15/03/2006, 00.00
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La prigione di Gerico, il muro e il futuro dell'occupazione

di Arieh Cohen

Il raid dell'esercito israeliano a Gerico deteriora solo di poco la già difficile situazione. Olmert propone la "separazione" fra i due popoli come via alla sicurezza. Ma la pace non è garantita.

Tel Aviv (AsiaNews) -  La situazione di endemica incertezza e fragilità dei Territori palestinesi occupati – che stanno per essere guidati dal movimento islamista militante Hamas - è riemersa ancora una volta ieri con i fatti di Gerico. Lì le truppe israeliane hanno attaccato una prigione dell'Autorità Palestinese (AP), catturando 6 persone accusate da Israele di terrorismo. La cattura è avvenuta poco prima che i 6 fossero liberati dall'AP. I fatti in dettaglio sono ormai noti a tutti. Gli osservatori internazionali trovano difficile criticare la decisione israeliana. Cinque dei sei sono accusati di essere implicati nell'assassinio di un ministro del governo israeliano; il restante è accusato di tentativi di far entrare nei Territori una grande quantità di armi ed esplosivi durante l'ondata di scontri e attacchi terroristi della Seconda Intifada.

Fra Israele e il presidente palestinese Arafat vi era un preciso accordo sulla loro incarcerazione a Gerico, con monitoraggio di americani e britannici. Gran Bretagna e Stati Uniti avevano avvertito l'AP che non venivano osservati alcuni aspetti dell'accordo; che non era garantita la sicurezza del loro monitoraggio e che – se le cose non cambiavano – gli osservatori si sarebbero ritirati. Con ciò, responsabili di Hamas e lo stesso presidente Abbas (Abu Mazen), hanno detto in pubblico che i 6 stavano per essere liberati. In queste circostanze, appena gli osservatori si sono ritirati, il governo d'Israele non ha avuto altra scelta che prendere su di sé il controllo dei prigionieri.

Come altri fatti quali i ridispiegamenti, le operazioni militari, le iniziative diplomatiche, l'operazione di Gerico lascia la situazione così com'è, tranne che aprire un altro periodo di deterioramento. Nello stesso tempo, il futuro dell'occupazione e il rapporto israelo-palestinese viene messo al centro della campagna elettorale in Israele, che si concluderà con il voto il prossimo 28 marzo.

La scorsa settimana, Olmert, primo ministro ad interim, in alcune interviste ha messo in luce davanti agli elettori la sua politica, in un modo mai espresso così chiaramente da un governo israeliano.

In pratica il piano è il seguente: Israele annetterà una parte consistente della West Bank, compresa "la grande Gerusalemme" e un certo numero di "blocchi di colonie" in varie parti della West Bank (insieme ai corridoi che li connettono a tutto il resto dello stato). Israele prenderà controllo anche della valle del Giordano. Queste aree annesse, e il resto di Israele saranno separate dal resto della West Bank con un muro. Tutte le colonie israeliane "isolate", che si trovano nel resto della West Bank, fra il muro e la valle del Giordano, verranno ritirate.

Si deduce che quelle aree saranno lasciate all'autonomia palestinese, anche se quelle aree non sempre saranno connesse le une alle altre: potrebbero infatti essere separate le une dalle altre dalla presenza dei "blocchi di colonie" israeliane. Si deduce anche che il grado di autonomia permessa ai palestinesi – "stato " o altro – verrà determinato in base al loro comportamento, e cioè nella misura in cui vivranno in pace e non sferreranno attacchi contro Israele. Il fatto più importante è che in tal modo, Israele riuscirà ad attuare quella "separazione" dai palestinesi e dai loro problemi che il pubblico israeliano desidera. Esperti di opinione pubblica sono d'accordo nel dire che rivelando in pubblico tale piano, il successore di Sharon ha compiuto un'astuta mossa per una vittoria elettorale.

Stanchi e sfiniti da anni di conflitto, violenza, terrorismo, per nulla cordiali con le aspirazioni degli ultranazionalisti di voler tenere ad ogni costo tutta la West Bank, la maggior parte degli israeliani vuole ormai solo poter vivere in tranquillità, senza pensare più ai palestinesi.

Il "piano" non è nuovo. Esso ricorda il famoso "piano Alon", formulato poco prima della guerra del 1967. Entrambi i piani si basano sul lasciare nelle mani di Israele "il massimo del territorio" e "il minimo dei palestinesi". Olmert ha promesso di realizzare il suo piano in 4 anni. Ma è realistico? I critici di sinistra mettono in guardia dal cullare l'illusione che i palestinesi si sottometteranno in modo passivo, o che gli Usa e l'occidente in generale ne accetteranno la legittimità. Essi fanno notare che il presidente Bush ha dato opinione positiva a che  "centri di popolazioni israeliane" (ossia i "blocchi di colonie") possano divenire parte di Israele, ma l'amministrazione Usa ha sottolineato che ciò dovrebbe avvenire attraverso negoziati di pace e non mediante azioni unilaterali. Anche i laburisti israeliani rifiutano l'opzione unilaterale e continuano a favorire un trattato di pace negoziata, ricorrendo ad azioni unilaterali solo se e quando una via pacifica rimane impossibile da raggiungere.

Ad ogni modo, anche le rivendicazioni territoriali dei laburisti su parte dei Territori occupati rendono difficile immaginare il raggiungimento di un trattato di pace.

In effetti la pace sembra ormai una remota aspirazione. Israele  - con l'approvazione di molta parte della comunità internazionale - ha escluso i negoziati di pace con Hamas, che ha vinto la maggioranza parlamentare nell'AP. Ma ha dimenticato che i negoziati vanno fatti non con l'AP, ma con l'Olp (l'Organizzazione per la liberazione della Palestina). Il ministro israeliano degli esteri  ha definito "irrilevante" il presidente dell'Olp, Abbas (Abu Mazen) e Hamas una "autorità terrorista". Che fare dunque? La risposta sembra essere: non molto, eccetto che aumentare la vigilanza, le operazioni di sicurezza e – soprattutto – "separarsi" in fretta dai palestinesi, prendendo quanto più terra possibile e quanto meno palestinesi possibile, lasciando il resto dall'altra parte del muro. Molti in Israele pensano ormai che "questo è il nostro destino, come avamposto della civiltà occidentale in un ambiente circostante violento".

Tutto ciò dovrebbe durare "fino a che i palestinesi non divengano dei finlandesi", secondo una espressione divenuta famosa alcuni mesi fa, fatta da Dov Weissglass, consigliere del governo israeliano. Di sicuro si è sbagliato, se voleva intendere che i palestinesi sarebbero divenuti calmi come degli scandinavi. I Finlandesi, infatti, sono conosciuti nella storia come dei feroci combattenti per la loro indipendenza.

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