17/06/2023, 09.00
MONDO RUSSO
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La riconquista ucraina delle terre occupate

di Stefano Caprio

Il vero risultato della controffensiva di Kiev, più che sulle vittorie militari, si misurerà negli effetti psicologici e informativi sui tanti auditori coinvolti: i propri cittadini, l'opinione pubblica occidentale, i russi stessi. Mentre, quasi a fare da contraltare a Zelenskyj, cresce l'aura del capo delle forze armate ucraine, il generale Valerij Zalužnyj.

Da oltre una settimana è iniziata il contrattacco su tutti i fronti dell’esercito ucraino (Vsu), la reconquista delle terre invase dall’imperialismo putiniano. Da diversi mesi ormai se ne parla ogni giorno, l’hanno annunciata i politici, i militari, i propagandisti di entrambe le parti e i corrispondenti di guerra, gli analisti occidentali e i funzionari del Cremlino.

L’attacco ucraino si svolge su molte direttive. Di fatto è iniziato a maggio con i colpi della Vsu nella zona cruciale di Bakhmut, di cui hanno parlato tutti i media russi, e che ha portato al ritiro polemico della compagnia Wagner, con accuse ai generali russi. Ora il suo capo Evgenij Prigožin si è addirittura tirato fuori del tutto, annunciando un “periodo di ferie” dei suoi mercenari fino ad agosto, anche per evitare di dover firmare il contratto obbligatorio con il ministro della difesa Šojgu, a cui lo stesso Putin tiene dimostrativamente il broncio in tutte le occasioni pubbliche.

Il 4-5 giugno la Vsu ha iniziato la prima tappa della campagna di risposta, dirigendosi verso le regioni meridionali di Zaporižja e Orekhovo, nella regione di Donetsk, come ha comunicato la vice-ministra della difesa di Kiev, Anna Maljar. Il 6 giugno è avvenuta l’esplosione della diga di Nova Kakhovka, quasi una risposta dei russi per rendere impossibile il passaggio del nemico, a costo di sommergere l’intera regione, fortificazioni russe comprese. Il 9 giugno Putin ha parlato di “enormi perdite” da parte ucraina, senza raggiungere alcun obiettivo. L’offensiva sembra però soltanto all’inizio: l’11 giugno il ministero ucraino della difesa ha comunicato la liberazione di due villaggi nella parte sud-occidentale del Donetsk, Blagodatnoe e Makarovka, intorno al centro di Velika Novosilka. Il giorno seguente è stato liberato il villaggio di Storoževoe, e secondo alcune versioni anche quello di Novodarovka nella regione di Zaporižja.

I toni della propaganda russa sembrano virare sulla preparazione alla perdita di parte dei territori occupati. Già il 4 giugno una delle voci putiniste più estreme della televisione, Margarita Simonyan, ha fatto appello alla fine degli scontri armati, per poter procedere a “referendum sui territori contesi”, come se quelli dello scorso anno, con successiva annessione, non avessero più alcun valore neppure per i russi. Per quanto altre voci l’accusino di “propaganda della sconfitta”, si diffonde la sensazione che siano gli stessi organi del Cremlino a prepararsi al “vergognoso tradimento”.

Al di là degli effetti strategici degli attacchi della Vsu, ancora molto difficili da valutare anche per gli esperti di cose militari, ed evidentemente in una fase più di ricognizione che di attacco vero e proprio, i discorsi sulla reconquista ucraina hanno un significato molto ampio e variegato, a seconda della parte a cui vengono rivolti. Per mesi Zelenskyj ha cercato di convincere tutti i partner occidentali della possibilità di vincere, ottenendo così carri armati e mezzi corazzati, droni e aerei d’assalto, ogni mezzo possibile per iniziare le operazioni.

Nel frattempo, i russi hanno attrezzato circa 1500 chilometri di fortificazioni e trincee, per resistere all’assalto, investendo oltre 10 miliardi di rubli. I raid dei partigiani diversanty, nella regione di Belgorod e in altre zone, hanno dimostrato che è possibile aggirarli, ma non attaccarli in forze. I russi si vantano delle vittorie storiche, da Napoleone a Hitler, ma in realtà la Russia ha sempre avuto successo in difesa, mai in attacco; perfino la storica vittoria di Pietro il grande sugli svedesi a Poltava (in Ucraina) nel 1709, fu ottenuta in seguito a una ritirata.

Dai successi della Vsu dipende non soltanto la liberazione dei territori occupati dalla Russia, ma anche la prosecuzione del sostegno finanziario e militare degli alleati all’Ucraina, che ormai si ritiene la “punta orientale della Nato”. Le fonti dell’amministrazione Biden ritengono che se l’attacco ucraino non sarà “abbastanza efficace”, le forniture di armi e di soldi si ridurranno sensibilmente, e gli appelli alle trattative di pace con la Russia diventeranno più forti e condivisi, avvicinandosi alle iniziative di papa Francesco e dei suoi inviati.

