30/07/2025, 14.22
THAILANDIA-CAMBOGIA
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La tregua, le 'denunce' dei militari di Bangkok e la resa dei conti con il Pheu Thai

di Steve Suwannarat

Il cessate il fuoco con la Cambogia mediato dall’Asean sembra resistere nonostante i comandi thailandesi parlino di nuove violazioni. Oltre 300mila persone sono state costrette a lasciare le loro case. Sullo sfondo restano i dazi imposti dagli Usa ai due Paesi e la crisi politica di Bangkok. Attesa per il 4 agosto la sentenza della Corte costituzionale sulla premier sospesa Paetongtarn Shinawatra che potrebbe ridisegnare gli equilibri tra governo civile e establishment militare.

Bangkok (AsiaNews) - Il cessate il fuoco tra Cambogia e Thailandia in vigore dalla mezzanotte di lunedì sembra reggere, nonostante le accuse di violazione degli accordi lanciate da Bangkok e rigettate da Phnom Penh, che invece ha chiesto l’invio di osservatori internazionali.

L’intesa è stata mediata dalla Malaysia, presidenza di turno dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean). Sullo sfondo resta la conferma - o eventuale modifica - dei dazi imposti dall’amministrazione Trump su entrambi i Paesi, che si sono ritrovati con alcune delle tariffe più alte, al 36%. Ma Washington ha anche un interesso diretto a mostrarsi pacificatore del conflitto di confine, iniziato una settimana fa.

I comandi militari thailandesi hanno però accusato la controparte di “palesi violazioni della tregua” durante la notte e nella mattinata, mentre il governo di Bangkok ha preferito minimizzare: il portavoce ha segnalato che “i rapporti indicano una situazione generale di normalità lungo la frontiera”. Da parte cambogiana sono stati negati atti ostili, mentre cresce l’attenzione per i circa 300mila profughi fuggiti agli intensi scambi di artiglieria dei giorni scorsi, sia alle incursioni terrestri cambogiane sia ai raid aerei thailandesi.

Complessivamente la situazione resta fragile, in particolare attorno alle aree templari contese, che si trovano in regioni dove la frontiera non è ancora stata del tutto delimitata e riconosciuta reciprocamente, e nel “Triangolo di smeraldo”, il punto in cui convergono i confini di Cambogia, Laos e Thailandia. 

Ieri, tuttavia, l’incontro dei comandi militari regionali ha portato alla stesura di un accordo in sette punti che prevede, tra gli altri, il ritiro delle truppe e il rimpatrio delle vittime e dei prigionieri (18 quelli cambogiani dichiarati dai thailandesi). È stata inoltre annunciata la nascita di un gruppo di coordinamento congiunto, in attesa che il Comitato generale per il confine, in un incontro previsto il 4 agosto, esamini la situazione e la riporti alla normalità, con la riapertura dei transiti e il ritorno della popolazione locale.

Sui rapporti già complessi pesano ora anche le vittime: ufficialmente 30 quelle thailandesi, per metà civili, e 13 quelle cambogiane, di cui cinque militari. In Thailandia questa esplosione di violenza alla frontiera è allo stesso tempo riflesso e conferma della debolezza del governo civile e della difficile relazione con l’establishment militare, che da quasi un secolo gestisce - in maniera diretta o indiretta - il potere.

È attesa per il 22 agosto la sentenza nel giudizio per lesa maestà alla Corte costituzionale nei confronti di Thaksin Shinawatra, ex primo ministro deposto dal golpe del 2006 e in esilio volontario dal 2008. Rientrato in patria due anni fa con l’impegno a non riproporsi sulla scena politica e per questo graziato, è rimasto un punto di riferimento per il partito Pheu Thai, che ha portato la figlia, Paetongtarn Shinawatra, alla guida del governo. L’esecutivo, però, si è dimostrato finora inefficace nel gestire il rallentamento economico della Thailandia.

La crisi militare tra Cambogia e Thailandia, alimentata dai reciproci nazionalismi, è legata anche a una telefonata del 15 giugno tra l’ex primo ministro cambogiano Hun Sen e la premier thailandese, un colloquio confidenziale frutto dei rapporti di amicizia e affari tra Hun Sen e Thaksin padre, oggi molto raffreddati. Parte della conversazione diffusa sui social, e considerata dalla popolazione oltraggiosa verso le forze armate thailandesi, ha attivato una campagna di discredito che ha portato alla sospensione di Paetongtarn dalla carica di premier e alla nomina di un successore ad interim fino alla sentenza della Corte costituzionale del 4 agosto. 

Le conseguenze del confronto militare al confine potrebbero quindi presto ripercuotersi sulla gestione del Paese, con un possibile rivolgimento politico o un ruolo più incisivo delle forze armate e delle élite, da sempre ostili alla famiglia Shinawatra, alle forze politiche a essa legate e ai movimenti riformisti emersi negli ultimi anni.

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