18/08/2020, 17.29
LIBANO
Invia ad un amico

La sentenza dell’Aia sull’assassinio Hariri: ‘Non ci sono prove di un coinvolgimento di Hezbollah e del governo siriano’

di Pierre Balanian

Stupefacente conclusione di un processo durato 15 anni. Secondo “i soliti complottisti” ci deve essere stato un qualche accordo fra Iran e Stati Uniti, con la Francia come mediatrice, per far uscire il Libano dal tunnel. Manifestanti sunniti da Tripoli e Sidone si preparavano a invadere Beirut. Gruppi di cristiani in marcia verso Baabda. Alla fine la sentenza ha condannato due persone: uno, Mostafa Badreddin, morto e l’altro, Salim Ayash, introvabile.

Beirut (AsiaNews)- La sentenza emessa oggi dalla Corte internazionale dell’Aia è deludente per almeno metà degli abitanti libanesi. Essa arriva dopo 15 anni dall’assassinio del premier libanese Rafiq Al Hariri, in un attentato avvenuto il 14 febbraio 2005. Con una mossa senza precedenti, la lettura della sentenza, fissata per il 7 agosto scorso, era stata rinviata al 18 agosto, in modo ingiustificato. Per quale motivo? Tutti a Beirut si chiedono cosa sia avvenuto fra il 4 (giorno delle esplosioni) ed il 18 agosto per “modificare il contenuto della sentenza o almeno attenuarne l’utilizzo politico”. Quel che pare sicuro è che la capitale libanese è stata teatro di colloqui segreti indiretti fra Iran e Stati Uniti, con mediazione francese, finora senza esiti positivi di riconciliazione.

Durante la visita ufficiale di due giorni a Beirut, il ministro iraniano degli Esteri Jawad  Zarif, ha espresso parole di elogio verso Emmanuel Macron. Esse seppur “frenate dagli Usa” – come dicono alcuni amanti del complottismo - sembravano parte di un’iniziativa per far uscire il Libano dal tunnel.

Testimoni oculari a Tripoli e Sidone, contattati da AsiaNews, affermano che centinaia di “manifestanti sunniti” si preparavano da ieri a dirigersi su furgoncini già prenotati a Beirut. Essi si dovevano muovere subito dopo la lettura della sentenza che si pensava avrebbe condannato gli Hezbollah e la Siria. In contemporanea, un folto gruppo di cristiani, aveva preparato una marcia verso il Palazzo presidenziale a Baabda. Da ieri, 17 agosto, Il figlio di Rafiq Hariri, Saad, si trova all’Aia.

E invece nella sentenza si legge che “forse esistevano motivi seri per la Siria e gli Hezbollah” per assassinare Hariri, ma “non esistono prove certe sulle responsabilità dirette della leadership degli Hezbollah in quanto organizzazione mandataria, né del governo siriano”.

L’Aia accusa però “le forze della sicurezza generale in Libano di aver inquinato molte prove della scena del reato, spostando perfino le vetture esplose” nell’attentato.

La lettura della estesissima sentenza, definita la più lunga della storia, è avvenuta in tre sezioni, fino al tardo pomeriggio di oggi.

La Corte ha tuttavia menzionato 5 responsabili dell’attentato, tutti coinvolti con prove certe, tutti vicini agli Hezbollah, senza però che vi sia “alcuna prova su chi l’abbia ordinato” né una “prova diretta del coinvolgimento” del governo siriano. Fra i cinque si cita il capo della cellula criminale, Mostafa Badreddin, ex capo militare degli Hezbollah, assassinato nel 2016 in Siria, cognato del capo militare Imad Moghniyeh, assassinato anch’egli in Siria.

Badreddine, il principale accusato “dell’assassinio di Hariri” è morto nel maggio del 2016 nei pressi dell’aeroporto di Damasco, in un attacco dei gruppi integralisti takfiri siriani all’età di 55 anni. Badreddin si era arruolato negli Hezbollah nel 1982, dopo l’invasione di Israele in Libano. È stato responsabile di molti attentati fra I quali quelli contro le ambasciate di Francia e Stati Uniti nel 1983 in Kuwait. Arrestato, la sua liberazione è stata chiesta dopo due dirottamenti di aerei kuwaitiani nel 1985 e 1988. Egli è poi “fuggito” dal carcere nel 1990 durante l’invasione dell’Iraq in Kuwait.

Gli altri accusati (foto 2) sono Salim Ayash (56 anni) “responsabile delle cellule che hanno eseguito l’attentato” in cui è stato ucciso Hariri e 21 altre persone, oltre a ferirne altre 226. Egli è anche accusato di essere dietro un attentato fallito nel 2004, contro l’ex ministro Marwan Hamadé. Fra gli altri accusati risulta Hussein Hassan Oneissi (46 anni) e Assad Hassan Sabra (43 anni) per aver diffuso un video falso trasmesso sull’emittente Al Jazeera, che accusa un gruppo fittizio denominato Jamaat al Nasr e della “Jihad nei paesi dello Sham (Levante)”. Il quarto accusato è Hassan Habib Marii (54anni). Gli ultimi tre sono stati giudicati innocenti dell’assassino di Hariri e assolti dalla Corte in absentia.

Le prove della sentenza sono basate soprattutto su intercettazioni telefoniche di utenze utilizzate dagli accusati per condurre il reato. La Corte tuttavia non è convinta che “Badreddin sia la sola mente organizzatrice”. La cellula dei cinque ha intercettato, seguito ed osservato ogni mossa di Hariri e della sua scorta dall’ottobre 2004 al febbraio 2005. Essa avrebbe poi organizzato e realizzato l’attentato che ha portato all’assassino dell’ex premier libanese utilizzando materiale altamente esplosivo.

I quattro responsabili ancora in vita sono introvabili. I contenuti delle indagini della corte sono raccolti in cinque copiosi volumi di 148 mila pagine, messi oggi a disposizione delle parti. Il testo della sentenza verrà presto pubblicato sul sito ufficiale della Corte dell’Aia.

Alla fine la sentenza ha condannato due persone: uno morto e l’altro, Salim Ayash, introvabile!

TAGs
Invia ad un amico
Visualizza per la stampa
CLOSE X
Vedi anche
Reazioni e commenti sulla sentenza della Corte dell’Aia
19/08/2020 08:46
Joumblatt con gli Hezbollah: un “colpo di Stato bianco”
22/01/2011
Tensione a Beirut mentre si avvicina l’atto di accusa per l’assassinio di Hariri
26/11/2010
Vescovi maroniti: i politici rinuncino a linguaggio di sfida e di rifiuto degli altri
04/11/2010
Dopo i funerali di Gemayel, in Libano resta il clima di scontro
24/11/2006


Iscriviti alle newsletter

Iscriviti alle newsletter di Asia News o modifica le tue preferenze

ISCRIVITI ORA
“L’Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio!” - Giovanni Paolo II, da “Alzatevi, andiamo”