Il successo della controffensiva per gli ucraini vuol dire la de-occupazione di tutte le terre fino alla Crimea; nella visione degli occidentali sarebbe sufficiente se si riprendessero le regioni sud-occidentali sul mar Nero, o almeno provocando nell’esercito russo perdite tali da costringere il Cremlino a ripensare alla possibile prosecuzione della guerra. I Paesi europei in particolare guardano all’Ucraina non come strumento dei combattimenti, ma come un popolo con cui iniziare finalmente un dialogo, visto anche l’effetto delle tante migliaia di profughi residenti da tanto tempo in Europa, a fianco dei loro connazionali emigrati da anni.

Il vero risultato delle azioni ucraine, più che le vittorie militari, si concentra negli effetti psicologici e informativi, sui tanti auditori coinvolti. Verso i propri cittadini, che da un anno e mezzo soffrono per la terribile invasione, e da sei mesi non vedono azioni vittoriose di risposta, dopo la cacciata dei russi dal versante occidentale del Dnipro a Kherson. Lo spirito combattivo della Vsu è ancora molto alto, molto più di quello dei russi, ma non si sa quanto potrà resistere a questo livello: serve una speranza, confortata da qualche buon risultato sul campo.

C’è poi tutta l’opinione pubblica occidentale, coinvolta da stampa e televisione, ma forse ancora di più dai social network. Le decisioni delle amministrazioni politiche degli alleati dipendono in gran parte dagli orientamenti delle masse, che determinano il consenso alle parti politiche guardando molto a Instagram, Twitter e TikTok. Gli stessi ucraini cercano di comunicare in ogni modo a livello globale, per illustrare la propria situazione a tutto il mondo. Del resto tramite i social passano anche le raccolte di fondi, gli appelli ai volontari, gli acquisti di equipaggiamenti, droni, armi, automobili e logistica di ogni tipo, in quella che la rubrica Signal di Meduza chiama la “subcultura degli alleati dell’Ucraina”.

E il terzo pubblico di cui tener conto è quello dei russi, per cui la controffensiva vale più come “effetto panico” dei droni che vagano dal Cremlino alle regioni più lontane, i sabotaggi ai distretti militari, le azioni di guerriglia dei partigiani. Tutto questo mette alla prova i nervi dei vertici militari, scuote la dirigenza politica e fa riflettere la massa indifferente e apolitica della popolazione. Gli stessi propagandisti russi non hanno idea delle direzioni degli attacchi ucraini, e sembrano piuttosto disorientati. L’importante per i russi è reggere il più possibile, per poter affermare di aver mantenuto i territori occupati, almeno in buona parte. Il punto è che oggi la situazione si è rovesciata, rispetto all’inizio della guerra: enormi masse di soldati ucraini minacciano le “frontiere russe”, e non si capisce come andrà a finire.

In tutto questo emerge sempre più una figura decisiva per l’Ucraina, il capo delle forze armate, generale Valerij Zalužnyj. Se il presidente Zelenskyj è l’immagine della resistenza e dell’accordo con gli alleati, Zalužnyj è l’uomo della salvezza militare di fronte all’invasione. A febbraio del 2022 lo conoscevano solo gli uomini dell’esercito, e il suo soprannome era “Lord Voldemort”, il mago oscuro della saga di Harry Potter, colui “di cui non si può fare il nome”. Quando le truppe russe si avvicinavano a Kiev, tutto l’entourage di Zelenskyj suggerì di far saltare i ponti del Dnipro, per impedire al nemico di entrare nella capitale. Zalužnyj uscì allora allo scoperto, affermando che i ponti li avrebbe difesi lui, e da allora i russi sono di fatto in ritirata, lasciandosi dietro la tragica scia delle stragi di Buča e Mariupol, e di tanti altri luoghi.

Zalužnyj si è meritato la prima pagina di Time, “The General and the Ukrainian Way of War”, e da allora è il volto vincente dell’Ucraina. Egli stesso, peraltro, si professa “discepolo di Gerasimov”, il suo omologo delle Forze Armate russe, di cui “ha letto tutti i libri”, assicurando che “tutta la vera scienza militare sta nei manuali russo-sovietici”. Perfino in campo bellico, egli impersona la vera natura del conflitto, l’impossibile sintesi di Occidente e Oriente dell’Eurasia, il grande problema geo-politico, filosofico e religioso di questa guerra.

Il generale ucraino compie il miracolo di unire la sapienza degli spazi infinti con le dinamiche degli Stati confinanti, la grande distinzione tra Asia e Europa. Egli è il “comandante umano” che scherza con le truppe anche nelle situazioni più drammatiche, apparendo ironico e scenografico molto più del comico professionista Zelenskyj, che invece ha assunto l’immagine del presidente severo e incrollabile, in un sorprendente scambio di ruoli che potrebbe anticipare perfino un confronto elettorale, una volta superato lo scoglio attuale. I russi hanno diffuso la fake news di una sua ferita grave, con tanto di operazione al cervello, ma non è certo l’unica dezinformatsija di questa guerra, tanto brutale quanto ibrida.

In tutta l’Ucraina spopola l’immagine del generale che fa il segno della vittoria, con la scritta “Dio è con noi e con l’Ataman Zalužnyj”, attribuendogli l’antico titolo del capo dei cosacchi. È una guerra di simboli e di immagini, e ora il “Voldemort” che si dissolve nella polvere è invece la descrizione di Putin, lo stregone da cancellare dopo la vittoria dei maghi ucraini.

 

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