La giunta birmana rilancia la diga di Myitsone per rafforzare l’asse con Pechino
Sospeso nel 2011 a causa di proteste di massa, il progetto idroelettrico nello Stato Kachin è stato di recente riproposto dai militari in vista delle elezioni. Gli analisti e la comunità locale da tempo però sostengono che sia una manovra politica per rafforzare i rapporti con Pechino, a cui andrebbe il 90% dell'energia prodotta, anche a costo di gravi danni ambientali, sociali e per la sicurezza del territorio.
Yangon (AsiaNews) – La giunta militare birmana vuole riaprire la diga di Myitsone, un gigantesco progetto idroelettrico nello Stato Kachin sospeso nel 2011 in seguito a proteste di massa che ne criticavano l’impatto ambientale e sociale. Secondo analisti locali, l’iniziativa non risponde a reali esigenze di sviluppo, ma a un calcolo politico: i militari birmani hanno bisogno di rafforzare il sostegno di Pechino in vista delle elezioni che inizieranno il 28 dicembre dopo che l’esercito ha perso terreno nel nord del Paese.
Ad aprile 2024 il Consiglio di amministrazione statale (SAC), l’organo che i militari hanno creato per guidare il governo, ha istituito un nuovo comitato incaricato di “gestire” la ripresa del progetto, nominando come presidente il vice ministro dell’Elettricità, Aye Kyaw. La diga, dal valore stimato di 3,6 miliardi di dollari, è finanziata principalmente dalla cinese State Power Investment Corporation (SPIC) ed è situata alla confluenza dei fiumi Mali e N’Mai, da cui nasce l’Irrawaddy. Il progetto era stato bloccato nel 2011 dall’allora presidente Thein Sein, dopo una mobilitazione nazionale che aveva denunciato il rischio di distruzione ambientale, lo sfollamento forzato delle comunità locali e la cessione di sovranità sulle risorse naturali, considerato che quasi tutta l’energia prodotta andrebbe alla Cina.
Il contesto politico attuale rende l’annuncio particolarmente controverso. Negli ultimi mesi si sono intensificati i combattimenti tra l’esercito birmano e l’Esercito per l’indipendenza Kachin (KIA), una delle milizie che combattono contro la giunta militare. “Ogni volta che la giunta è in difficoltà, prova a distrarre l’opinione pubblica”, ha spiegato ad AsiaNews un analista politico kachin che ha chiesto l’anonimato per motivi di sicurezza. “Con scontri in corso vicino all’area di Myitsone, parlare di riavvio del progetto è irrealistico. Ma serve a mostrare alla Cina che c’è la volontà”.
I vertici militari sostengono che la diga è un’opera necessaria. Il 17 dicembre il vice comandante in capo Soe Win era andato in visita a Myitkyina e aveva dichiarato che “il progetto dovrebbe essere riesaminato e attuato”, sostenendo che aiuterebbe a prevenire le inondazioni e a garantire elettricità al Paese. Il ministro Aye Kyaw di recente ha aggiunto che il nuovo comitato lavorerà su “ricerche, soluzioni tecniche e relazioni pubbliche” per dimostrare la sicurezza dell’impianto, lasciando intendere anche una possibile riduzione della capacità originaria di 6.000 megawatt. Gli accordi, però, firmati nel 2006 e nel 2009, restano invariati: il 90% dell’energia prodotta sarebbe destinata alla provincia cinese dello Yunnan, mentre solo il 10% rimarrebbe in Myanmar.
Per la comunità kachin, Myitsone è il simbolo di una tragedia annunciata. La diga sommergerebbe un’area grande quanto Singapore e costringerebbe allo sfollamento circa 18mila persone, cancellando villaggi interi, come Tangphre. “Il fiume Irrawaddy è la linfa vitale del nostro Paese”, ha detto ad AsiaNews Kaw Mai, residente di Myitkyina. “Non è solo una diga, è una condanna a morte per la nostra terra. Di giorno il regime bombarda i nostri villaggi e di notte cerca di vendere il nostro fiume”.
A preoccupare è anche la sicurezza. Il sito si trova a circa 100 chilometri dalla faglia che attraversa la regione del Sagaing, una delle più attive del sud-est asiatico e dove a marzo di quest’anno si è scatenato un terremoto di magnitudo 7.7. Un altro terremoto potrebbe compromettere la struttura, con conseguenze catastrofiche a valle.
Gli effetti non si limiterebbero allo Stato Kachin. L’Irrawaddy trasporta sedimenti essenziali per la fertilità delle aree a valle. Interromperne il flusso significherebbe favorire l’intrusione di acqua salata, il collasso delle riserve ittiche e una minaccia diretta alla sicurezza alimentare di milioni di persone.
Anche la Cina non vuole sentire ragioni. La SPIC sostiene di aver già investito oltre 800 milioni di dollari e da anni fa pressione sui governi birmani per riattivare il progetto o, in laternativa, ottenere un risarcimento. Per la giunta, rilanciare Myitsone appare come una mossa disperata per “comprare” ancora una volta il favore di Pechino, magari in cambio di una mediazione con il KIA o di una riduzione delle pressioni internazionali.




