo l’invasione russa del 2022 ed era sotto inchiesta fin dal 2023, quando il suo status di parlamentare fu annullato, e dalla fine dello scorso anno si venne a sapere che aveva ottenuto un seggio al senato moscovita dalla regione russa di Astrakhan sul mar Caspio, mentre sui media il suo nome compariva in diversi servizi di propaganda bellica anti-ucraina.
Questo tipico esponente del “mondo russo” più oscuro è figlio di un ufficiale del Kgb, Leonid Derkač, che a fine anni Novanta era a capo del servizio di sicurezza dell’Ucraina, finendo anch’egli come deputato della Verkhovnaja Rada, morendo d’infarto due settimane prima dell’inizio dell’invasione russa del 2022. Il nome di Derkač-padre si lega anche ad alcune conversazioni registrate del presidente Petro Porošenko, il predecessore di Zelenskyj e suo possibile avversario alle presidenziali, con il presidente americano Joe Biden e altri politici stranieri di alto rango, usate per screditare l’Ucraina sulla scena internazionale e impedire il suo ingresso nella Ue e nella Nato, proprio le motivazioni che hanno condotto al Maidan del 2014 e alla rottura delle relazioni con Mosca.
In queste indagini si riflette quindi tutta la storia recente dell’Ucraina e delle interferenze della Russia fin da prima della guerra, e in esse si registra un’ulteriore protagonista, la figlia di Andrej Derkač, una giovane conduttrice televisiva ucraina nota con il nome di Tatiana Terekhova, anch’essa improvvisamente scomparsa dopo il 24 febbraio 2022, probabilmente trasferitasi all’estero con i figli senza condannare le azioni della Russia, ma senza il marito Ivan Litvin, figlio di un politico ucraino e costretto a rimanere per la mobilitazione alla guerra difensiva. In seguito sono apparse notizie circa un resort di lusso nella regione di Žitomir, che sarebbe di proprietà di Litvin e dove si ripara l’élite ucraina, nonostante il divieto di costruire su terreni agricoli, aggiungendo materiali per questa infinita telenovela della corruzione ucraina.
La saga diventa ancora più drammatica con la richiesta a Zelenskyj di allontanare anche il capo dell’Ufficio presidenziale Andryj Ermak, il suo primo e più fidato collaboratore, da sostituire con Oksana Markarova, l’ambasciatrice negli Usa che tentava vanamente di difendere il presidente ucraino a febbraio dalle violenze verbali di Donald Trump. I sospetti di coinvolgimento di Ermak nello scandalo sono supportati da segnali piuttosto deboli, ma la personalità del consigliere è da tempo nel mirino di molti che gli rimproverano un eccesso di potere e di influenza, tanto che senza di lui Zelenskyj non potrebbe reggere. A Ermak si attribuisce la mossa disperata di chiudere le agenzie anticorruzione nei mesi scorsi, cercando di evitare la catastrofe attuale, e si vedrà fino a che punto anch’egli sia sacrificabile.
Lo stesso Zelenskyj ha ribadito che “qualunque azione che porti a dei risultati nella lotta contro la corruzione è assolutamente necessaria”, ricordando i tempi della sua campagna elettorale di sei anni fa, da attore-testimone della volontà del popolo ucraino di costruire un futuro diverso, libero dai condizionamenti del passato. Giustizia e trasparenza, “purezza” e punizione dei colpevoli sono le priorità da ritrovare sotto le macerie della guerra che continuano ad accumularsi, ma che dipendono dalla riscoperta di sé stessi e della vera identità del popolo, prima ancora che dalla ricostruzione di ciò che verrà lasciato dai giochi dei potenti.
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